Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Ecco ancora uno scritto di Piero Chicca pubblicato nel suo "Il mondo del mamài" e che mai come oggi è giusto rileggere.
MIGLIO
Emilio era il suo nome ma lo chiamavano Miglio.
Subito dopo il fatto che lo riguardò, qualcuno un soprannome glie lo affibbiò: Rinato.
Ma nessuno lo chiamò mai col soprannome, perché su certe cose non ci si scherza. E poi sarebbe stato il colmo del paradosso.
In effetti Miglio era come se fosse nato due volte, ma la seconda volta sarebbe stato meglio che non fosse nato, perché tutta la sua vita fu un susseguirsi di avversità, lutti e malanni, che il colpo di grazia, quel colpo che non ebbe la grazia di ricevere, gli avrebbe graziato.
Come diceva lui, Io 'on quell'assassini là un ce l'ó mia perché m'han fucilato, ce l'ó perché un m'han còrto.
Nessuno si azzardò mai a rammentargli che mentre lui era sopravvissuto, molti altri, perfino ragazzi, erano spariti dal mondo mentre avrebbero preferito tentare la sorte del vivere. Ragazzi talmente giovani che tanto poco avevano sperimentato la vita, che farli sparire fu più un crimine contro la natura che contro la morale e la coscienza. Nessuno gli rispose mai così, perché era davvero impossibile pensare che non era stato sfortunato a sopravvivere.
Mentre seguiva la chiazza di sudore che si allargava sulla camicia del ragazzo che lo precedeva, Miglio pensava che òra c'era da rompisi ' 'oglioni a cercá di 'ntende perché que' mambrucchi lì, che puntàvino 'r mitra e sbraitàvino 'me matti, àvin chiappato anco lui che cólla guèra un c'incastrava nulla.
Ma duve li portàvino? Perché 'ndavin verso 'r padule? Che lavori c'era da fa'? Chi erano e quanti erano quelli che lo seguivano silenziosi in fila indiana? E questi du' ragazzotti davanti?, cosa c'incastràvino anco lòro 'ólla guèra?
Il ragazzo che lo precedeva si voltava ogni tanto a guardarlo con espressione interrogativa e Miglio gli annuiva e gli negava col capo, furtivamente, a significargli di procedere tranquillo e di non preoccuparsi.
Però non capiva a che lavoro li portassero. Camminava assorto a capo basso guardandosi gli zoccoli e osservando una scarpa che il ragazzo davanti strascicava malamente e lo faceva zoppicare.
Si voltò indietro per vedere se fra quelli che lo seguivano c'era qualcuno che conosceva. Quando l'avevano preso non aveva fatto in tempo a vedere nessuno. Si era trovato davanti all'improvviso la fila silenziosa mentre stava uscendo da un campo di saggina e subito, pungolandolo con le canne dei mitra, tre o quattro soldati l'avevano incolonnato dietro ai due ragazzi senza dargli il tempo di vedere niente.
Non fece in tempo nemmeno quella volta perché il soldato che affiancava la fila alle sue spalle gli lanciò un bercio strozzato e gli si avventò addosso colpendolo alla nuca col calcio del mitra e mandandolo a sbattere contro i due ragazzi che gli stavano davanti. Caddero uno addosso all'altro nella mota secca della viottola dove una grandinata di calci li costrinse a gattonare per qualche metro prima di riuscire a rialzarsi.
La fila riprese la marcia e Miglio spolverandosi i calzoni si accorse di avere una chiazza di sangue su una coscia. Si toccò per cercare la ferita; non era ferito, il sangue non era suo, era quello del ragazzo in cima alla fila che teneva una mano premuta sul naso mentre un rivolo di sangue gli correva lungo l'avambraccio nudo e dal gomito gli cadevano gocce abbondanti di sangue che lasciavano macchie nere nella polvere.
Lo scosse il rintronìo degli scarponi chiodati sul ponte di tavole che attraversava il Fosso Reale.
Oltrepassato il ponte presero in direzione del lago su uno stradone sterrato fra i campi di granturco che terminava dopo un buon chilometro sull'argine che sbarrava il padule dalla Macchia di Migliarino ai monti di Massaciuccoli. Qui trovarono un gruppetto di SS che facevano baldoria e si strappavano di mano fiaschi di vino e forme di pecorino.
Brutti delinguenti!, borbottò Miglio fra sé, fate bene a fa' stragio di 'otesta graziadiddìo, tanto a voi un v'è mia góstata nulla.
