Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
AONCA’ (accento sulla “a”)
Lett: VOMITARE. [Onco: dialetto pisano. Voce creata dal popolo per imitare la voce di chi sta per rigettare. Sforzo del vomito]. E’ quindi una parola originata proprio dal nostro dialetto, quello pisano come dice il testo, col significato di vomitare.
Anche stomacare, nauseare, sinonimo di qualcosa di molto schifoso e ripugnante.
Veniva usato anche in senso letterale col significato di brutto, volgare, sgraziato con un contenuto molto dispregiativo. “Fa aonca’!” : fa schifo, è proprio brutto!
APPALTO (APPARTO)
Lett: APPALTO.
Probabilmente derivato dal latino ad pactum: [impresa che si fa da una o più persone riunite in società, per fare un’opera o riscuotere un dazio od imposte, o di provvedere uno stato di mercanzia, con divieto a chiunque altro di poterne vendere o fabbricare e pagando per ciò al pubblico tesoro una somma convenuta]. [Regionale toscano: spaccio di generi di monopolio (De Mauro)].
In dialetto indicava semplicemente il luogo dove si vendevano le sigarette, i Tabacchi, e gli altri Monopoli di Stato come francobolli, marche da Bollo ecc.
Usato, talvolta, ancora oggi:
“Ma dove vai?” “Vado all’appartino, a compra’ le sigarette”
APPUNTELLARE
Lett: PUNTELLARE. [Sostenere con puntelli].
Dal verbo italiano transitivo dell’atto di sostenere qualcosa, appuntellare in dialetto aveva assunto il significato riflessivo di appoggiarsi, fermarsi.
“Non t’ appuntellare”: non ti appoggiare.
“Ti sei appuntellato?”: ti sei fermato?
ARADIO
Lett: RADIO.
Distorsione grammaticale popolare per cui la radio diventa l’aradio.
Ancora oggi nel parlare quotidiano l’accento che diamo alla frase “accendi la radio” tende a cadere su quella “a” galeotta contesa fra l’articolo e il sostantivo.
La radio, o meglio E.I.A.R., Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, nasce nel 1927, quando il cinema è ancora muto. E’il tempo della famosa “se potessi avere mille lire al mese” , quando mille lire sono ancora una cifra importante per ogni famiglia, ed ogni lavoratore sogna di averle a fine mese. Diventerà R.A.I. (Radio Audizioni Italiane ) nel 1944 e nel 1954, con l’avvento della televisione, assumerà il nome definitivo di RAI Radiotelevisione Italiana.
Le radio sono a valvole, che si intravedono dalle fessure del cartone dietro l’apparecchio, di solito un mobile enorme, come lucine rossastre che diventano sempre più incandescenti. All’inizio è, come per la televisione, uno status symbol ma si diffonderà ben presto in tutte le case, con la stessa
velocità con cui diminuiranno le sue dimensioni, e rappresenterà il primo vero grande mezzo di comunicazione di massa dell’era moderna.
ARATONE
Lett:ARATRO.
Accrescitivo dato all’aratro a testimonianza del senso di grandezza e di pesantezza, oltre che di duro lavoro, che inspirava questo attrezzo.
Un tempo era trainato da una coppia di buoi per mezzo di una pesante traversa di legno, chiamata giogo, che veniva posta di traverso sul collo dei due animali.
[Jugum chiamarono i romani l’unione di tre picche, due delle quali erano piantate in terra, sormontate da una terza per traverso, formanti una specie di bassa porta, sotto la quale facevano per obbrobrio passare nudi e chinati i vinti nemici].
Il giogo era sagomato con due incavature simmetriche che si adattavano perfettamente alla struttura del collo degli animali e che servivano anche ad accoppiare la loro forza.
Il bue o bove (dal latino bovem) non è altro che il maschio della vacca, quindi un toro, ma castrato e domato. Il trattamento a cui veniva sottoposto aveva lo scopo di mantenere la potenza fisica dell’animale senza quella esuberanza sessuale che lo avrebbe reso poco docile e inadatto all’utilizzo per i lavori nei campi. La castratura avveniva con delle pinze cave al centro in cui veniva fatto passare il testicolo (prima uno e poi l’altro) del povero animale, che poi venivano serrate fortemente schiacciando e distruggendo le strutture vitali (sic!).
