Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Per Antonio
Il 23 settembre Antonio Tabucchi avrebbe compiuto settantuno anni, La Voce del Serchio ospita una serie di contributi per ricordare il grande scrittore e invita gli amici a inviarci i loro ricordi.
E se il paesello diventasse Vecchiano Tabucchi?
di Athos Bigongiali
Pubblichiamo un articolo che Athos Bigongiali ha scritto per la rivista “Infinite Tracce” la scorsa primavera con il quale lancia una proposta “provocatoria”.
Quando conobbi Tabucchi
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All’epoca in cui lo conobbi Antonio Tabucchi viveva per gran parte dell’anno nella sua casa di Vecchiano, in provincia di Pisa. Era il 1990 ed io avevo appena pubblicato per Sellerio il mio primo romanzo ‘Una città proletaria’, quando un caro e comune amico mi disse che, se volevo, avrei potuto incontrarlo e nell’occasione donargli il mio libro. Ne fui entusiasta ma il caso volle che giungessi in ritardo al circolo culturale (di Vecchiano o forse una sua frazione) dove Tabucchi aveva dato convegno ai suoi lettori: sicché, tanta era la folla stipata nel locale che non riuscii a entrare e dovetti accontentarmi di osservare il tutto dalla finestra aperta sul cortile. Era settembre, ricordo, e faceva molto caldo e quando la riunione finì mi misi in fila davanti all’ingresso in fondo al quale, seduto ad un tavolo, se ne stava Tabucchi, sudato fradicio ma non per questo meno disponibile a ricevere i presenti e firmare i libri che gli porgevano. Firme, il più delle volte, accompagnate da occhiate gentili, saluti e confidenze. Ciao Piero come va? Bene Antonio. E tua moglie? Bene pure lei. Mi fa piacere, salutala. E così via, uomini e donne di tutte le età. Tanti e tanto da lui riconosciuti da farmeli pensare come gente della sua famiglia più che lettori dei suoi libri. Me ne meravigliai e d’un tratto mi sentii fuori luogo. Io ero lì per incontrare lo scrittore, non un parente. Abbandonai la fila, mi ritrassi nel cortile e fu qui che vidi il fico. Un albero enorme, carico di grossi frutti e voglioso di ospitarmi sotto le sue fronde. Sotto il fresco odoroso della sua ombra contadina e per questo tanto semplice quanto solenne. Un vero fico della campagna vecchianese, la terra natia di Tabucchi e quasi anche mia (sono nato appena di là dal Serchio): mi ci rifugiai. E ci sarei restato per chissà quanto tempo, solo e con quella sensazione di estraneità addosso, se avendo visto Tabucchi avvicinarsi in compagnia del comune amico, non avessi capito, improvvisamente, come una rivelazione, il significato della mia venuta lì, in quel posto e sotto quel fico. Glielo dissi subito a Antonio. Dissi: sono sempre stato un tuo lettore ma da oggi sono anche un po’ tuo parente. Lui si limitò a sorridermi ma mi tenne a lungo la mano.
Senza sapere bene chi fossi Antonio Tabucchi mi aveva riconosciuto.
Più avanti andammo a bere qualcosa alla Casa del Popolo.
Parlammo di libri e delle nostre famiglie, seduti sotto un ombrellone a pochi passi dal fico. Parlando fiutavamo l’odore dei suoi frutti maturi, mischiato a quello del vino della vicina cantina, del fieno dei casolari là dietro le nostre spalle e di tanto in tanto della brezza marina. Fu bello e quando ci salutammo ci eravamo già scambiati i numeri di telefono. Il mio, dell’ufficio dove lavoravo, il suo della casa di Vecchiano. E fu in quella casa che pochi giorni dopo ci ritrovammo, su suo invito.
Al telefono, la mattina in cui mi chiese: ‘Ti piace il coniglio? Sì? E come: arrosto con le patate? O con le olive nere, in umido?’.
‘Va bene comunque, gli risposi. Fai tu’.
Lo cucinò arrosto il coniglio e lo mangiammo tutto.
Poi uscimmo a passeggiare e raggiungemmo la piazza di Vecchiano.
Quella principale, già Garibaldi, che oggi si chiama ‘Piazza d’Italia’, dal titolo del suo romanzo d’esordio.
