Evento davvero memorabile a san Giuliano Terme il 25 luglio a partire dalle ore 18, all'interno del Fuori Festival di Montepisano Art Festival 2024, manifestazione che coinvolge i Comuni del Lungomonte pisano, da Buti a Vecchiano."L'idea è nata a partire dalla pubblicazione da parte di MdS Editore di uno straordinario volume su Puccini - spiega Sandro Petri, presidente dell'Associazione La Voce del Serchio - scritto da un importante interprete delle sue opere, Delfo Menicucci, tenore famoso in tutto il mondo, studioso di tecnica vocale e tante altre cose.
Il secondo paradosso di Zenone nella società italiana contemporanea
«Achille, simbolo di rapidità, deve raggiungere la tartaruga, simbolo di lentezza. Achille corre dieci volte più svelto della tartaruga e le concede dieci metri di vantaggio. Achille corre quei dieci metri e la tartaruga percorre un metro; Achille percorre quel metro, la tartaruga percorre un decimetro; Achille percorre quel decimetro, la tartaruga percorre un centimetro; Achille percorre quel centimetro, la tartaruga percorre un millimetro; Achille percorre quel millimetro, la tartaruga percorre un decimo di millimetro, e così via all’infinito; di modo che Achille può correre per sempre senza raggiungerla»
Con queste testuali parole lo scrittore argentino Georges Luis Borges - l’umanista che ne «Il nome della Rosa» di Umberto Eco vestì i panni dell’enigmatico Jorge da Burgos e che ideò il «Manuale di zoologia fantastica» ovvero il mio primissimo motivo di incontro con la sua intramontabile opera - provò a raccontare al mondo la sua interpretazione del secondo e più famoso tra i paradossi del filosofo greco Zenone - di stanza in quella parte di Magna Grecia che oggi conosciamo come Piana di Velia nel salernitano - noto con il nome di «Achille e la tartaruga».
Ho - di questo pur breve ma splendido frammento della storia del pensiero - una memoria controversa: fu per me motivo tale - al terzo anno di Liceo Scientifico - di riflessione storico-filosofica che, giunto l’annata successiva a doverlo ripercorrere in chiave matematica e dovendone confutare - ad un tempo - la straordinaria potenza immaginifica e tutti gli aspetti poetico-estetici connessi, ebbi non poche difficoltà a doverne piegare il costrutto ai dettami della scienza.
Ciò nonostante e mio malgrado mi piegai alle ingrate prescrizioni dei numeri, pur se rimanendo intimamente e segretamente affascinato dalle conseguenze teoretiche di quel lisergico parto creativo e benché avessi raggiunto il nuovo stadio di consapevolezza con la stessa pregnante riluttanza con cui ogni conoscitore della storia delle Americhe si ritrova ad ascoltare il melanconico finale del colossal «Balla coi lupi» di Kavin Costner: «Tredici anni dopo, le loro case distrutte, i loro bisonti scomparsi, gli ultimi Sioux ancora liberi si sottomisero all'Autorità dei bianchi a Fort Robinson, nel Nebraska. La grande cultura del cavallo e della prateria era finita per sempre e la Frontiera Americana stava per passare alla storia».
A più di vent’anni di distanza, le mie perplessità sulla risoluzione matematica del secondo paradosso di Zenone di Elea riaffiorano - di tanto in tanto - in maniera del tutto imprevedibile, facendomi intimamente sobbalzare e subodorare gli estremi di una congiura ordita dal mondo scientifico ai danni di quello umanistico.
Ma se mi è difficilmente presagibile a quale moto dell’anima possa condurre l’evocazione di quel passo - cioè se a riviverne con lo stesso piglio onirico adolescenziale la surreale potenza poetica e letteraria o se a ripercorrerne ogni tappa di quel tortuoso sentiero di fredda decifrazione quantitativa -, con matematica certezza posso affermare invece a quali sollecitazioni esterne possa rispondere il suo nitido e puntuale dissotterramento dai recessi della memoria: con chirurgica precisione, il ricordo del secondo paradosso di Zenone, riaffiora ogni qualvolta mi imbatta in una situazione reale tragicamente grottesca, imbevuta di assurdo e di insensato.
