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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
Le Parole di Ieri
Da Abbellissi a Abbriccagnolo

9/3/2014 - 17:35


ABBELLISSI
Lett: ABBELLIRSI. [Farsi bello, adornarsi].
In tutta la toscana è utilizzato con il significato di servirsi da soli, liberamente; poter scegliere fra tutta la merce fino a rimanere soddisfatti.
Portonno ‘n tavola tante di velle pietanze che mi ci’ abbellii fino a fammi lustrà la pelle della pancia!”                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      
 
ABBIOCCO
Lett: nc.
Sonnolenza, torpore che precede il sonno.
M’è preso un po’ d’abbiocco” : mi è preso un po’di sonno.
Da abbiocco deriva abbioccato, assonnato, insonnolito ma anche pigro, indolente.
[Forse derivato da bioscio nel senso di tenero, molle onde si ebbe bioscia per materia liquida , che abbia del ributtante. Divenir floscio, molle e quindi cadere; Sdraiarsi; e metaf. Avvilirsi, Sgomentarsi]
 
ABBOCCATO
Lett:ABBOCCATO. [Pieno fino all’orlo. Di vino che tende al dolce. Di bocca buona, che mangia molto e di tutto].
Corrispondono al significato dialettale del termine le prime due definizioni: un vino che tende al dolce ed un recipiente pieno fino all’orlo, tanto che si dice sboccare il gesto di far uscire, con un rapido movimento del braccio, la parte superiore di un liquido dal recipiente che lo contiene.
La terza definizione, che si riferisce al cibo, assume invece in dialetto un significato più ampio del semplice riferimento alimentare estendendosi ai rapporti con l’altro sesso.
Abboccato era infatti chi si accontentava di beccare, cioè di conquistare, anche una ragazza non particolarmente bella venendo, per questo, abbondantemente canzonato dagli amici.
 
Aneddoto
Non particolarmente bella era anche la ragazza che al cinema Olimpia di Vecchiano, quella sera del 1959, vinse la Pentolaccia al veglione di Carnevale.
Il presentatore la intervista, fra gli applausi della gente, chiedendole il nome ed un commento sulla vittoria:
“’Un mi facci parlare -dice la ragazza- sa, sono un po’ ‘motiva.
Posso dinni solamente d’esse contenta …d’avella rotta!
 
ABBORRACCIARE
Lett: ABBORRACCIARE. [Far male, senza considerazione, a caso, alla cieca, in fretta].
E’ un verbo un po’ in disuso che in dialetto manteneva lo stesso significato italiano di una cosa fatta in fretta, alla meglio, senza la necessaria attenzione e precisione.
E venuto un po’ abborracciato” : è venuto alla meglio.
 
 ABBRICCAGNOLO
Lett: ABBRICAGNOLO. [Uccelletto che si arrampica sugli alberi, deriva dal toscano abbriccare: inerpicarsi, arrampicarsi, (detto anche Rampichino)].
In dialetto si è solo raddoppiata la c ed è un uccellino molto piccolo, tutto penne, che non fa grandi voli ma preferisce saltellare da un ramo all’altro. Un tempo molto comune, oggi lo vediamo piu’ raramente. Non era molto diffidente e si faceva facilmente avvicinare diventando facile preda dei ragazzotti muniti di strombola o di carabina a pallini.
La carabina, comunemente detta a pallini, ma correttamente definita “ad aria compressa”, era un oggetto molto comune fra i ragazzi fino agli anni settanta.
Attualmente è considerata un’arma vera e propria, per possederla è necessario il porto d’armi, ed il suo utilizzo limitato al tiro a segno. Un tempo, invece, era di uso libero ed i ragazzi la utilizzavano
soprattutto per cacciare uccellini, lucertole, polli e gatti se capitavano, esseri umano ogni tanto, accidentalmente. 
Ne esistevano diverse marche ma quella più conosciuta ed apprezzata era la “ Diana”.
La Diana era un’arma che si caricava piegando la parte anteriore della canna in modo da comprimere una molla la quale, scattando, muoveva uno stantuffo ad aria che spingeva con forza il proiettile, rappresentato da un pallino di piombo chiamato per questo piombino.
Il piombino era un cilindretto lungo circa 4 mm con una punta a cono, nella versione comune, ma esisteva un pallino speciale chiamato “diablo” più lungo, fatto con una punta ed una coda conica zigrinata che permetteva una migliore precisione di tiro. I pallini si acquistavano a peso alla bottega, incartati in un pezzetto di foglio di giornale, e di solito si tenevano sciolti in tasca macchiando poi di grigio mani e pantaloni.
Quando non si voleva cacciare ma fare il tiro a segno si usavano i piumini. Questi erano cilindretti metallici con al davanti una punta sottile, terminanti dietro con una specie di pennacchio colorato, come piccole piume. Erano più costosi e venivano sparati su oggetti di legno in cui rimanevano infissi, per poi essere sfilati ed utilizzati di nuovo.
La Diana era proposta in diversi modelli indicati da numeri progressivi che ne segnalavano la progressiva potenza di tiro. La Diana 22 era quella più diffusa, la 25 più precisa e potente ma anche più pericolosa per la sua grande portata.
Un’altra arma molto usata in quel tempo dai ragazzi, anche se non diffusa come la Diana, era il Flobert: un vero e proprio piccolo fucile.
Era usato, in verità, anche dagli adulti per un tipo di caccia speciale, quella di frodo “in macchia”, come si usava chiamare la proprietà Salviati non ancora diventata Parco Naturale. L’arma era sufficientemente potente ed il rumore dello sparo abbastanza contenuto, tanto da riuscire a sfuggire il più delle volte al controllo delle guardie forestali.
Il caricamento era di tipo a moschetto, cioè si tirava indietro il meccanismo di otturazione, si inseriva una cartuccia, a palla unica, più corta, o a pallini più lunga, e poi si caricava l’otturatore.
Il calibro era 6 o 9 mm: il 9 mm era una vera e propria arma, molto pericolosa.
Bisogna riconoscere che molti giochi, in quegli anni, erano rischiosi o addirittura pericolosi. Abbiamo ricordato le carabine ed il Flobert ma anche le confezioni delle bibite con la chiusura a pallina, comparse subito dopo guerra, al tempo dell’uso del carburo (vedi), erano utilizzate in maniera molto pericolosa fino a diventare vere e proprie piccole bombe.
Anche altri giochi, diciamo “ordinari”, non erano da meno. Ad esempio lo scoppio provocato mischiando piccole quantità di zolfo con alcune pasticchine a base di potassio che si potevano acquistare tranquillamente in farmacia. Erano in una scatolina gialla, di latta, che si apriva a perno da un lato. Venivano mescolate con lo zolfo e poi posate su un sasso piano. Al di sopra si metteva un altro sasso, o un pezzo di mattone, e si colpiva con il piede determinando una frizione che faceva esplodere la miscela. L’esplosione era proporzionata alla quantità di materiale posto fra i sassi e talvolta poteva essere molto forte, ed anche molto pericolosa.
Se lo zolfo mancava si poteva ovviare scapocchiando una decina di fiammiferi di legno.
Una variante di questo gioco era il posizionamento della miscela zolfo-potassio tra due grossi bulloni uniti per il fondo da un unico dado, separati da uno spazio minimo. Si lanciavano in alto i bulloni più volte fino a quando si riusciva a farli cadere di punta, innescando così lo scoppio della miscela con la separazione dei bulloni.
 

 

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