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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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per pubblicare scrivere a spaziodonnarubr@gmail.com
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Mauro Pallini-Scuola Etica Leonardo: la cultura della sostenibilità
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Bagno degli Americani di Tirrenia
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
ANNIVERSARIO
8 settembre 1943

8/9/2013 - 16:53

 


L’8 settembre del 1943 è una data tragica nella memoria degli italiani. Il 25 luglio era caduto il fascismo e subito dopo l’armistizio, firmato dal governo Badoglio il 3 settembre, il re e il suo governo abbandonarono Roma per trasferirsi a Brindisi.


L’8 settembre Badoglio annunciò che la guerra continuava contro i tedeschi e al fianco degli alleati. Ma l’esercito era stato abbandonato a se stesso, alla mercé delle truppe hitleriane nei territori d’oltremare. Liberato Mussolini dal Gran Sasso, le armate tedesche occuparono l’Italia del Nord e vi installarono la Repubblica di Salò. Per la prima volta dopo il 1860, «l’Italia era divisa in due»: il regno del Sud e la Repubblica sociale italiana, due stati in guerra fra loro. E non solo l’occupazione tedesca al Nord e degli alleati al Sud ma soprattutto la guerra civile, che imperversò fino al 25 aprile del 1945. Un intreccio di tragedie per cui l’Italia avrebbe potuto perdere la sua unità per sempre.

 

Ma l’8 settembre non fu solo tragedia e man mano che il trascorrere del tempo e il consolidarsi della riflessione storica aiutano ad elaborare i lutti e a rasserenare la memoria, questa data si può ricordare anche per gli eventi luminosi che ne scaturirono. Innanzitutto la Resistenza, che cominciò dai militari, giovani soldati e più maturi ufficiali, i quali non deposero le armi, non si consegnarono ai tedeschi e iniziarono a combatterli come poterono senza l’aiuto del Regno del Sud.

 

Quindi la rinascita dei partiti e, dopo il rientro di Togliatti in Italia (fine marzo 1944), la formazione di un governo di unità antifascista che creò le premesse del rapido sviluppo della Resistenza e della sua affermazione come guerra di Liberazione nazionale. Così l’Italia occupata e divisa concorse alla sua liberazione prima che le truppe alleate, vittoriose sul nazifascismo, completassero l’opera. La sua unità fu riguadagnata e ricominciò dignitoso il suo cammino nel concerto delle nazioni, con l’umiltà di chi riconosceva le sue colpe – la colpa di aver scatenato la Seconda guerra mondiale a fianco della Germania e del Giappone - e si dimostrava, nello stesso tempo, capace di scavare un vallo definitivo tra il suo popolo e il fascismo.


Per queste ragioni gli italiani ricordano l’8 settembre come una data anche fausta, come il giorno in cui cominciò la rinascita della patria.

 

Non è un’idea facile da popolarizzare finché i lutti della memoria non saranno stati definitivamente superati dalla catarsi della storia. Inoltre, è un’idea controversa, spesso contrastata nel discorso pubblico per ragioni strumentali di politica immediata. Ad esempio vent’anni fa, in un periodo cruciale della vita italiana segnata dall’implosione dei partiti della prima Repubblica e da nuove minacce alla sua unità, l’8 settembre fu assunto a simbolo della morte della patria, non solo per la catastrofe bellica ma anche perché aveva originato la rinascita dei partiti i quali, per definizione, non potrebbero che smembrare l’unità della nazione. Non so se chi lanciò questa idea fosse consapevole di riproporre un argomento frusto del legittimismo monarchico.

 

Certo non lo erano quei bardi del giornalismo che le diedero ampia risonanza. Il suo aspetto più grottesco era il concetto di nazione che la sottendeva. Se la nazione italiana aveva mai smesso di essere la patria dei suoi cittadini, ciò era avvenuto con la sua appropriazione totalitaria da parte del fascismo. Infatti, con l’avvento del fascismo, l’Italia non era stata più nominabile senza l’aggiunta dell’aggettivo fascista. Ma la nazione moderna, per essere la patria di tutti i suoi cittadini, ha la necessità di vivere della molteplicità delle loro fedi, delle loro culture, delle loro idee politiche.

 

In altre parole, l’idea della nazione moderna è indisgiungibile dalla democrazia ed è difficile immaginare «un’Italia del popolo» che non sia animata dalla presenza vivificatrice dei partiti. Un giudizio equilibrato sull’8 settembre è quindi necessario anche per accrescere la consapevolezza dei caratteri originari della storia d’Italia.

 

Nessuno dubita, io credo, che il fascismo sia stato un regime totalitario, ma i totalitarismi non sono tutti eguali e il modo in cui finì il fascismo italiano tra il 25 luglio del 1943 e il 25 aprile del 1945, evidenzia che non fu mai un totalitarismo integrale ma piuttosto una poliarchia totalitaria.

 

Fra il 1922 e il 1929, anche la Corona e il Vaticano si unirono al fascismo ma non si risolsero in esso. Quando Mussolini precipitò l’Italia nella guerra, la catastrofe era annunciata. Ma fu proprio la guerra a originare, dopo lo schieramento degli Stati Uniti a fianco della Gran Bretagna e dell’Urss, la dissociazione del Vaticano dal fascismo e l’avvicinarsi della sconfitta indusse Casa Savoia a fare altrettanto.

 

La Corona fu oscillante e si rivelò del tutto inadeguata a gestire il distacco dell’Italia dalla coalizione hitleriana, segnando così il proprio destino. Tuttavia l’8 settembre ci ricorda non solo le ignominie che abbiamo raccontato ma anche che quella monarchia, macchiatasi della colpa di aver consegnato l’Italia a Mussolini, al suo tramonto potè rendere ancora qualche servigio all’Italia.

 

Alla liquidazione di Mussolini si deve aggiungere l’iniziativa di perseguire abilmente il riconoscimento del governo Badoglio da parte della Russia sovietica per favorirne la presenza nel Mediterraneo, in funzione riequilibratrice della preponderanza inglese alla quale pure i Savoia legavano le proprie sorti. Era la ripresa di una tradizione della politica estera dell’Italia che risaliva a Cavour e con la pietas del giudizio storico questi meriti li aveva riconosciuti.

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