È accaduto regolarmente anche quest’oggi, allorché mi sono imbattuto prima nel rituale laconico link accompagnato dal caustico commentario di improperi, poi nella diramazione - da parte di TG24 - della notizia secondo la quale il prode Mauro Moretti, AD di Ferrovie dello Stato sarebbe pronto a scendere dal suo “trenino” milionario per imbarcarsi in una qualche novella avventura fuori dai confini italici.
Ed è accaduto non tanto per la paradossale ripicca, per il capriccioso cipiglio con cui il super-manager sembra intenzionato ad accogliere la prospettiva di adeguamento degli emolumenti - dagli attuali 850.000 € annui (che - per noi comuni mortali - equivalgono a poco meno di 71.000 € al mese), a quelli più sobri (se così si può davvero dire) di un Primo Presidente di Cassazione, per un ammontare di circa 293.000 € annui (o - ancora per noi comuni mortali - appena più di 24.000 € mensili) -, ma per non meno di un altro paio di ottime ragioni.
La prima è cronaca vecchianese degli ultimi giorni ed è ampiamente descritta nel comunicato dei Rappresentanti dei Genitori nel Consiglio di Istituto dell’I.C. “Daniela Settesoldi”: un ottimo dirigente, una persona con la schiena dritta (ogni giorno intenta a fare i conti con le ristrettezze in cui proprio le scellerate raffiche di mitra della Spending Review hanno depauperato la Scuola Pubblica nel perverso tentativo di continuare ad assicurare a personaggi del calibro di Moretti remunerazioni da capogiro) e non certo retribuita in maniera faraonica, deve cedere il passo ad un’incongruenza procedurale, mentre ad un uomo - sulla cui testa pende finanche un’accusa per strage, relativamente ai tragici fatti di Viareggio del 2009 - dovrebbe essere concesso mantenere un volume di privilegi straordinario, pur se neanche lontanamente riconducibili a qualche impresa meritoria o, quantomeno, ad un pedigree formativo di prim’ordine.
La seconda invece è a dir poco bizzarra, un vero peccato di auto-celebrazione ma, soprattutto, una chiara e sproporzionata tendenza all’auto-sopravvalutazione: Mauro Moretti, minacciando di lasciare l’Italia laddove dovesse occorrere che la Spending Review (finalmente) si abbatta sulle vere cause di ogni dissesto della bilancia pubblica - altro che scuola, sanità o pensioni! - denota quanto svagatamente e dissennatamente possa essere distorto il suo campo di percezione della realtà.
Quasi che il Paese dovesse privarsi di una delle sue più preziose risorse, del più fecondo capitale umano, del più irrinunciabile patrimonio intellettivo, Mauro Moretti millanta l’appartenenza senza sé e senza ma al rango di quei benedetti «cervelli in fuga» cui tante e tante volte si volge il pensiero di ciascun cittadino, ormai stanco, stremato dall’incedere di una piramide rovesciata in cui incapaci, ricattabili, inetti, disonesti, impuniti e chi più ne ha più ne metta si collocano ai vertici e - giù giù - tutti gli altri.
Al solito il problema sta nelle parole e nel loro significato: la differenza fra essere un «dirigente», ovvero fra l’essere stato designato con tale funzione e goderne sia in termini di discrezionalità di potere che di gratifica economica, ed avere l’effettiva capacità di «dirigere», verbo il cui significato è talmente vasto da meritare una trattazione a sé stante.
