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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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Migliarino: dove sono nato
di Fabrizio Sbrana

30/8/2013 - 18:29

Migliarino: dove sono nato
di Fabrizio Sbrana
 
Dopo Bruno Baglini, colonna della Voce del Serchio, tocca a Fabrizio Sbrana, fotografo che ha realizzato reportage in vari paesi del mondo; le sue fotografie sono edite in diverse pubblicazioni per la cooperazione italiana allo sviluppo. Il profilo internazionale di Sbrana si lega a una fedeltà ai luoghi dove è nato e vive. Fedeltà anche agli amici che ha incontrato, tra questi Antonio Tabucchi, che volle una fotografia del suo “caro Fabrizio” per la copertina dell’edizione greca di “Notturno indiano”, e che firma una prefazione al libro fotografico di Sbrana “India. Sacralità del quotidiano”, presentato a Migliarino nel maggio scorso.
 
Mi piace tornare dove sono nato. Intendo dire che dopo ogni viaggio, e ora i viaggi cominciano a essere tanti, tornare a casa, la casa della mia famiglia, la casetta lungo l'argine del Serchio, proprio a metà strada tra Malaventre e La Barca, mi solleva. Da cosa? Mi solleva sostanzialmente dalla fatica incastrata nella clavicola costretta a sostenere per svariati giorni 12 chili di macchine fotografiche, batterie e accessori compresi, senza contare quelle che ricovero nel marsupio. Inoltre i miei girovagare mi tengono costantemente sotto pressione: sono un onnivoro, mi attrae tutto, non perdo occasione per fotografare, il che vuol dire alzarsi presto al mattino, sfruttare la luce, cogliere la penombra, spostarsi, piantare la tenda dove è più opportuno e ripartire. Se non sono da solo ma il viaggio è a dimensione familiare, ho due bambine, allora tutto si fa più difficile. Una volta mia figlia, la più grande, Caterina, al termine di un viaggio di 9200 chilometri che le avevo preannunciato come difficoltoso, con attraversamento di quattro nazioni, parte delle quali desertiche, viaggio che esigeva levatacce, massima attenzione, sopportazione di lunghi spostamenti su pista, oppure pazienza negli appostamenti, mi ha detto che per lei non era stato assolutamente difficile né stressante. Sono rimasto di sasso, ma poi ho pensato che Caterina non aveva messo in conto l'apprensione dei genitori nel dover monitorare e decodificare la comparsa di malesseri fisici, la necessità di trovare un posto in cui dormire al sicuro ogni sera, e banalmente anche quella di mangiare più volte al giorno, insomma almeno le canoniche tre volte al giorno, che per un adulto già di una certa età a volte risultano essere eccessive per la salute, ma per un bambino o un adolescente sono il minimo consentito. Per semplificare: non devi pensare solo a te stesso. Perciò quando varco la soglia di casa, la casa della mia infanzia, quella che i miei comprarono nel 1948 dopo aver abbandonato la casa sul poggio lungo la via del mare ho una sensazione di benessere, come se potenziali pericoli fossero ormai lontani. Strana sensazione se penso che in oltre trent'anni di viaggi non ho fatto fronte a grandi pericoli, se non altro almeno non in tutti i viaggi. È vero, ho subito un paio di furti, ma non è stata messa a repentaglio la mia incolumità; piuttosto mi viene a mente quando sono rimasto coinvolto in qualche uragano messicano o africano nella stagione delle piogge, e quando si guida lungo le piste del Pichado del Diablo o della Rift Valley mentre il cielo nero da far paura scarica a terra bombe d'acqua e fulmini e ingrossa i torrenti che si devono guadare una certa strizza ti corre lungo le gambe. Oppure quella volta che mi ha visto tra i passeggeri di un aereo proveniente dall'Angola con destinazione Livingstone che ha rischiato di schiantarsi al suolo, o l'altra di finire in mezzo a una protesta dei Kikuiu o di pregare a Posusje un soldato bosniaco di prendere il rullino dalla macchina fotografica mentre mi puntava il mitra durante la guerra in Bosnia nel '93, beh qualche pericolo l'ho corso. Ma questo non è un racconto di avventura perciò ritorno all'argomento.
 