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È una grande piazza alberata, al centro del paese. È la sua agorà, è qui che la gente si ritrova per fare due chiacchiere, comprare i giornali, bere un caffè corretto o un aperitivo, commentare i fatti del giorno, discutere di politica e litigare (che in questo i vecchianesi sono maestri). C’è il Municipio nella piazza e di fronte c’è il cinema teatro, ed è qui che dopo la morte di Tabucchi l’Amministrazione comunale ha indetto la prima cerimonia in suo ricordo. È stato nel marzo del 2012 e io fui uno degli oratori. A volerlo fu il Sindaco Lunardi. Con poche parole, com’è suo costume: ‘Athos, mi disse al telefono. Tocca a te’. Questo dopo l’intitolazione della piazza e della biblioteca comunale, a cui non potei partecipare. Ma quel giorno toccava a me, e sono contento di non aver ceduto al timore di emozionarmi restando lassù sul palco a balbettare parole sincere ma comunque dovute e in definitiva di circostanza. Glielo dovevo a Antonio l’elogio funebre e l’ho fatto.
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Il mio fu un discorso brevissimo.
E cominciava così: ‘Ho conosciuto Tabucchi sotto un fico’.
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Ne abbiamo mangiati pochi di fichi insieme, ma tante altre cose sì.
Il coniglio naturalmente. Alla cacciatora o al forno.
I funghi, quando era la stagione dei funghi.
Le bistecche alla fiorentina e la tagliata. Cotte ma non troppo: giusto che si vedesse un tantino di sangue.
I fagioli all’uccelletto, con la polenta fritta.
Cacciagioni varie: tordi, germani, il fagiano, una volta.
L’anatra alla arancia, in un ristorante in Garfagnana la cui cuoca avevo servito per vent’anni la famiglia Rothschild.
Le anguille in umido, sul lago di Massaciuccoli.
I pesci al forno e sotto sale: branzini, orate, filetti di cernia.
Le seppie con le bietole, una scorpacciata.
Ci davamo dentro insomma: ma solo con le pietanze, niente primi né dolci. E vino. E a mo’ di digestivo, spessissimo, champagne.
Pagavamo sempre alla romana. Poi qualcuno e pure lui, talvolta, mi riportava a casa. La sera tardi, e passata mezzanotte il telefono squillava. Era lui. Non ricordava il racconto che mi aveva consigliato di rileggere.
Giro di vite?
La fine del gioco?
Henry James o Cortàzar?
Però ricordava benissimo di bacchettarmi.
Le mie professioni di dilettantismo non gli piacevano.
Va bene, non credi alla scrittura come mestiere. E con questo? La letteratura è tutto quello che abbiamo. È l’arte e la vita, insieme. È il mondo ed è la possibilità che abbiamo di conoscerlo e con un po’ di fortuna di raccontarlo prima che il tempo ci travolga. Lascia perdere i tuoi vezzi di scrittore della domenica dunque e leggi e lavora perché il tempo, nella sua crudeltà, se ne infischia di te.
Inoltre Antonio non si scordava mai della famiglia. Aveva appena parlato con la Zè, sua moglie, e con i suoi figli. Erano a Firenze, quel giorno ma l’indomani lo avrebbero raggiunto. E a proposito, poi diceva, come sta la tua mamma?
Salutala, dille che ha le mani d’oro (mia mamma quella mattina gli aveva ricucito l’orlo della giacca).
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Il Comune di Vecchiano ha istituito un comitato Tabucchi.
Il suo compito è quello di ricordalo, la sua opera e la sua persona.
Dal 2012 lo facciamo due volte l’anno. A marzo, l’anniversario della morte. A settembre, quello della nascita.
Ad oggi abbiamo organizzato, grazie al Comune e agli amici, un reading di ‘Sogni di Sogni’ (Sellerio), la presentazione di un volume di racconti memoriali su Tabucchi curato da Romana Petri (con scritti di lei, della Maraini, di Ugo Riccarelli e di Paolo di Paolo), l’incontro con gli autori di ‘Sostiene Tabucchi’ (Felici, 2013) e – ultimo, lo scorso Marzo – un convegno sui suoi scritti ‘civili’.
È troppo, due volte l’anno?
La gente di Vecchiano non ne pare paga: vuole saperne sempre di più di questo suo concittadino. Gli vuole bene e sta comprendendo sempre di più il servizio che ha reso, con la sua letteratura, alla conoscenza delle ragioni profonde dell’esistenza umana. Alle ragioni e alle contraddizioni, cercando l’altro che è in noi, le sue debolezze e il suo incerto vagare nel tempo che passa e tuttavia permane. È un viaggio lungo quello che ci aspetta ma il primo passo è stato fatto e così bene e con tale partecipazione da indurmi a riflettere su questa possibilità: e se Vecchiano diventasse Vecchiano-Tabucchi?
Suona bene, no?
E del resto, guardandomi intorno: Torre del Lago-Puccini, Castagneto-Carducci. Così vicini e che bei nomi hanno.
Athos Bigongiali
Pisa, Maggio 2014