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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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il "Cine"

10/5/2014 - 7:57


Dalla parte di Metato, paese un po' povero di attrattive, si andava con un traghetto sull'altra sponda, a Vecchiano, dove c'era un po' più di divertimento e cioè una sala da ballo ed un cinema. Il luogo della traversata era su una curva del Serchio, poche centinaia di metri a valle del ponte di Pontasserchio, in una gola stretta e profonda dove c'erano pietroni e l'acqua scorreva tumultuosa in discesa.
La scelta poco felice del luogo era compensata dalla brevità del guado e dal fatto che vi era, per salire e scendere l’argine, una rampa naturale in pietre dalla parte di Metato e la sala da ballo ed il cinema erano proprio di fronte all'arrivo sulla sponda di Vecchiano.
Il traghetto era un grande zatterone con una ringhiera di legno intorno ed era tenuto sulla rotta da una catena fissata sul barcone e scorrevole in un cavo d'acciaio teso fra le due sponde. Veniva spinto a stanga da un tale che abitava in una umida casa in golena proprio alla discesa della rampa e che riscuoteva la bellezza di dieci lire, andata e ritorno bicicletta compresa.
Io ero così piccolo che vedevo e usavo quell'originale e insolito mezzo di trasporto solo per andare al cinema il sabato, ma non tutti i sabati, arrivando all'argine dopo una pedalata di tre o quattro chilometri, con le chiappe martoriate dalle scosse e dal manubrio della bicicletta di mia madre.
Era meraviglioso essere uscito di notte con la mamma e le sue amiche, essere nel mezzo del fiume al buio, sentire l'acqua che sbatteva sulla fiancata destra, la catena cigolare, il Taccini sbuffare e la riva di Vecchiano che si avvicinava sempre più ed io che cercavo di sganciarmi dalla presa delle mani di mia madre che mi tenevano stretto per non andare troppo vicino alla ringhiera che "se ci caschi dentro non ti trova più nessuno!".
Mi domandavo, al ritorno, perché avessimo sempre trovato mio padre all'uscita del cinema e non mai prima. Era una tecnica che avevano escogitato i miei per non farmi continuamente chiedere caramelle, noccioline e mente, dolciumi venduti dalla vecchiettina che aveva un banchetto davanti alla porta dell'Olimpia. Mia madre aveva così sempre la scusa pronta che i soldi ce li aveva mio padre che stava, non visto, tre file indietro.
Quando cominciai a pedalare per mio conto ed avere una bicicletta mia, il manubrio fu occupato da mia sorella Anna che, più disinteressata al film e più golosa, stava in braccio a mia madre durante la proiezione, volgendo le spalle allo schermo e così mio padre, dopo quella volta che gli urli della bimbetta fecero accendere le luci, per non farsi più vedere, dalle tre file dietro in platea passò all'ultima della galleria e nessuno di noi, accidenti alle seme!, ha mai avuto la soddisfazione di vedere un film tutti riuniti.
I film che vedevamo a Vecchiano erano riciclati negli altri due cinema minori di Migliarino e Metato. L'avere il comune dava una certa superiorità anche nello scegliere le pellicole da visionare per ben tre volte la settimana, contro le solo due degli altri paesi. Il sabato a Vecchiano si proiettava il film che la domenica avrebbero visto migliarinesi e metatesi; la domenica e il lunedì stesso film che sarebbe passato ai fratelli più piccoli il sabato successivo.
Oggi le pellicole vengono stampate quasi fossero fotografie, centinaia di sale danno lo stesso film in simultanea, ma allora le bobine erano cose rare, preziose e chi aveva più soldi si accaparrava la migliore ed unica del suo genere. Questo non impediva però alle due sale di Metato e Migliarino, senza pretenziosi nomi ma tutte e due "Casa del popolo", di dare, la stessa sera del sabato, lo stesso film.
A settimane alterne, beninteso, si dava il primo tempo di qua dal Serchio e il secondo di là e poi il contrario. Un sabato ogni due si poteva benissimo vedere la fine e cercare di immaginarsi come fosse iniziata la storia, per poi verificarlo dopo una mezz'oretta o poco più.
L'incarico del trasporto delle bobine del primo o del secondo tempo era dato a corrieri in bicicletta, parenti del proprietario dell'Olimpia che, con qualunque tempo, in qualsiasi stagione, si incontravano a metà strada sull'argine per far prima, si scambiavano i pacchi e via di corsa che il pubblico si spazientiva.
Una notte di pioggia, un corriere cascò dall'argine, perse la bobina in un campo di granturco e nessuno in un paese seppe mai come finisse la storia fra quei due e altrettante persone dell'altro paese non seppero il perché lui era andato in galera e lei aveva sposato quell'altro. Mancavano i telefoni e solo chi aveva parenti nell'altro paese si tolse la curiosità
A volte invece la bicicletta si forava e, dopo un po' di fischi ed urli, un gracchiante altoparlante con la voce irriconoscibile nel tono, ma con un inconfondibile accento paesano diceva :
"Oh!, ascortate: 'un buttate via e biglietti che son bòni anco domani. Si rifà!"
Se invece, e succedeva spessissimo, era la mancanza di corrente elettrica che impediva la proiezione, allora l'uomo che aveva fatto e strappato i biglietti, girava per la sala con una candela ripetendo a tutti di ritornare il giorno dopo e di non arrabbiarsi tanto, che non era colpa sua.

