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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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LO SFOGLIO

11/1/2014 - 11:34



Alla fine dell‘estate, quando ancora le serate erano tiepide e le scuole non ti costringevano ad andare a letto presto, c'era un duro lavoro da portare avanti nelle aie dei contadini: lo sfoglio del granturco.
Le pannocchie staccate a mano nei campi e raccolte in ceste di sfoglia di castagno, venivano portate con i carri dei buoi fino sullo smalto delle aie e fatte asciugare stese al sole per alcuni giorni.
Poi, una sera, tutti insieme, si procedeva a privarle delle foglie secche e ruvide e prepararle alla trebbiatura.
Chi aveva una sedia, chi un panchetto, chi un rotolo di legno  fatto per poggiarvi le canne e i paletti da appuntare con il pennato, tutti si sedevano, per riposare le gambe gli uomini, per essere vicine le massaie che, finalmente, potevano parlare e ciarlare, tranquille di non portare via tempo ai lavori di casa e il cerchio si stringeva intorno al mucchio del granturco.
Man mano che questo calava ne crescevano due altri, quello più grande delle foglie e quello di gialle pannocchie che, per uno strano gioco dell'immaginazione, sembravano molto più pesanti ora che erano nude di quando avevano il rivestimento che le proteggeva.
Il lavoro veniva fatto di sera, non per motivi di raccolta o perché la notte fosse un periodo più favorevole, ma perché il pelo nero che è all'estremità delle pannocchie e le foglie rugose e durissime, provocavano un prurito fastidiosissimo che, se fosse stato aumentato anche dal sudore e dal calore del sole, sarebbe stata una vera tortura, specialmente per le donne anziane sempre vestite con quei gonnelloni lunghi e pesanti.
 La fioca lampadina da 40, sopra la porta di casa, illuminava debolmente l'aia e i lavoranti, lasciando noi ragazzi giocare indisturbati nella zona d'ombra, saltando sulle sfoglie senza curarsi del fastidio della polvere, usando semmai come antidoto un‘altra saltatina e rotolatina sul mucchio delle pannocchie sgusciate che davano un senso di freschezza con la loro finta scivolosità.
I grandi brontolavano, sia che si saltasse sulla paglia che sul granturco, ma solo per far valere l’autorità dell'anziano, danni non se ne facevano, tranne qualche pannocchia che si sgranava sotto i piedi i cui chicchi andavano poi raccolti uno per uno.
"Ma 'ndate a gioà più ‘nlà"
e noi, ubbidienti, via per i campi a cercar frutti, gongolando di quei giochi notturni ora permessi, ma così rari.
Quando si indolenziva la mano a qualcuna delle donne, per non perdere il ritmo del lavoro, veniva chiamato al suo posto un bambinotto che andava prima istruito su alcuni semplici, ma necessari, movimenti.
Afferrare la pannocchia, piegare indietro le estremità delle foglie, che poi foglie vere non erano, ma una specie di buccia, prenderle tutte insieme e tirarle con forza indietro fino a staccarle (come sbucciare una banana per Natale, quando ne vedevi una), lo scarto da una parte, la pannocchia dall'altra e ricominciare.
Il problema sorgeva quando la buccia era ben avviluppata, non spampanata, e i polpastrelli delle dita sembravano prendere fuoco nel tentativo di allargare le foglie che parevano diventate di cartavetra.
Ti veniva allora in aiuto un legnetto (si erano ben guardati di dartelo all'inizio) duro e appuntito, lungo una decina di centimetri, di pero o di stipa che, infilato di traverso fra foglia e pannocchia, strappava le brattee longitudinalmente allargandole per una più facile presa.
Chi non aveva il legnettino chiedeva il coltello al babbo e, avutolo con la promessa di non perderlo, con la scusa di cercare un cavicchio più duro e più dritto, scappava per il cortile tagliando di tutto, canne e foglie, legnini e legnetti, finche uno schizzo di sangue interrompeva la scorribanda e la testa infilata fra le gambe della mamma non era solo rimedio affettuoso e necessario per il dolore e lo spavento, ma opportunistico per la protezione data dalle gonnelle di tu' ma' per non prendere le patte di tu' pa' arrabbiato nero.
 
 

Fonte: dal libro "Dai monti al lago" di Umberto Micheletti (1994)
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12/1/2014 - 21:59

AUTORE:
ABC.

AMICHE

-Eh, bella la mi' Ìnisse, o quant'anni è che sèm'amìe... T'ariòrdi quand'erimo  ragazzotte, che mi par millani, che si 'ndava 'n par di serate alla sfoglia per sentí ll'organino e ballá cor un giovanotto. Allòra bisognava riguardassi eh, mia 'me òra che un c'è più vergogna. Perché a' nostri tempi se per combinazione accadeva che cor uno tu ci ballassi più di du' vorte c'era subito tu' ma' che ti vieniva a stintigná per un braccio e t'obbrigava a cambiá cavagliere perché nsenonnò con quello ci parevi 'mpegnata.
-Meó, o cotesta? O cosa è, er maiale si sogna le ghiande? O cosa mi vè a cercá, cosa mi vai, la sfoglia? O cosa ti viene ‘n mente, quando Bètta filava? Òra c'è la modernità, un lo vedi? Òra un ni ci vòr la sfoglia a’ giovanotti per indá a fermá le ragazze, com’a tu’ tempi, anzi è tutt’all'incontràghio, èn le ragazze che vann’a fermá ‘ giovanotti. Ma se’ propio rimasta agghiètro eh, più peggio de la 'óda der maiale. Te  se' stantia, cara la mi’ Vergigna, è meglio 'he tu ti dii 'na grollàta.
-Mah, io mi daró 'na grollata, ma certo te e quelle scotèzzole de le tu' figliole di grollate un n'avete bisogno, con tutte élle 'he avete uto. V'hanno spollaiato, vai, e di 'he tinta!
-Maremma scapigliata!, di sperversa, di linguacciuta, di sipiosa, di pillaccherona 'he tu un sé artro! O cosa c'incastra òra le mi' figliole, o cosa vorésti 'nsinïá? Di certo a un buzzo 'ome te e a quello scarbonchio de' la tu' figliola un vi ci s'accosta nissuno, vai! Addosso un vi ci si rampierébbe nemmen la léllora.
  ***
-O Marietta, o com'è ita che arséra le tu' amìe, la Ìnisse e la Vergigna s'èn date? Ma l'è visto 'me s'èn conciate, par che l'abbi treppïate un’erpïo.
-O che t'a a di', o Cesarina, le viddi ‘he si smanaccavino sur muso, eppè tutt’a un tratto le viddi accapigliate 'ome du' gatti 'nn ammóro, ma per cosa si letiàssino un n'ó idea.
-E sì che gliènno amìe da 'na vita.
-Amìe lòro lì due? Se te le raccontassi tutte... Fammi sta zzitta vai. Se t‘araccontassi  quanti rimpiattarelli ghiètro le pagliaia la sera a’ tempi de la sfoglia. Le vorte ‘he s’ènno schiantate ‘ ‘apelli per e giovanotti… Artro ‘he amìe... Eppè la 'avallina... Lòro lì due... Bella la mi’ Cesarina... Un mi fa discore vai.