Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Negli anni sessanta mandare un figlio all’università era un grosso impegno per le famiglie normali. La mia faceva fatica ed io per raggranellare qualche soldo per le vacanze estive con qualche amico andavo, la domenica e il giovedì, alle corse in San Rossore.
Non andavo a giocare, soldi non ne avevo, ma a vendere i biglietti per la società Alfea che gestiva l’Ippodromo.
Vendevo la duplice, una specie di accoppiata in cui si doveva indovinare due cavalli fra i primi tre, non ricordo con esattezza.
Capitò una volta un signore che non conoscevo accompagnato da un giocatore assiduo e senza alcuna informazione in merito ma fornito di quella fortuna che colpisce spesso i neofiti (forse un influsso paranormale che fa vincere apposta per accalappiare lo sfortunato cliente) prese in pieno la combinazione e vinse ben 30.000 lire.
A quel tempo non una cifra che faceva ricchi ma comunque di grande soddisfazione, circa l’equivalente della paga di un impiegato.
Non l’ho più visto alle corse, almeno per il periodo in cui vi lavoravo. L’ho rivisto invece l’anno seguente sul pulman della Lazzi che portava noi studenti da Pisa a Migliarino per poi prendere la via dei paesi limitrofi. Il pulman restava fermo sul piazzale davanti alla stazione (era sulla piazzetta dell’affresco di Haring per capire) fino all’orario della partenza aspettando i ragazzi delle scuole. Lo vidi salire sul pulman ancora fermo a vendere le “mente”.
Le mente erano piccoli dolciumi artigianali fatti di zucchero, una specie di sigaro bianco arrotolato, che venivano trasportati in un semplice sacco di plastica tenuto in braccio aperto e offerti ai clienti. Erano i tempi dove le misure igieniche erano ancora molto carenti comunque il signore si presentava abbastanza bene nella sua dignitosa gabbanella bianca.
Costavano mi pare cinque lire mentre i “mentoni” più grossi, una specie di grossa castagna, dieci lire. Mi sorprese molto vederlo in quella veste e mi domandai se quello fosse stato sempre il suo lavoro, anche prima di quella improvvisa ed inattesa fortuna oppure se quella vincita, invece di una piccola gioia di un momento, non avesse in qualche modo innescato un meccanismo sciagurato di passione per il gioco.
Perché la storia raccontata ha una sua morale. Una morale che sta prepotentemente diventando un problema nazionale, quello appunto dei malati di gioco.Il disturbo si chiama GAP (Gioco d’Azzardo Patologico) e colpisce in Italia circa 900.000 persone, il 2% della popolazione adulta ma sicuramente i numeri sono in difetto. E’ una vera e propria dipendenza, come quella da droghe, con cui condivide addirittura i sintomi di astinenza come la sudorazione, la tachicardia, la nausea ed il vomito, il senso di soffocamento, fino a vere e proprie crisi d’ansia patologica in caso di astensione, volontaria o provocata, dal gioco.
Una vera e propria malattia quindi, un disturbo detto “compulsivo” in cui il soggetto non può fare a meno di giocare per non soffrire d’ansia e di tutti i sintomi collegati fino alla depressione con atteggiamenti criminosi e antisociali, prima a carico della famiglia e poi a carico della stessa società.
Società che non aiuta certo a prevenire questa piaga vista la facilità di accesso ai giochi d’azzardo, al mondo delle scommesse più o meno clandestine, all’estrema semplicità di ricorrere a queste pratiche anche fuori dai tavoli verdi. Oggi basta recarsi in un qualsiasi bar o avere un collegamento ad Internet.
Anche la famiglia ha una certa responsabilità di fronte a questi malati perché le statistiche parlano di una maggiore frequenza di malattia in persone che hanno vissuto in famiglie impegnate nel gioco d’azzardo, anche se la spinta maggiore a questi soggetti, e specie in questo periodo, è rappresentata dai problemi economici, personali e familiari, che fanno con facilità cadere nell’illusione di poter essere risolti con una vincita al gioco.
Il gioco, specie se con qualche successo iniziale, perde gradualmente il suo scopo iniziale di tentativo di soluzione (semplice e rapido) ad un problema reale (complesso e difficile) per diventare esso stesso l’oggetto del desiderio ed il soggetto gioca a questo punto per il piacere di giocare, impiegando sempre più tempo, sempre più denaro non riuscendo a staccarsi dalla macchinetta o dal computer. E se lo fa sviluppa ansia, malumore, comportamenti violenti e anche criminosi.Diventa in poco tempo un malato, ma lo diventa spesso dopo aver distrutto, oltre se stesso, la propria famiglia, i propri amici, la sua vita civile.
Sono innumerevoli le testimonianze sulla Rete o in TV riguardo alla diffusione sempre maggiore di questa malattia e alle nefaste conseguenze che può comportare. Molti sono anche i centri stanno nascendo con lo scopo di cure specifiche per questi malati mentre ancore poche le segnalazioni di chi si oppone a questa pratica dilagante.
Antonio e Eugenia non sono giovanissimi e gestiscono da tempo immemorabile il loro bar a Montignoso, piccolo comune in provincia di Massa Carrara. Dopo mesi di telefonate da madri disperate e mogli arrabbiate, con pensionati rovinati e disoccupati alla fame di recente è accaduto un episodio che per Eugenia ha segnato un punto di non ritorno.
È il primo pomeriggio e nella saletta c’è una cliente habitué delle slot: 50 anni, stiratrice a domicilio. «Le suona il cellulare – racconta Eugenia – “Sì mamma, ora arrivo, sto stirando”, risponde. Per tre ore il cellulare le è squillato in continuazione; era sempre la madre: “Ora vengo, ora vengo”. Ad un certo punto la vedo arrivare. Trafelata. Quando ho guardato negli occhi quella donna di 88 anni che cercava disperatamente la figlia nel mio bar, mi sono detta “ora basta”».
E così è stato. Hanno tolto la spina ai videopoker e hanno messo al loro posto un bel biliardino lucente, un gioco tanto antico quanto semplice, che costa poco e socializza molto, dove non siamo mai soli.
Ringraziamo Antonio ed Eugenia per la loro scelta, di vita, ma domandiamoci anche se sia corretto e opportuno che nelle nostre Case del Popolo, dove si dovrebbe fare anche un po’ di cultura, i biliardini e i Flipper siano stati completamente sostituiti da questi apparati moderni mangiasoldi.
Penso sarebbe utile una discussione su questo punto da parte dei Consigli di Circolo come anche servirebbe un incentivo pubblico alla loro dismissione dato che rappresentano una fonte di reddito che andrebbe perduta o molto ridimensionata.
Da alcune parti sta già accadendo e sembra la strada giusta per contrastare il fenomeno, oramai una vera e propria piaga sociale.