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13/5/2014 - 12:19

AUTORE:
Da Le parole di Ieri

BIANCHINI
Lett: n.c.
Era un eufemismo con cui si voleva indicare il letto, le lenzuola.
Andare dal Bianchini voleva dire andare a letto, nelle bianche lenzuola.
Bianchini (Atos) era anche il cognome del gestore che ha condotto la Casa del Popolo di Migliarino per una decina d’anni, dal ‘67 al ’77 circa, e che si occupava anche della proiezione delle pellicole a rullo per il cinema.
Il cinema ha rappresentato, in quegli anni, il maggior contenitore di informazioni e di cultura per le popolazioni. Molti cittadini, specie se abitanti nelle campagne, erano ancora parzialmente o completamente analfabeti ed i mezzi di informazione non diffusi ancora in maniera capillare. Per
questi il cinema, tramite le sue rubriche di informazione che anticipavano la proiezione, come la famosa Settimana Incom o i servizi dell’Istituto Luce, rappresentava ancora la fonte prevalente di notizie su un mondo che spesso terminava alla fine del proprio paese.
L’importanza di questi notiziari era ben nota ai governi nazionali e spesso venivano utilizzati per fare propaganda politica in favore della propria fazione, o di appoggio alle proprie azioni di governo.
Il cinema comunque aveva un grande fascino ed era anche l’unica occasione di svago e di cultura presente nel luogo dove si viveva, a portata di mano, o comunque di bicicletta.
Oltre il Cinema Teatro del Popolo a Migliarino esisteva anche un altro cinema, quello “dal prete” o “dalle suore” sul viale dei Pini. Era gestito dal Bianchi Alvaro e faceva una normale programmazione cinematografica. La sala era più piccola di quella del Teatro ma sufficiente per un pubblico ridotto, costituito quasi esclusivamente da paesani. In quel cinema partecipai alla prima proiezione in paese del film Per un pugno di dollari, con la regia di uno sconosciuto Bob Robertson, non ancora diventato Sergio Leone, prima che la pellicola diventasse un cult mondiale. Questo perché i registi italiani, pur famosi in tutto il mondo come massimi esponenti del neorealismo, non erano considerati adatti al genere western ed erano costretti ad utilizzare pseudonimi o nomi falsi, pur di avere un po’ di mercato.
Prima della sala, in fondo ad uno stretto corridoio, c’era un piccolo spaccio, una botteguccia dove si vendevano seme, noccioline, rigolizia ed altri dolciumi e che era gestito dalla Riesa, la mamma del Bughigo, Corucci Brunetto, un amico purtroppo scomparso in giovane età. Il fiduciario che si occupava della biglietteria si chiamava Borghi ed era un individuo magro, emaciato, misterioso che vestiva sempre di nero e non parlava mai. Incuteva anche un po’ di timore e qualche volta i ragazzi più grandi lo seguivano quando tornava a casa in bicicletta. Gli andavano dietro a corsa, in completo silenzio, nell’oscurità e lui li scacciava, inutilmente. Talvolta lo seguivano fino alla sua abitazione. Abitava accanto al Magli Lino, vicino alla bottega. Anche la casa era misteriosa, tutta circondata da una fitta siepe che non faceva scorgere niente all’interno.
Paolo del Magli racconta che nel giardino vi erano delle belle piante di melograno che ogni tanto i ragazzi andavano furtivamente a raccogliere, scavalcando la recinzione. Il Borghi pare avesse due figlie: una maggiore divenuta suora ed una minore che i ragazzi avevano scherzosamente soprannominato “la vergine”, forse a causa di una non eccezionale bellezza.
Aneddoto 1
Il Bianchini raccontava che subito dopo la guerra molte pellicole arrivavano con dei pezzi mancanti, talvolta proprio nella parte finale. Quando la pellicola era terminata in sala si accendevano tutte le luci ma la gente rimaneva seduta, aspettando pazientemente la ripresa della proiezione.
Atos allora si sporgeva dal buco della cabina e gridava alla platea in attesa: “E’ finita!!”

Aneddoto2
Talvolta Atos veniva sostituito alla macchina da Osasco Canarini.
Alla ennesima rottura della pellicola, fenomeno non infrequente in quegli anni, il Duce (Loris L.) salì su una sedia al centro della sala, alzò le mani e fece segno di fare silenzio:
“Scusateci signori-disse- ma abbiamo un operatore poco pratico!”.
Dalla buca della cabina si levò un grido: “Vienci te, ….o ‘mbecille!”