Senza voler entrare nel troppo nel merito - in particolare - del significato della parola per ciò che attiene il comparto privato - in cui «dirigere» opportunamente equivale sui generis a procacciare profitti aziendali alla proprietà d’impresa e, quando va avveniristicamente bene, a farlo nel rispetto della responsabilità sociale, di quella ambientale e dei diritti del consumatore in materia di consumo energetico e/o di qualità dei prodotti - senz’altro per quel che riguarda quello pubblico i paradigmi sono decisamente difformi da ciò per cui Moretti e non solo, pretenderebbe di essere un ottimo e - aggiungo - necessario «dirigente»: «dirigere» nel comparto pubblico significa rispondere prima di tutto ed irriducibilmente all’interesse collettivo, cioè ad istanze politico-sociali ed economiche che incarnino i valori stessi di una comunità.
Come ad esempio l’idea di tenere uniti fra di loro terre e culture ancora oggi distanti ammodernando la vecchia concezione delle «Frecce» non con l’alta velocità, con treni-deluxe - dai costi improponibili - o con trafori - senza ne’ capo, ne’ coda - in mezzo a mari di uranio e di amianto, ma rispettando i principi di sussidiarietà, di mobilità sostenibile, di tutela ambientale e paesaggistica con cui - seppur in modo confusionario, spesso inefficace e non di rado farraginoso, inconcludente e dispersivo - si sono concepite certune tratte ferroviarie; con un occhio cioè a colmare le distanze (talvolta semplicemente geografiche ma, sempre più spesso, sociali ed economiche) fra mondi diversi, ed un altro ai portafogli sempre più vuoti degli italiani (abbagliati a suo tempo dal sogno individualistico di un parco-auto privato sempre più folto da esibire agli occhi increduli degli «altri» e da impiegare sempre di più in luogo del trasporto pubblico) oggi, ahiloro, alle prese con un’inarrestabile aumento del costo dei carburanti da una parte, e dall’altra con una mobilità collettiva sempre meno efficace e sempre più gravosa.
Il teorema di Mauro Moretti e della sua inattaccabilità quindi, a quale distrofica distorsione intellettiva dovrebbe rispondere?
Al suo posto intanto, vorrei chiedermi in quale altro posto che non si chiami Italia siano considerate virtù - e non irrimediabili difetti - vicissitudini di non poco conto come ad esempio il processo - in carico alla Procura di Lucca - per strage, se si considera che ovunque è sufficiente un guasto del menage familiare sfuggito alla privacy per cagionare dimissioni immediate da qualunque incarico!
Senza contare poi un altro fatto: ditemi sinceramente a chi davvero - socio «azionista», in quanto semplicemente cittadino e non in quanto detentore di una quota sociale - di un’ente pubblico, possa mai mancare l’ingombrante presenza di un Moretti (o chi per lui), lasciato vacante un posto che giovani ben più capaci, meritevoli e per un ventesimo della sua retribuzione sarebbero ben lieti di occupare e con un avanzo di risorse tale da potersi permettere - magari - l’assunzione di tante altre figure operative con la prospettiva di migliorare in maniera straordinaria l’erogazione del servizio stesso!
Detto questo - è bene ricordarlo - non sono io un sostenitore della Spending Review, del Fiscal Compact o di altri perfidi euro-meccanismi responsabili di stagflazione, di declino economico o - per farla breve - delle politiche di «Austerity»; non ho fatto da sponda alle grifagne manovre del tecnocrate Mario Monti, non mi sono commosso di fronte al pur composto e sobrio esercizio politico di Enrico Letta, e non mi farò trarre in inganno neanche dal polit-marketing renziano, fatto non di rado da uscite in perfetto stile Roan Atkinson, in altre dal profetico hashtag «@staisereno…» e in altre ancora da esternazioni tipiche del Sindaco d’Italia: la sostanza non è cambiata - a mio modesto avviso - di una virgola.
