Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Mi guardo intorno e non capisco, succedono cose strane in questo strano autunno, nel quale perfino le foglie mi sembra che resistano sugli alberi, resistono al loro destino di cadere giù e lasciarsi andare, trasportate dal vento.
Mi viene in mente la storia di Bandiera, scritta da Mario Lodi.
Bandiera è una foglia "particolare" che, rimasta sola sul ramo dell'albero, resiste con tutte le sue forze al susseguirsi delle stagioni e al corso della natura per non cadere a terra, per sopravvivere.
In questi giorni a Pisa è sventolata con forza una bandiera che simboleggia la resistenza. La parola resistenza implica impertinenza all'ordine precostituito delle cose, implica ribellione e opposizione.
In questi gioni a Pisa la resistenza ha una sua bandiera, una bandiera arcobaleno, una bandiera rebelde, una bandiera di resistenza politica, economica, sociale e culturale.
Il Municipio dei Beni Comuni è stato sgomberato dall'ex colorificio ed ha occupato la Mattonaia, proprietà privata la prima e pubblica la seconda, accumunate dallo stesso destino: l'abbandono e il degrado.
Non sono mai stata in nessuno dei due luoghi, ho visto le foto e i filmati, letto i racconti...ho una sensazione di perdita.
Perdita totale, sconfitta.
Le occupazioni ci sono sempre state, gli sgomberi pure, bracci di forza per ripristinare la legalità. Leggo una dichiarazione che dice che l'occupazione è un vero atto ostile che non agevola il dialogo.
Dialogo e legalità due parole importanti, che vanno difese e ripristinate, certamente si.
Eppure sento ancora la sensazione di perdita.
Sento che questo mondo ha perso la capacità di dare senso e significato, gambe e testa alle parole dialogo e legalità.
Sento che questo mondo ha perso la capacità politica di stare al fianco delle persone, di sostenerle nelle loro difficoltà quotidiane, di costruire soluzioni solidali.
Sento che questo mondo ha perso la capacità di appassionarsi e di appassionare, di far nascere e coltivare sogni e speranze, futuri futuribili, possibili e immaginabili.
Guardo le foto e i filmati e mi chiedo quanta energia ci sia in queste persone, quanta passione, quanta speranza di cambiare il mondo.
Se chiudo gli occhi immagino delle barricate colorate, costruite con fantasia e allegria e dall'altra parte della barricata noi grigi, impostati, arresi a difendere un mondo che produce macerie umane e materiali, scarti sempre più numerosi, perchè ogni giorno cambiano le regole, diminuiscono le sicurezze e basta poco per essere trasformati in scarti, invisibili, ma ingombranti.
Sento che queste foglie che resistono, che scelgono un modo per sopravvivere, con il loro resistere dipingono un mondo diverso, significati alternativi a quelli che sono sotto i nostri occhi.
Queste foglie che resistono all'autunno della speranza, del sogno e delle idee, ci dicono che forse siamo miopi, che non riusciamo neppure a vedere le macerie che continuiamo a produrre e loro che sono i figli delle macerie, provano a ricostruire, a dare un senso nuovo alle macerie, recuperano, riusano, ripuliscono, seminano fiori e piantine aromatiche.
E mentre lo fanno costruiscono uno spazio anche per noi, liberano aria anche per il nostro respiro.
Costruiscono un'alternativa, parola che noi abbiamo abolito dal nostro vocabolario, presi e spersi nel nostro pessimismo decadente.
Non è tutto oro quel che luccica vale per loro e molto di più per noi che gli stiamo rubando il futuro.
L'occupazione non agevola il dialogo?
Proviamo a falsificare questa affermazione, proviamo ad ascoltare, prima di pensare a dialogare proviamo a lasciare uno spazio di espressione per il nostro interlocutore, riconosciamolo e legittimiamolo.
Proviamoci autenticamente, proviamoci in nome degli scempi a cui ogni giorno assistiamo, in nome delle storture che ogni giorno siamo obbligati a subire, in nome di tutte le ingiustizie che ogni giorno ci investono, in nome delle mille illegalità legalmente riconosciute e ricercate con i nostri comportamenti quotidiani, in nome di tutto il futuro che ci siamo venduti, e che abbiamo rubato ai nostri figli.
Qualcosa gli dobbiamo a coloro che trovano la forza di r-esistere.