Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA sono la figlia della "Cocca".
Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.
Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è ancora comunità.
Una sessantina di anni fa viveva con la famiglia a Migliarino, verso il mare, un ragazzo particolare. Fabrizio aveva un animo sensibile, restava sveglio per ascoltare i rumori della notte che per lui erano melodie o racconti di fate e guerrieri, la risacca delle onde che il bosco amplificava era pura musica e meodia, i fiori e gli animali non avevano segreti per lui e, cosa più strana per un giovanetto, amava i derelitti e gli sconfitti. Zingari, straccivendoli, diversi, ubriachi, prostitute, tutti gli “ultimi”, tutta la mala gente che la gente bene scacciava, per lui era amicizia o addirittura amore.
Fabrizio dell’Andreini era fatto così, era felice di scrivere storie e poesie di degrado e bellezza, di sofferenza e gioia, di odio e d’amore cercandone l’ispirazione sulla foce del fiume.
Tutte le sere, prima di rientrare in casa, faceva una corsa alla marina dove aspettava che il sole tramontasse e lì sognava.
Il tramonto era per lui il momento magico della giornata, sempre uguale e sempre diverso, un eterno morire e rinascere ed il vortice di sfumature del sole calante ogni sera lo abbagliava e strabiliava.
Non c’era mai un tramonto con lo stesso colore, il blu del mare e del cielo potevano non cambiare di tanto, ma il rosso del sole avrebbe fatto impazzire il più bravo dei pittori con il suo rincorrersi fra arancio e giallo, rosso e viola per finire in rosa.
Dopo qualche anno il padre di Fabrizio si trasferì con la famiglia a Genova dove il ragazzo trovò un mondo completamente diverso, ma se diversi erano i luoghi, le abitudini, addirittura il nome che fu troncato di quel “ini” troppo toscano e campagnolo, lui aveva dentro il suo personale mondo, quello che si era creato là, sul Serchio, e che non avrebbe mai rinnegato.
Nella grande città, con il passare degli anni, Fabrizio divenne famoso e ricercato per i suoi testi e nel 1967 scrisse il più bello di tutti: “Bocca di rosa”.
Quella sua “Bocca di rosa” di Sant’Ilario è ora senz’altro scomparsa come corpo, ma quella nostra di Serchio, quella che portò l'amore nel paese, quella che ha troppi clienti più di un consorzio alimentare, quella è lì a ricordarci senza pretese, senza pretese, la poesia, la bellezza del Creato e di Fabrizio.
Potrebbe essere stato così.