Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Pubblichiamo una sintesi di una lunga conversazione con il direttore di MicroMega in cui Andrea Camilleri sottolinea come la tendenza odierna di molti intellettuali italiani al disimpegno rischi di sfociare non di rado in aperta indifferenza. Un fatto tanto più grave in quanto le occasioni per ‘sporcarsi le mani’, nell’Italia della cura Marchionne e degli attacchi alla procura di Palermo, di certo non mancano. Per questo Antonio Tabucchi gli pareva una voce rara.
di Andrea Camilleri
L’impegno dell’intellettuale è una storia della quale cominciai a sentir parlare nell’immediato dopoguerra, con Sartre e tutti gli altri. Allora si chiedeva, da parte della sinistra, ma diciamo pure da parte del Partito comunista, una sorta di integrazione assoluta dell’intellettuale all’interno della politica del partito. Insomma, si chiedeva all’intellettuale un impegno civile, ma era un impegno esattamente definito dentro i «paletti» di un’ideologia e di una linea politica: chi sgarrava era fuori. Vedi Vittorini. Vedi tanti altri.
Successivamente, con la destalinizzazione e poi il boom, il carattere dell’impegno degli intellettuali è mutato, non più strettamente legato a un’ideologia ma più direttamente ai problemi della società. C’è stata tutta una letteratura legata alla fabbrica, al boom economico e alla sua critica, prendiamo un autore certamente non «estremo» come Mastronardi.
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Poi la critica, il senso politico, anche quello in senso lato sociale, è andato affievolendosi. Perché? Non lo so, eppure dopo l’onda lunga del Sessantotto, parliamo degli anni Ottanta, succede che ci troviamo in una situazione parecchio paradossale: in nove casi su dieci l’intellettuale in Italia non parla del mondo in cui vive, parla d’altro... Oggi c’è solo il «particulare»: lo scrittore racconta del suo ombelico, se vi sta bene, bene, altrimenti pazienza.
Magari qualcuno obietterà che sul proprio ombelico Proust ha scritto un capolavoro in più tomi, che ci sono periodi storici in cui si può parlare ampiamente e splendidamente del proprio ombelico, magari anche oggi. Ma allora avanzo una contro-obiezione e chiedo una «separazione delle carriere»: tu come scrittore parli del tuo ombelico, ma come cittadino non puoi non accorgerti della situazione di disagio e di ingiustizia in cui vive la maggioranza del paese. Almeno come cittadino, ne vuoi parlare? Vuoi spendere una parte del tuo prestigio almeno per «aggregarti» umilmente con chi prende iniziative per combattere quelle ingiustizie? No, neanche questo. Ecco perché siamo a una sorta di grado zero della funzione dell’intellettuale oggi in Italia. Sono pochissimi gli intellettuali che partecipano come cittadini, e questo è un danno, un danno enorme. E anche una colpa.
Perché se hai una qualche dote, che ti fa in qualche modo distinguere, ritengo un dovere che tu la debba usare impegnandoti come cittadino, è un modo di restituire parte dei privilegi di cui godi. Naturalmente bisogna intendersi sul termine «intellettuale». Mi lamentavo dell’assenza civile degli scrittori, degli artisti, perché altri intellettuali si impegnano, per fortuna.
Zagrebelsky è un intellettuale, Rodotà è un intellettuale, però nel mio campo, nel campo più vicino al mio, io non trovo un impegno analogo, mentre la situazione del paese imporrebbe l’obbligo più assoluto di una costante par-te-ci-pa-zio-ne!
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Perché la mancanza di partecipazione è contagiosa. Se ci sono intellettuali che partecipano, dibattono, polemizzano, si mantiene viva la ricerca delle soluzioni ai problemi. Se gli intellettuali smettono di partecipare, tutto torna nella nebbia e nel silenzio. Se ci fosse un Pasolini, oggi magari il Corriere accanto al suo articolo ne pubblicherebbe un altro per smussarne le punte, ma comunque Pasolini lo pubblicherebbe. Ma oggi non c’è un Pasolini, uno Sciascia, neppure un Moravia, che in più momenti è stato lucidissimo e bravissimo sui problemi italiani. Quando manca questo sprone continuo, anche l’intellettuale che si impegna finisce per trovarsi isolato, ha la sensazione che il suo diventi solo uno sfogo di malumore, perché manca il confronto, chi ti controbatte, magari, ma senza eludere i problemi.
La cattiva salute dell’Italia è data oggi anche da questa sorta di melassa dentro la quale tutti ci rotoliamo e dall’omologazione che ne consegue. Un giovane intellettuale che comincia a emergere oggi, non emerge perché rappresenta una voce fuori dal coro ma proprio perché sa raccogliere meglio di tutti un desiderio dominante di non impegno, di non partecipazione. Per questo Antonio Tabucchi ci pareva una voce rara. Ma ai tempi di Sciascia e Pasolini, non era una voce rara. Poi è diventata una voce rara, Antonio, perché era ormai l’unico che dicesse le cose con chiarezza e anche con il necessario sdegno.
Dopodiché, fine. In realtà gli intellettuali – non vorrei pronunciare parole per cui domani mi diranno «da dove arriva questo a farci lezioni?», ma lo devo dire, con molto dispiacere – gli intellettuali oggi non hanno coscienza neanche del loro tradimento.
Talvolta si concedono un impegno blando, pro forma, sempre tenendosi sulle generali, ma è come fare l’elemosina. Mentre ci sarebbe bisogno che gli intellettuali avessero oggi il coraggio di impegnarsi in prima persona, parlando chiaro, facendo j’accuse concreti, rispondendo solo alle proprie idee, poi se il partito x pensa y non me ne frega niente e se anche il salotto x e il giornale y, io vado avanti comunque…
Non so perché gli intellettuali non lo facciamo, se non in pochi. Cos’hanno da perdere? Eppure molti pensano di essere impegnati, di essere coraggiosissimi. Ma si limitano ai valori generali, e dunque non colpiscono nessuno. Mentre se vuoi lottare contro la mafia devi schierarti con quelli che la mafia la combattono davvero.
(Micromega, Alla ricerca dell’impegno perduto, 6 novembre 2013)