Alla Scuola Pubblica si assicurano nuovi interventi sì, ma - al massimo - in campo edilizio e non certo nel funzionamento: ovviamente le strutture hanno necessità di una proverbiale svecchiata e, magari, di una sonora messa in sicurezza, ma anche l’offerta formativa, gli strumenti didattici ed il personale necessiterebbero di una generosa iniezione di moneta sonante che, per contro, allo stato attuale delle cose continua ad essere assicurata alla sola scuola privata (che, personalmente, non ritengo ne’ centrale, ne’ meritevole di essere messa sullo stesso livello della Scuola Pubblica, ne’ - in definitiva - diversa come obiettivi da una qualsiasi altra azienda).
Per ciò che attiene la Sanità, mi sembra che ancora una volta si cerchi di utilizzare strumentalmente il pur legittimo argomento degli sprechi, per procacciarsi l’ennesimo pretesto utile a privatizzare, esternalizzare, alienare, svendere, etc.
Per quanto riguarda poi il sistema previdenziale ma, soprattutto, quello del lavoro, dei diritti sindacali e della dignità lavorativa, incrocio le dita, augurandomi un exploit - alle prossime elezioni europee - sia del M5S che della lista Tsipras, che rimetterebbe in discussione tutta la debacle verso cui la voracità del mondo finanziario ci sta trascinando a tappe forzate.
Ma - fatte queste necessarie premesse, ricordando comunque che «repetita juvant» e fatto salvo che la mia personale fiducia nel Governo Renzi è -8 in una scala da 1 a 10 -, non sarò io ad obiettare intorno a provvedimenti che - oltre che moralmente giusti - si rendono ogni giorno sempre più imprescindibili: dipendesse da me, un Primo presidente della Cassazione comincerebbe a doversi accontentare di non più di 36.000 € annui e, di conseguenza, anche la nutrita e costosissima pattuglia di Moretti, Scaroni, Mastropasqua, Maccagno, Monorchio, Arcuri, Colombo e compagnia cantante.
Per tirare le somme e tornare infine al paradosso di «Achille e la tartaruga», farcirò il mio intervento con un pizzico di sano buon umore - ahimè sardonico e, rispetto alla folta comunità di comuni mortali di cui anch’io faccio parte, decisamente auto-ironico -; il massimo insomma che si può fare oggidì, in tempi in cui si rischia l’esazione di un tasso di interesse finanche per una risata (giustappunto a proposito del Jorge da Burgos di Umberto Eco che sull’apologia del «ridere» costruì la sua esistenza letteraria): saprà il «pelide Achille» - il comune mortale che impallidisce ormai di fronte alle sventurate peripezie del ragionier Fantozzi - correre abbastanza veloce da superare la tartaruga del mese incedente con metodica lentezza?
Vorrei sinceramente augurarmi che a questa declinazione del secondo paradosso di Zenone mi potessi rispondere con la freddezza delle serie geometriche o con il pragmatismo di Diogene di Sinope - nello specifico caso assai più favorevoli all’uopo dell’olimpica irraggiungibilità filosofica -, ma ho l’impressione che il mese correrà via sempre più veloce, a dispetto di quegli 80,00 € mensili in più che i lavoratori dipendenti rischieranno di ritrovarsi in busta-paga a partire da maggio e con cui non riusciranno a pagare neanche una sola bolletta in più, ma procacciarsi una bella pizza di consolazione sì…
Una bella pizza alla salute di Mauro Moretti, con l’augurio che il treno su cui si imbarcherà verso destinazioni più favorevoli alla conservazione di uno stile di vita esagerato, possa essere più veloce di Achille, che la stazione di arrivo non si comporti come la sua tartaruga ma, soprattutto, che non ci siano fermate alla stazione di Viareggio, dove ancora e a buon diritto una moltitudine aspetta che dalla sua bocca dalle pareti dorate escano risposte finalmente esaustive a domande che la disperazione ancora prova a gridare al cielo, in attesa che altrettante orecchie dorate si rendano disponibili ad ascoltare…