Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Sabato 10 maggio, come già scritto su questo giornale, nei Magazzini cereali "Lisabetta Salviati" in Migliarino si è inaugurata una grande sala per l'esposizione di materiale che ricordi la pesca il Serchio, in mare e nel lago di Massaciuccoli e chiamato appunto "Museo della pesca".
Il manifesto che più lo rappresenta, oltre a quello di Pattana con giovani ragazze da traversare di là, è un grande racconto a cornice dei due fratelli ritratti insieme e che Alessio Niccolai ha magnificato in questa presentazione che è più ed oltre la loro storia:
I profeti delle acque
È il robusto brandello di un ramo «portato in braccio dalla corrente[1]», una sagoma in legno irregolare ma ben levigata da flutti energici e vigorosi, un frammento qualsiasi di Garfagnana posatosi - come le spoglie di un milite ignoto - sulle ondeggianti sabbie di Marina di Vecchiano perché lì condotto da un implacabile Serchio autunnale o invernale, ad essere stato adagiato su un silenzioso pavimento di piccole selci - provenienti probabilmente esse stesse dalle rive del fiume - ed altri sassi opalini.
E - a coprirlo come un delicato ed intrigante pizzo sopra il ginocchio di un’avvenente donna - l’intreccio manuale di una rete da pesca, ombreggiato da un paio di vasi da fiore rigogliosi come la vita che Émile Zola avrebbe fatto ciclicamente sgorgare dalla morte.
Ma soprattutto, sovrastata dall’altorilievo della prua di una piccola imbarcazione ed una scarna epigrafe, il più ambito dei trofei: la sequenza di date «1909-2010», gli anni di nascita cioè e di morte di Libero Giorgi, al secolo “Danilo”.
Un uomo - che, dacché ancora marmocchio lo incontrai la prima volta - ho visto mantenersi pressappoco sempre uguale nel tempo: un affabile lupo di mare che, deposti gli strumenti del mestiere, indossava volentieri il «vestito buono» anche semplicemente per la capatina quotidiana al Circolo ARCI di Avane; ho impressa nella memoria una sua immagine invernale avvolto nel giaccone di pelle scamosciata, le canute bande di capelli - sempre ben pettinate - a recinzione di una piazza dalla cute sempre e tendenzialmente abbronzata, al riparo sotto un immancabile copricapo scuro - preferibilmente blu - dalla tesa anteriore decorata con un intreccio di corde del solito colore, i pantaloni a tubo grigi e le scarpe tendenzialmente eleganti; ma soprattutto quella pelle ruvida e corrugata in volto come solcata da un’infinita teoria di brezze salmastre.
Ne ricordo invece le combinazioni di abbigliamento estivo, presidiato dall’immancabile copricapo del caso più marcatamente marinaresco di quello invernale, capace di restituirne quando la rappresentazione di un tarchiato e sorridente Braccio di Ferro, quando quella di un composto Paperino.
Un personaggio rapito ad un romanzo di Heminguay, un crononauta insinuatosi in un varco dello spazio-tempo all’epoca in cui Pisa dominò incontrastata il «Mare Nostrum» al riparo di «Sinus Pisanus» o un folletto marittimo che - dopo essersi aggirato tra «bettes», «cassous», «llaguts» e «sardinal» ormeggiate nelle pittoresche cale dell’Aude ed aver girovagato tra le tamerici e sui prati di salicornia intorno alle lagune ed ai canali dell’Herault, del Gard e della Camargue, ospite un giorno di una «cabane de guardian» dalle caratteristiche architetture in falasco, un altro di una spiaggia di sabbia e selci sotto un tetto di stelle - ha fatto baracca e burattini per riportare sul litorale pisano - laddove Mar Ligure e Tirreno si incontrano - una cultura che secoli avanti vi si era formata prima di diffondersi per tutto il Mediterraneo.
Una cultura - prima che di pesca o, non di rado, di caccia - fatta di acqua. Acqua in tutte le sue forme: acqua fluviale, acqua lacustre e acqua marina, gli ingredienti cioè di un paesaggio molto molto familiare.
Danilo fu il terzo di tre fratelli e condivise con il secondo - Renato, al secolo “Pattana” - la custodia fedele di una tradizione di famiglia che già appartenne ai nonni Samuel e Oste: iniziarono entrambi molto piccoli - già in età scolare - a solcare le acque. In principio furono quelle interne - più placide e prevedibili - e, dal 1936 il mare aperto.
