In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.
Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.
Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente.
Con parecchi anni di distanza ecco quello che avevo preparato per una di quelle uscite nel territorio e che avevo chiamato: “Da San Luxorio ai Savoia”, effettuata il 2 giugno 1996.
San Luxorio era un martire cristiano, ucciso in Sardegna sotto l’impero di Diocleziano. Dato che l’isola era pisana nel 1080 i suoi resti furono portati a Pisa in una piccola chiesa che sorgeva presso l’attuale complesso delle Cascine Nuove e cosi, da quel momento tanto importante, la chiesetta e la selva, prima detta palatina, presero il nome di San Luxorio, poi San Lussorio e infine San Rossore.
La dominazione pisana in Sardegna ha fatto attribuire ad una località del circondario cittadino uno strano nome che ricorda un importante momento storico ma che, a causa di una particolare storpiatura, sembra più uno scherzo che la memoria della sofferta vita di schiavitù: mi riferisco a Barbaricina.
Intorno ai primi decenni dell’anno mille Pisa aveva conquistata la Sardegna e cominciata la costruzione della sua opera maggiore, il Campo dei Miracoli.
Dalla Sardegna i pisani avevano portato schiavi che abitavano la Barbagia e li avevano accampati in una località chiamata San Concordio e che ben presto prese il nome di Barbaricina, ma i pisani, quando la vicina Tenuta di San Rossore divenne proprietà dei Savoia, chiamarono il luogo Barba-Regina, quasi voler sfottere la casata reale.
Ritornando al santo, va ricordato che le sue spoglie furono trafugate nel 1422 dai fiorentini (nati di ‘ane s’attaccavino anco all’ossi ‘ve peori!) e portate nella chiesa d’Ognissanti; nel 1591, infine, il Granduca Ferdinando I spostò definitivamente la reliquia nella Chiesa pisana dei Cavalieri.
La piccola chiesa di San Lussorio, divenuta monastero fino dal 1311, è oggi scomparsa e con lei tutte le chiese che si trovavano dentro la vasta area di San Rossore.
C’era la chiesa di San Bartolomeo, che la tradizione vuole raffigurato nella statua (oggi cambiata come la successiva) a sinistra dell’ingresso principale della Tenuta, e il cui nome è stato poi dato ad un tratto di bosco verso l’Arno; c’era quella di Santa Maddalena, effigiata nella statua destra e ricordata, verso il Serchio, nel bosco della Maddalena; c’erano poi, oltre al monastero già ricordato con la chiesa di San Luxorio, quella di Sant’Apollinare, di San Concordio, di Santa Sofia, di San Ropizio, di Santa Lucia e una piccola cappella, per chi non s’accontentava, detta delle Vacche Brave.
La vasta zona di San Rossore, semi impaludata dai meandri dell’Arno, ebbe bisogno di continui interventi idraulici realizzati col raddrizzamento del corso del fiume, con le colmate delle zone basse e l’apertura di un canale di scolo: Fiume Morto.
Nel 1507 il Capitolo del Duomo aveva affittata la Tenuta, ma nel 1535 Cosimo l del Medici rivendica un interesse tutto privato per San Rossore. Furono costruite due torri a difesa del litorale, la Torre Riccardi e quella di Bocca di Serchio, gli edifici dl Cascine Vecchie per i bovini e la Strada che da Pisa portava fino al mare. Nel 1622 Ferdinando II importò in San Rossore il primo dromedario al quale, per l’ottimo adattamento dimostrato, ne seguirono trecento comprati in India, dove la famiglia Medici aveva interessi commerciali, e il trasferimento della strana mandria dal porto di Livorno a San Rossore fu per i pisani l’evento del secolo.
Prima dell’ultima guerra c’erano ancora una sessantina di dromedari nostrani (Gelosa, Eritrea, Asmara, Sinfarosa, Sparviero, Bella, Zebedeo e via di seguito), ma finirono nelle pance dei soldati delle truppe mongole al seguito dei tedeschi durante la loro occupazione del 1943.
Solo Messalina e Rosalinda sopravvissero; spedite allo zoo di Roma, dove si trovavano i compagni Vermiglio e Ginepro, morirono di peste bovina, estinguendosi così la stirpe medicea. Chi ha avuto la fortuna di vedere, anni addietro, due dromedari che pascolavano vicino a Cascine Nuove, forse non sa che questi erano un dono alla Tenuta dell’Ente del turismo pisano.