A un gracchio del tenente che precedeva il gruppo dei prigionieri, i bivaccanti scattarono in piedi, si rassettarono le uniformi e si accodarono alla fila che senza fermarsi aveva voltato verso la Macchia.
Si pòrtino a Viareggio, pensò Miglio. Ma un c'era arte vie?, proprio di mezzo ar padule èn vienuti a passá. Ci dovin'avé da fa' quarche tòdde, e questi lazzeroni si fan lavorá noiartri poveri disgraziati mezzi morti di fame... E di bòtte.
Per un po' di strada la soldataglia che si era accodata continuò a schiamazzare e a ridere finché non li ammutolì una revolverata sparata in aria dal tenente, alla quale l'ufficiale scalmanato fece seguire esagitate parole di evidente strigliata.
Erano quasi le due, il sole di metà Agosto sfondava il cranio. Miglio aveva sete ma pensava a quanto soffriva quel ragazzotto lì davanti col naso fracassato da una pedata, che barcollava dal dolore.
Guardava gli aguzzini in cima alla fila che si attaccavano di continuo alle borracce e si facevano traboccare la bocca.
A noiartri bé un se lo danno, tanto sarébbe acqua buttata via; fra pòo si fucìlin tutti, gli bisbigliò il vecchio che lo seguiva.
Ma che bischerate dici!, ribatté Miglio; si pòrtino a lavorá 'n quarche posto.
Ma che lavorá e lavorá, questiì si fùcilin tutti. Ó sentuto di' che fùcilin tutti gl'iomini 'he tròvino, vecchi, giovani, bambini... purchessìa.
In quel momento Miglio si ricordò che un paio d'ore prima aveva sentito un brontolio sordo, lontano, da qualche parte, ma non ci aveva fatto caso, proprio non ci aveva pensato, aveva continuato a tagliare la saggina. Ma ora che se lo ricordava gli sembrava che quel rumore poteva essere proprio come una raffica di mitra.
Assorto in questo pensiero cercava di figurarsi come poteva essere una fucilazione. Gli tornava alla memoria un disegno su un libro di scuola che l'aveva tanto colpito. Due uomini con le mani legate dietro la schiena, la camicia bianca aperta sul petto e una macchia rossa dalla parte del cuore erano raffigurati come se avessero le gambe spezzate e cadessero a terra avvitandosi su se stessi, mentre le canne dei fucili del plotone d'esecuzione fumavano tutte meno una. Quel fucile non aveva sparato, quello era del soldato che gli era toccato per sorteggio il fucile scarico. Glie lo aveva raccontato anche suo padre buonanima, che aveva fatto la grande guerra, che i plotoni d'esecuzione erano fatti così: che siccome nessuno voleva farne parte, perché agli uomini perbene non piace ammazzare altri uomini, e poi in quel modo... Ora in guerra, si sa, diceva suo padre, si deve combattere, perché se io non ammazzo te, te ammazzi me, è la tua pelle contro la mia. Ma tirare una fucilata a un uomo disarmato, e per di più legato... Magari erano spie o traditori, o qualche volta anche soldati che si rifiutavano di andare all'assalto alla baionetta, morte quasi sicura, perché avevano paura... Ma perché?, se uno ha paura si ammazza? Eh!, si sa, in guerra tutti devono fare il loro dovere, ma essere coraggiosi è un dovere? Anche lui in questo preciso momento sentiva che forse aveva paura. Allora meritava di morire fucilato? A parte questa ballerina allo stomaco che gli sembrava... sì forse poteva essere un po' di paura, cosa aveva fatto di male? Lui alla prima guerra non c'era stato perché non era nato e da questa l'aveva salvato il malcaduto che lo tormentava da anni. Ma se ci fosse stato chiamato non si sarebbe rifiutato. Quanto ad avere paura, mah, questo non lo poteva sapere, bisogna provare. Queste cose vanno provate direttamente. Suo padre gli diceva che paura l'aveva avuta, e anche tanta, ma aveva fatto il suo dovere, alla baionetta ci s'era scontrato e non ricordava altro che quel bruciore in una spalla che lo fece tornare a casa con un polmone solo, che lo rese inabile a qualsiasi lavoro e che lo portò alla morte, brutta, pochi anni anni dopo. Suo padre l'aveva vista la fucilazione e appunto gli raccontava che fra i fucili che vengono consegnati al plotone d'esecuzione ce n'è sempre uno scarico e ogni soldato spera che tocchi a lui. Questi assassini invece i mitra li avevano belli carichi e pareva che fossero impazienti di scaricarli addosso a loro.
