Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Abbiamo già parlato della località “Fugata” di Migliarino e della sua etimologia, ma non della sua esatta posizione geografica. Chi percorre la Via del Mare per Marina di Vecchiano, lasciata la Via dei Pini, dopo circa trecento metri trova un incrocio con una strada un tempo fiancheggiata da una lunghissima fila di cipressi: il Viale Isabella. Ora i cipressi sono scomparsi, travolti da un uragano diversi anni fa come sono scomparsi, ma per un’altra causa, i famosi gelsi di Fugata.
Quei campi lungo il Viale Isabella, a destra, quella è la Fugata.
L’allevamento dei bachi da seta era una delle tante industrie che i Duchi Salviati, proprietari della zona, avevano messo su nei grandi edifici della Tenuta. I bachi si nutrivano esclusivamente delle giovani e tenere foglie del gelso e ogni campo di Fugata era contornato da questi alberi. I campi dovevano dare grano e patate, bietole e foraggio, ma i cigli potevano ospitare i gelsi. L’albero veniva capitozzato ogni anno affinché i nuovi rami, ricacciati in primavera, producessero foglie più grandi e più belle. Poi divenne troppo caro il produrre la seta, i mercati asiatici presero il sopravvento, fu inventata la seta artificiale e l’allevamento finì e i gelsi davano noia ai nuovi trattori che lavoravano la terra.
Anche i Roncioni, proprietari della bellissima villa omonima lungo la strada pedemontana che da Rigoli va a Lucca, avevano una filanda e producevano una pregiata seta rosa, rara e caratteristica, che trovava un fiorente mercato in Inghilterra, ma i britannici avevano anche l’oriente!
Il baco da seta (Bombyx mori), artefice del miracolo del filo d’oro, era allevato in Cina circa 2600 anni fa, alla corte della principessa Lei-Tsu. Da qui, la leggenda dice nel cavo dei bastoni di bambù di due monaci dell’ordine di San Basilio, il bozzolo fatato venne introdotto a Bisanzio nel 551 e poi in Europa e con esso le tecniche di lavorazione della seta, della bachicoltura e della coltivazione del gelso che botanicamente si chiama “Morus alba” e che tradotto fa curiosamente: moro bianco. Scherzi della classificazione e di Linneo!
Nel XV e nel XVI secolo molti stati italiani emettono provvedimenti a favore di questa coltivazione: nel territorio fiorentino si obbligano i contadini di mettere a dimora cinque piante di gelso all’anno fino ad arrivare al numero di cinquanta, si proibisce l’esportazione della foglia e si da franchigia a chi la importa. Al nord si fa obbligo di piantare cinque gelsi ogni dieci pertiche di terreno e gli Sforza, signori di Milano, tramite il potente Ludovico (guarda caso detto “Il Moro” come il baco da seta) mettono il “Morone”, il gelso cioè, nel loro stemma gentilizio.
Nelle nostre zone ormai i gelsi mori ora sono solamente alberi ornamentali e dimenticati. Ne esistono due varietà: quella a frutti bianchi e quella a frutti neri, ambedue dolcissimi. Si trova di tutto cercando e ricercando nei libri, documenti, disegni, studi, roba del tipo: “Metodo per tingere la seta in blu”, di Andrea Cozzi, 1836, “Sulla colorazione della seta mediante la nutrizione dei bachi con materie coloranti”, di Antonio Targioni Tozzetti, 1841, “Lezione sopra il far nascere ed allevare il baco da seta”, di S.E. Principe di Biscari, 1775, “Dell’allevamento dei bachi da seta in China fatto ed osservato sui luoghi”, di G.B. Castellani, 1860, “Sul male detto del Baco della caldaia che talvolta assale chi svolge il filo serico dal bozzolo”, di Carlo Burci, 1864, “Istruzione per insegnare il modo che si deue osservare nel potare i Mori, ouero i Gelsi, acciò faccino sempre più foglie e si conservino lungo tempo come ne dimostra il Disegno del gelso, o Moro potato a Cornettani e in che maniera si deuono piantare e seminare”, di FerdinandoDonnini, 1670. ecc. ecc.
Ma, seguendo l’esempio della beneamata C.I.A, dei servizi segreti italiani ed europei, dove le magagne vengono sempre coperte, non si trovano scritti sicuri che parlano di un disastro ambientale a proposito dei bachi e dei gelsi, ovviamente.
Un paio di secoli fa, da un giardino inglese che a sua volta lo aveva ottenuto da un altro cinese, fu introdotto in Italia un albero che avrebbe dovuto salvare l’economia del gelso, un po’ in crisi per la scarsa produttività. L’ailanto (Ailanthus glandulosa) non solo non è piaciuto al nostro baco, si vede di “becco fino”, dato il suo sapore amaro, ma si è acclimatato così bene nel nostro terreno e clima che è divenuto una specie pericolosa data la sua facilità di emettere nuovi polloni dalle radici. Un esempio della sua adattabilità in qualsiasi ambiente la si può osservare (avendone fortunatamente la possibilità) nell’isola di Montecristo ormai completamente invasa dall’ailanto. In San Rossore e nella Tenuta di Migliarino la pianta è presente in colonie numerose che vengono sdegnate anche dai sempre affamati ed abboccati daini che, a volte, arrivano persino a mangiare gli aghi dei pini!
Continuando nella mia ricerca ho trovato che l’ailanto, chiamato nelle Molucche “albero del cielo” per la sua veloce crescita in altezza, aveva, come il bambù il panda, l’eucalipto il koala, un suo ospite commensale specifico: il bombice dell’ailanto, quello della seta cinese e, come i cinesi, dimórto ma dimorto di bocca bona!
Solo ora mi viene in mente un’altra curiosità che sa di coincidenza però! Sapete come si chiamano i proprietari di gran parte della Fugata?
E’ la grande famiglia dei “Mori”!