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Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA  sono la figlia della "Cocca".

Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.

Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché  anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è  ancora comunità.  

Ricordate il tubo di refrigerazione della nuova pista .....
. . . come minimo si risponde due volte altrimenti .....
. . . siamo a M@ sterchief. Sono anni che giri/ ate .....
. . . Velardi arriva buon ultimo.
Il primo fu il .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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di Angela Baldoni
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Qualcuno mi sa dire perche' rincoglionire
viene considerato un inevitabile passaggio
alla fine del faticoso viaggio
vissuto da tutti con coraggio?
Il .....
ad oggi la situazione è peggiorata
ora anche tir, pulman turistici , trattori, camion con cassoni per massi,
etc. . E ad alta velocita,
inquinamento .....
Memoria e oblio, metafore vive del presente
Un intervento della professoressa Maria Antonella Galanti

27/1/2014 - 16:00


Memoria e oblio, metafore vive del presente

 

Un intervento della professoressa Maria Antonella Galanti, prorettore per i Rapporti con il Territorio dell’Ateneo, per la “Giornata della Memoria”. La prof.ssa Galanti è stata una delle promotrici dell’iniziativa “Figure della Memoria, Momenti della Storia”, a cura dell’Università di Pisa.

Il 27 gennaio 1945 fu il giorno della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz.

Le immagini dei pochi superstiti, dei luoghi e degli strumenti di tortura e di morte hanno fatto il giro del mondo e non ci sarebbe bisogno di celebrare una giornata della memoria per ricordarcele. Sono impresse nella nostra mente, sono parte integrante del nostro immaginario e ci hanno commosso o generato raccapriccio molte volte, nel corso del tempo, indelebili metafore di ogni insensatezza umana. Sono immagini terribili perché testimoniano l’esistenza, negli esseri umani, anche di una tensione a distruggere e a misurare il proprio valore in termini di rapporti di forza e di potere attraverso la sopraffazione ai danni di chi si trovi in condizione di maggiore fragilità sociale o debolezza contrattuale.

Non servirebbe a niente, perciò, questa giornata, se la intendessimo come una sorta di rituale risarcimento morale nei confronti degli ebrei e insieme a loro di tutte quelle comunità o insiemi di persone che sono state oggetto della violenza nazista, fino allo sterminio di massa: i dissidenti politici comunisti, socialisti e social-democratici, le persone omosessuali, i Rom, i malati psichici, i soggetti con disabilità e gli appartenenti, in generale, a religioni diverse da quella cattolica.

Si tratta, invece, di conservare memoria e consapevolezza della storia che coinvolge noi tutti, cioè di ciò che è stato possibile accadesse in Europa, nello spazio nero delle dittature che collega i due profondi abissi delle guerre mondiali.

Memoria e oblio sono due esperienze strettamente intrecciate.

È l’oblio che rende possibile la memoria come strumento vivo e attivo di lettura del presente e di progettualità rispetto al futuro. È l’oblio, cioè, che mettendo in ombra il resto permette di dirigere la luce sulla specifica esperienza che in una determinata circostanza si vuole rendere attuale. Non per farne testimonianza di un passato ibernato nella distanza storica, ma per rendere quel passato metafora viva del presente, capace di lasciare emergere il filo di paura e di speranza progettuale che lega l’ieri all’oggi ed entrambi al futuro.

I campi di concentramento possono apparire, a un primo sguardo, un’esperienza lontana nel tempo, ma altrettanto non si può dire, purtroppo, dell’idea che li sorreggeva e che rappresenta un pericolo sempre attuale.

Un pericolo subdolo, strisciante, spesso invisibile: l’omologazione degli individui gli uni agli altri, l’eliminazione di ogni differenza così da rendere le persone passivo oggetto di controllo e di dominio.

Oggi assistiamo, infatti, all’emergere di nuovi razzismi, non di rado suffragati da riedizioni di semplificanti riduzionismi di tipo biologico, mentre l’enfatizzazione della dimensione tecnica rischia di trasformarla in fine delle nostre scelte anziché in mezzo per migliorare la qualità delle relazioni umane e in generale della nostra vita.

 

Maria Antonella Galanti

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