Arrivati in prossimità della Macchia lasciarono l'arginello e scesero lungo il bordo di un fossaccio nero e pantanoso dove al loro passaggio centinaia di ranocchi grandinavano verso il ciglio opposto.
Boia!, pensò Miglio, qui non c'ero mai stato; domenica ci torno e ci faccio una pesacchiata di ranocchi.
Uno strepitìo di berci taglienti fece arrestare la colonna. Due soldati fecero voltare i prigionieri spalle al fosso mentre altri sette andarono a piazzarsi a una decina di passi di fronte alla fila.
Ora Miglio ebbe modo di vedere i suoi compagni di sventura. Li conosceva tutti, meno i due ragazzi che gli avevano camminato davanti e un altro che era fra quelli che lo seguivano.
Nessuno parlava.
I due soldati che avevano fatto allineare la fila si eran piazzati a poca distanza ai lati, coi mitra spianati. Gli altri sette di fronte parlottavano fra loro; due si accesero una sigaretta; uno finì di solare un fiasco di vino e lo lanciò oltre la fila immobile.
Il ragazzo che sanguinava aveva tolto la mano dal naso, il suo viso era una maschera di sangue stravolta dal gonfiore. Miglio pensò che sarebbe rimasto sfigurato per tutta la vita.
Pezzi di maladissi!, ma che si fa 'no spregio 'osì a un bambino! Se un fosse 'he c'è di mezzo ' mitra vi sarteré addosso e vi spaccheré 'r naso a tutti, eppè vi porteré 'n Germania a pedate nner culo!
Si sentiva aggranchire le dita dalla rabbia.
Dèccoli là, tutti 'n fila a ride e 'nbriaassi co' mitra spianati. Bella forza! Posateli 'n tèra e restamo tutt'uguali a mano nude eppè ve lo faccio vedé io a che òra fa giorno! Mi v'avvento addosso e vi faccio un mucchio!
I soldati ridacchiavano fra loro e trafficavano coi mitra.
Se vi ritrovo a guèra fenita...
A un abbaio i mitra si spianarono contro i prigionieri. Miglio si convinse che aveva ragione il vecchio: li fucilavano davvero; quello era il plotone d'esecuzione.
Ma perché li ammazzavano? Ma poi, li ammazzavano davvero? Ma via, come si fa a tirà a un omo?
Ma perché noi si sta tutti zzitti? Lòro là un aspèttino artro 'he ni si dii via òra basta, facciamela fenita, se si volevi mette paura se l'avete messa. òra basta, abbassate li schioppi. Li schioppi un si pùntino, lo sapete?, potrébbe succede 'na disgrazia...
Ci sarà uno che ha 'r fucile scàrio? A chi mirerà?
Quando parti l'ordine di sparo Miglio ebbe un attimo per guardarsi intorno. Un lampo d'occhi alle cose che non avrebbe più visto. Le Apuane spiccavano turchine su un azzurro diafano afoso. I vetri di una finestra fra i boschi di Montignoso rifletteva un scintillio accecante. E in un silenzio terribile arrivò con uno stridio di rondoni che parevano lamenti di infilzati, una folata di vento e uno spintone che lo investi e lo fece precipitare all'indietro.
Riverso nel pantano che l'aveva mezzo inghiottito, coi masseteri contratti e gli occhi spalancati Miglio era morto.
Vedeva passare le nuvole.
Sentì qualche sparo isolato.
Non sentiva nessun dolore, solo un peso che lo immobilizzava e gli schiacciava il respiro.
Si muore così?, pensò. E rimase immobile con gli occhi chiusi.
Quando li riaprì, senza rendersi conto dopo quanto, il cielo si era ingrigito e gli sembrò che la luce calasse rapidamente.
Quando non vedo più nulla sono morto davvero, pensò.
Ma quando fu buio cominciò a sentir crescere il coro dei ranocchi e si accorse che l'acqua in piccoli rivoli rossi era rifluita verso l'incavo formato dalla sua testa nel pantano e gli solleticava un angolo della bocca che gli attraversava quasi tutto un lato del viso come una ferita.
A sera tardi un vocio e i lamenti sommessi di alcune donne lo riportarono alle realtà.
Quando raccolsero i corpi dei due ragazzi che gli erano caduti addosso sentì che riprendeva a respirare.
A quell'ora il plotone degli aguzzini si era ricongiunto con altre bande provenienti dal padule di Fucecchio, che al comando di un maledetto monco razziatore di uomini, marciavano verso la Freddana. E poi verso Sant'Anna di Stazzema. E poi verso Marzabotto. E poi oltre.