Danilo - i cui lineamenti sono perfettamente impressi nella mia memoria - aveva una corporatura piuttosto robusta ma una statura modesta, fattori decisivamente favorevoli nel contesto della piccola navigazione, mentre Renato - due dita più alto e decisamente più asciutto dietro due occhietti levantini - doveva possedere una forza ed una resistenza erculee, se si narra che avrebbe potuto remare ininterrottamente dall’alba al tramonto!
E vogò, vogò sempre ed inseparabilmente accanto al fratello, prima della guerra a bordo di un «gozzo», immediatamente dopo sulla celebre «pattana» (o «patana») cui deve il singolare epiteto, trasmesso - come buona consuetudine vecchianese - al figlio Leonardo; o - almeno - così fece finché sul finire degli anni ’80 la malattia prima e la morte non lo sottrassero al prodigo sodalizio familiare, sopravvissuto finanche ai rispettivi matrimoni e alla nascita delle rispettive proli.
Due vite in una, due esistenze consacrate a tutte le possibili multiformi e variopinte manifestazioni del mondo acqueo, l’una - quella di Danilo - fatta di ragione, equilibrio, visione e padronanza delle cose, l’altra - quella di Renato - forse più grezza, ferina, ruvida, corsara e in qualche modo volubile, ma riunite da un vincolo capace di trascendere persino la consanguineità; quell’intesa segreta che insorge tra chi ogni mattina - alla stregua di un soldato in partenza per quella che potrebbe essere la sua ultima battaglia - si avventura tra le arcane pieghe del mondo acquatico senza sapere quando e se mai i propri piedi toccheranno nuovamente terra.
Danilo si manifestava signorile e affabile alla stregua di un navigato capitano di corvetta, sapiente commistione di bon-ton accademico e di ingegno marinaresco - il tono di voce sempre flemmatico e leggermente modulante verso i toni alti -, Renato più spigoloso, raccolto in quel suo viso asciutto - quasi riarso dalle salsedini - e sgualcito, dalla loquela assai più «vecchianese» del fratello e dal timbro più aspro e roco, più svagatamente incline a riprodurre le fattezze di un eccellente primo maresciallo di marina o, alternativamente, di pirateria. Insomma una coppia che valse a suo tempo un’intera compagnia di navigazione.
Non soltanto provetti pescatori, naviganti di lungo corso e smaliziati conoscitori delle acque, furono anche abili artigiani che seppero conferire - nella tessitura di reti di ogni genere - anche una certosina abilità manuale in un’attività già di per sé straordinaria: non si contano in giro i «giacchi» o i «bettibelli» che portano la loro firma, alla stregua delle più pregiate tele di un provetto artista.
E se senz’altro non ci è dato avere conferma dell’esistenza di creature leggendarie come il Kraken (il Leviatano dell’Antico Testamento) o Nessie di Loch Ness, di altre mitologiche come la corte di Poseidone o le Sirene, di una cosa si può andare certi: Renato e Danilo Giorgi possono a buon diritto essere iscritti nella storia come «Profeti delle Acque».
Traghettarono su quella «pattana» - frutto del lavoro degli ultimi calafati pisani, gloriosa memoria di un tempo in cui la Repubblica Pisana brulicò di maestranze navali e portuali di prim’ordine - tante anime da far indispettire il dantesco Caronte, avanti e indietro tra le ripe destra e sinistra di Bocca di Serchio; e pescarono così tanto e mirabilmente da sottrarre al leggendario Glauco le sensuali attenzioni delle Nereidi… questo potrebbe raccontare un infiammato testimone della loro esistenza!
Se oggidì in questo luogo non una, ma tante e tante cronache del fiume, della «Bocca» o del lago rimangono da raccontare è anche e soprattutto grazie alla loro opera magistrale da cui una moltitudine di altre vicende - più o meno importanti - e legate al ciclo imperituro delle acque presero spunto o ispirazione… come quella stessa di Giovanni, Giovanna, Leonardo e Maria, figli di Renato, o di Giorgio e Giacomo, figli di Danilo ed eredi spirituali del sodalizio tra il padre e lo zio.
Ma questa è un’altra storia, anzi… tante altre!
Alessio Niccolai
[1] Da “La Guerra di Piero” di Fabrizio De André