Ci sono molte ragioni per tornare. Non farò un elenco perché non ho capacità di sintesi. Posso semplicemente buttare là qualche ricordo, piuttosto che mettermi a riflettere seriamente sul perché amo questa terra. Sono stato qui fino all'età di 27 anni e vi sono tornato all'età di 40, per ragioni di vita che non è proprio il caso di raccontare. Oggi ci sono anche le mie figlie, sono ancora piccole perché ho attraversato stagioni della vita pensando fossero sempre un'eterna giovinezza. Alle mie figlie sono solito dire: "avete avuto una bella fortuna a nascere qui". Non so perché lo dico, ma da quando l'ho fatto una volta, me ne sono convinto: sarà perché ho visto bambini vivere infanzie drammatiche, imbracciare fucili, mendicare, scandagliare tra i rifiuti, sarà perché ho incontrato migliaia di profughi alla ricerca di una nuova terra o visto gruppi etnici annientarsi nell'alcool, sarà perché ho visto donne che adagiavano il proprio neonato sul ventre prima di trovare un posto per la notte sugli spartitraffici di grandi città; insomma a conti fatti Migliarino può sembrare un'oasi.
 
Certo non ho scelto io di nascere qui. È capitato. E i luoghi dell'infanzia sono da ripercorrere anche in età adulta. Hanno un altro sapore, un altro odore, un altro aspetto. Cambiano i luoghi e le persone che li abitano, ma soprattutto cambiamo noi.
 
Così dalla casetta in via di Piaggia, la piaggia del fiume Serchio raggiungo il mare, il lago e poi i monti. È una strana campagna questa, non so se sia davvero una campagna, che una  pineta non endemica delimita lungo il litorale. La pineta è il luogo della mia infanzia. Forse quell'ambiente mi ha marchiato, come si marchiano le bestie per riconoscerle. Mia madre lavorava nella tenuta dei Duchi Salviati, quanta gente lavorava in tenuta; anche mio padre veniva da là. Entrambi vi sono cresciuti, vi hanno lavorato, vi si sono nascosti durante la guerra. Io sono nato dopo la guerra e di essa mi parlava solo chi l'aveva vissuta, mio fratello compreso, perché lui è nato prima e io dopo. La Pierina, mia madre, raccoglieva i pinoli nella Tenuta e mi lasciava dall'Assunta così con Maurizio diventavamo due perfetti indiani a rincorrerci nel bosco. Non c'erano adulti che si preoccupassero delle sbucciature, e se tornavamo a casa con le ginocchia martoriate l'unico commento che potevamo sentire era questo: non preoccuparti è mestiere che entra. Penso che la pineta, questo ambiente se vogliamo selvaggio, abbia accresciuto il senso innato di libertà. Non è facile domare un ambiente come il nostro e quando l'uomo ha tentato di farlo, ha raccolto poi i frutti. Molte volte amari. Penso all'ultimo disastro del Serchio per esempio. L'acqua è tornata a coprire terre di cui il fiume aveva ancestrale memoria.
 
A pensarci bene l'amore per questo territorio è cresciuto grazie anche alla donna che da vent'anni vive con me esperienze e avventure. Quando abbiamo voglia di passeggiare percorriamo le rive del fiume. Anche mia moglie mi chiede di andare a Bocca di Serchio. Ora che tutti possiamo godere della bellezza delle rive e possiamo vedere l'altra sponda, è facile avere la sensazione di respirare aria di libertà.
 
È un territorio forte questo, mi ha trasmesso l'adrenalina, mi ha reso capace di affrontare altri luoghi duri: le savane o le foreste africane come pure quella amazzonica, la caotica india, l'outback australiano e molti altri luoghi. A chi ci amministra chiedo abbia la forza di non alterare la vocazione di questo territorio che non è in grado di sopportare i grandi centri commerciali. I nostri nonni ci hanno insegnato quanto è preziosa la terra, e più lo comprende il popolo che non ce l'ha.
 
Chiedo di pensare agli anziani, come si sta già facendo, ma anche ai bambini e ai giovani che hanno bisogno di centri di aggregazione. Ma come accade nella famiglia spero che la costruzione di un centro sportivo sia solo rimandata.

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31/8/2013 - 11:30

AUTORE:
Ovidio

Grazie Fabrizio. Ringrazio anche per la foto, grazie anche a Nella e un saluto alle vostre bambine.
Appena tornati dal Sudafrica, posto affascinante, la terra di Madiba piena di futuro, ecco questo tornare al passato e alle origini. Un bel salto condensato in un testo fresco, bello e pieno di vita.

Mi hanno colpito diversi punti che tu tocchi. Per esempio, quando scrivi: “Sono stato qui fino all'età di 27 anni e vi sono tornato all'età di 40... Oggi ci sono anche le mie figlie, sono ancora piccole perché ho attraversato stagioni della vita pensando fossero sempre un'eterna giovinezza”.
E poi quando confessi che l’essere nato qui ti ha offerto l’adrenalina per affrontare altri luoghi difficili.

Ora, dopo aver letto e riletto il tuo testo, penso che i viaggi che facciamo siano anche una ricerca dei nostri vent’anni, e ho la sensazione gioiosa di ricevere un po’ della tua adrenalina, quella che abbonda nella giovinezza, quando abbiamo tutta la vita davanti e crediamo di poter durare in eterno.