Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Il nome di questa pianta, Muscari, si lega al tenue profumo somigliante a quello del muschio di alcune sue varietà. Gli venne attribuito da C. Clusius, un illustre botanico di Costantinopoli vissuto nel diciassettesimo secolo.
Tra i nomi volgari utilizzati per le varietà presenti in Italia, ricordiamo: Lampascione, Muschino, Pan del cucco, Pentolino, Giacinto dal pennacchio, Muscarino, Giacinto delle vigne (o delle viti), Cipolla canina, Cipolla selvatica, Cipolla di serpe, Porrettaccio, Cipollone, Zazzeruto.
Della cinquantina di specie che la famiglia comprende, solo sette hanno diffusione nella nostra penisola. Il nostro “lampascione” che in latino si chiama Muscaricomosum, è appunto uno dei sette, insieme a varietà come il Racemosum, dai fiori odorosi, o l’Armeniacum, che viene coltivato a fini ornamentali.
In Puglia, unica regione dove si conosce e si consuma il lampascione, tra sasso e sasso i raccoglitori, vedendo lo stelo sovrastato dal grappolino di fiori violacei, devono scavare a fondo (p’acchjà u cambasciole adà scavà affunne) finché viene fuori il bulbetto duro che, liberato dalle tuniche più esterne, brune di terra, appare colorito dello stesso roseo incarnato dei ciclamini.
Lontano parente dell’aglio, al quale e legato dall’appartenenza alla stessa famiglia, somiglia nell’aspetto più alle cipolle, con tuniche sovrapposte e compatte, che assumono nel bulbo la forma grosso modo di una piccola trottola. I cercatori stanno bene attenti a non danneggiarla nell’estrazione, spazzolandola poi dal terreno.
Ma le difficoltà, per chi volesse gustare questi squisiti frutti della terra presenti anche sulle nostre colline vecchianesi, non sono certo finite. I lampascioni vanno pelati, lavati più volte finche non si saranno liberati completamente della patina bruna o rossa di terra che li riveste, quindi vanno tenuti a bagno, finché, emettendo una specie di seriosità collosa, non avranno perso il sovrappiù di amaro, che li renderebbe ingrati al palato.
Lessi, con olio e pepe, leggermente schiacciati con i rebbi di una forchetta, è il modo più semplice e comune di apparecchiarli, ma l’uso dei contadini murgiani vuole che, cosi come vengono raccolti, siano messi a cuocere sotto la cenere e poi privati della parte più esterna e conditi con olio, aceto e sale. Nel Salento si usa friggerli uno ad uno, facendo allargare nell’olio bollente i vari strati che li compongono, cosicché assumono l’aspetto di rose dischiuse o cotti al forno con patate ed agnello, o sotto forma di frittata con l’uovo.
È fatica raccoglierli, è problematico cuocerli e allora godiamoceli nel loro azzurro, anche se a volte abortito, come fa l’ape spinta da questa precoce primavera.
io lo chiamo cipressino viola