In mancanza dei bovi l’aratro, o il carro che aveva la stessa imbracatura, poteva essere trainato dalle mucche.
Il termine mucca inizialmente indicava solo un tipo di vacca lattifera di origine svizzera, solo in seguito è diventato sinonimo di vacca in generale.
Con manzo si indica invece semplicemente il bovino giunto in età adulta.
In tempi più recenti, con la comparsa delle macchine agricole, le dimensioni dell’aratro sono aumentate e l’attrezzo ha preso il nome più adatto di aratone.
Aratone anche per poterlo distinguere dal suo parente più piccolo: l’aratino.
L’aratino era un attrezzo di minori dimensioni, di legno, con due manici posteriori per reggerlo e guidarlo ed una parte inferiore che penetrava nel terreno per dissodarlo. Questa parte, che subiva il maggiore sforzo e la maggiore usura, veniva protetta con una copertura di ferro, a punta, che prendeva il nome di gombera (termine non rintracciato sui dizionari).
La sua relativa piccolezza lo rendeva adatto ad essere trainato da un solo animale, un mulo od un cavallo, agganciato al davanti tramite uno strumento chiamato bilancino. [Quella traversa in forma di bilancia, a cui si attaccano le tirelle del cavallo, fuor delle stanghe del calesse]
Il bilancino era formato da un asta, lunga circa un metro, da cui partivano alle due estremità i finimenti per l’animale, e al centro, posteriormente, un gancio di ferro a cui si potevano agganciare i vari attrezzi agricoli. L’aratino in effetti serviva non tanto per dissodare il terreno, per arare, ma per fare delle piccole fosse, dei solchi più superficiali realizzabili anche con una minore potenza animale.
Nel caso si dovessero arare piccole superfici con un solo animale si utilizzava un altro attrezzo, molto utile ed ingegnoso, chiamato coltrina o cortrina. [Vecchio tipo di aratro umbro].
Questo era provvisto di una lama ribaltabile, che si poteva cioè girare su entrambi i lati ed utilizzare in andata e ritorno, facendola lavorare per lo stesso verso.
Aneddoto
I contadini erano in grado di costruire da soli, artigianalmente, molti attrezzi per il loro lavoro.
Amerigo dell’Antonelli aveva fatto un bell’aratino e lo voleva collaudare con l’aiuto di Ameleto: “danni tera” diceva uno, “levani tera” diceva l’altro riferendosi all’inclinazione da dare alla lama per dissodare meglio il terreno.
Le loro voci alterate si sentivano per tutta la corte ed era una di quelle discussioni che potevano durare fino a tarda sera poiché nessuno dei due avrebbe mai ammesso la ragione dell’altro!
ARBAGIE (accento sulla” i”)
Lett: nc.
Idee strane, pensieri impossibili.
“Un ti fa veni’ l’arbagie” : non ti far venire in mente cose strane, insolite, impossibili da realizzare, da portare a compimento.
Termine sconosciuto, non presente sui vocabolari, impossibile risalire alla fonte.
ARRAPATO
Lett: nc.
Molto difficile stabilire la derivazione di questo termine dialettale poiché in italiano non ci sono parole similari a cui si possa far risalire.
Arrapinare significa infatti far arrabbiare, arrappare (con due p) strappare, afferrare, arraspare pulire con la raspa; più vicino al significato dialettale forse arrazzare : ardere come un razzo.
Arrapato significa infatti essere eccitato sessualmente, in senso quasi fisico, diversamente da attopato (vedi più avanti) che indica invece un interesse, un fascino generico, ma non esplicitamente fisico, per l’altro sesso.
Un altro curioso termine dialettale usato per indicare questa speciale condizione è ingazzurrito che potrebbe derivare dall’italiano “ingarzullire” : [entrare in gazzurro cioè in festa, in brio; prender vigore e baldanza mostrandola colle parole e cogli atti].
FOTO: Bar Cacciatori