Riprendiamo la Storia di San Rossore. Nel 1732 i Lorena succedettero ai Medici e cominciarono i tagli dei boschi per fornire il legname alla marina militare del porto di Livorno. Fu chiamato un ispettore dei boschi dall’Olanda, Enrico van Buggenhoudt, che iniziò a piantare sistematicamente querce, ontani e lecci nelle zone più basse e pini domestici sulle dune e in zone non ancora boscate.
Successivamente l’ondata napoleonica interessò anche San Rossore dove i francesi uccisero tutti gli animali domestici e non per farne carne da alimenti, risparmiando solo i piccoli dromedari. Fortunatamente dopo una decina di anni i Lorena ripresero l’antico possesso ricostruendo la Tenuta come la vediamo adesso.
Qui nel 1838 Leopoldo II aveva dato in concessione l’arenile del Gombo a Gaetano Ceccherini e questi vi aveva costruito una villetta e impiantato un bagno pubblico ben custodito, dove nel 1849 uno studente spezzino dell’Università di Pisa affogò “…per essersi tuffato in acque oltre il recinto del suddetto bagno ..."
Con l’Unità d’Italia fu costruito lo stabilimento delle Scuderie Reali alla Sterpaia e, nel 1864, Vittorio Emanuele II cominciò un lungo braccio di ferro col Ceccherini per riscattare la concessione lorenese.
Il gestore riuscì infine ad ottenere sia una ingente somma di denaro, sia il permesso di aprire un nuovo bagno sulla riva sinistra della foce dell’Arno, e la palazzina del bagnaiolo divenne cosi, debitamente ristrutturata, abitazione per la famiglia reale.
L’ultima guerra ha distrutto il villino, al suo posto é poi sorto quello destinato, fino a poco tempo fa, al riposo e agli incontri d’affari del nostro Presidente della Repubblica.
Oggi per entrare nella Tenuta si passa sopra un piccolo ponte, detto delle Trombe perché i valletti reali, all’avvicinarsi di ospiti illustri venuti più che altro per le famose caccie di casa Savoia, facevano appunto squillare alti suoni di corni e di trombe. Ora sul ponte ci controllano le guardie "presidenziali” che indossano la stessa divisa di quei tempi: grigia con risvolti verdi, alla cacciatora, avendo cambiato solamente il cappello, prima all’alpina con una penna di fagiano laterale.
Gli animali più significativi della Tenuta-Parco sono certamente i daini, ma vi erano agli inizi del ‘900 anche antilopi, cervi comuni e wapiti, oltre agli onnivorissimi onnipresenti cinghiali. La storia dei cinghiali di San Rossore è singolare: quando nel 1848, dopo la fuga di Leopoldo II, fu istituito in Toscana il Governo Provvisorio, i cittadini di Pisa entrarono a frotte nei boschi e nei campi, prima negati loro, e fecero man bassa di tutto quello che capitava alle mani. Non lasciarono neanche uno strioncino, tanto che il Governo Democratico fu costretto a liberare nella Tenuta una gran quantità di maiali domestici; questi, successivamente, si accoppiarono con i cinghiali che traversavano il Serchio dalla confinante Tenuta Salviati dando cosi il via a quel magnifico cinghiale di razza incrociata che oggi si vede correre lontano a ogni più piccolo rumore. "E’ meglio avé paura che toccanne!”.
La Regina Elena, che era una grande pescatrice, alternava le sue battute fra Bocca d’Arno, Bocca di Serchio e Fiume Morto. Era una così appassionata lenzista che si infilava i vermi da sé, ma aveva bisogno dell’aiuto di mio padre, suo canaio di fiducia, per la preparazione della mazzacchera, che "quei sudici, viscidi, schifosi beci" non li pativa proprio. Grazie alla Regina Elena fu introdotto il persico sole nelle acque di Fiume Morto, tanto che quel piccolo colorato pesce ancor oggi è detto pesce della regina.
Vittorio Emanuele III amava dire: “se le cure dello stato me lo permettessero io vorrei rimanere per sempre in San Rossore”.
Anche noi!
1 - monastero di San Luxorio a Cascine nuove
2 - cammelli che eran dromedari
3 - villino reale al Gombo già Ceccherini
4 - il Re alle corse
5 - darsena della Regina in Fiume morto
6 - ponte delle trombe
7 - ingresso e villa reale
8 - caserma finanza su forte Bocca di Serchio