Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
La vicenda dell’Opera di Roma è esempio paradigmatico del problema principale del nostro Paese. Quello di pretendere che i sacrifici, che talvolta sono solo delle limature rispetto a ben altri sprechi e regalie, le facciano gli altri. Tutti a sbracarsi che bisogna spendere meno, che bisogna risparmiare, che ci sono troppi privilegiati, caste, pensionati d’oro, stipendi gonfiati ma poi, quando tocca a noi, ritiriamo subito la manina e cominciamo a protestare.
All’Opera di Roma, in tempi di ristrettezza economica, c’era da decidere se cercare di aumentare gli incassi producendo di più o ridurre gli stipendi per cercare di passare il brutto momento. I “burocrati dello spartito”, come vengono definiti, non hanno perso molto tempo per decidere e si sono buttati subito su una terza soluzione: ridurre le rappresentazioni, per spendere meno, ma non ridurre gli stipendi.
Conseguenza: duecento tra orchestrali e coristi a casa e il direttore Muti che -tronca la bacchetta?- lascia infuriato l’Opera.
Riduzione di stipendio e di accessori poi in alcuni casi quasi ridicola, come la diaria giornaliera per le trasferte, da 190 euro a 160 per ogni giorno, respinta con sdegno dal sindacato.
Sembra fare il paio con la ventilata riduzione degli stipendi dei dipendenti di Camera e Senato, subito allerta con le loro 23 sigle sindacali per il rischio della morte per fame e inedia. E si capisce, i 170.000 euro massimo di stipendio l’anno proposti per gli stenografi parlamentari, che sono quasi tutte donne, sono appena sufficienti per la messa in piega settimanale. Pare che la cifra massima di stipendio per queste figure arrivi a 290.000 euro l’anno.
Poi ci sono i sindacalisti stessi, delle migliaia di sigle in Italia, che prima di andare in pensione abbiamo saputo si sono autonomamente aumentati gli stipendi per avere una pensione proporzionata (legge 564 di cui nemmeno il relatore Treu- a domanda diretta- mantiene memoria).
Pare che nemmeno Angeletti fosse a conoscenza del meccanismo che permetteva ai prossimi pensionati sindacalisti di pagarsi non tanto un ultimo stipendio maggiorato, ma semplicemente i contributi relativi per avere il diritto di calcolarci sopra la pensione.
Poi ci sono i consiglieri regionali che con pochi mesi di incarico, e pagando i contributi modesti per alcuni anni, vanno in pensione a 50 anni con 3500 euro per aspettare i 5000 al compimento del 65.
La televisione, specie alcune trasmissioni di denuncia sociale (e non c’è bisogno di sforzarsi nemmeno troppo per trovare materiale adatto) fotografa con impietosa crudeltà la realtà del nostro paese.
Ci si può anestetizzare con interminate serate di calcio che dopo la partita si trascinano per ore e ore sul fallo di gioco, sul rigore che c’era o non c’era, sulle interviste con le solite domande e le solite risposte, con gli “esperti” in studio con tanto di moviola o moviolone (scusate ma non conosco la differenza).
Oppure sollazzarsi con tutte le trasmissioni con ospiti dove si cerca di far di tutto perché succeda qualcosa, una discussione con offese, una bella rissa, qualche battuta a doppio senso, tutto per cercare di uscire dall’anonimato e magari avere un passaggino su Striscia o qualche altro programma un po’ più intelligente.
Chi riesce a sfuggire a questi programmi che inevitabilmente portano la mente sulla via del regresso mentale e per scelta, o per caso, si sposta su uno della miriade di programmi di intrattenimento politico (visto il numero più per caso, statisticamente parlando, che per scelta) si vengono a conoscere notizie e situazioni che ci indurrebbero subito a cambiare paese.
Perché ci rendiamo conto, con profonda tristezza e rabbia, che non esiste solo la casta dei politici, oramai radiografata e assodata, ma ne esistono tantissime, in ogni ambito indagato, in ogni settore che venga sondato. Ora abbiamo visto che esiste anche all’Opera di Roma, dove viene tirato in ballo il solito e stantio complotto, stavolta contro l’Arte, ma poteva essere contro il prosciutto di Parma o la magnese S.Pellegrino.
E quello che dispiace di più è che la troviamo anche dove non ci saremmo mai aspettati, in quel sindacato che dovrebbe difendere, più di tutti, principi e diritti.
Il sindacato dovrebbe per primo fare una riflessione sul suo ruolo e sugli obbiettivi che vuol raggiungere. Domandarsi poi perché i giovani fuggono e lo sfuggono, domandarsi se il loro ruolo principale sia solo quello di difendere i diritti (sacrosanti) di lavoratori occupati e pensionati, sia pure essendo queste due categorie la maggior parte dei loro iscritti.
Soprattutto il sindacato si dovrebbe rendere conto di come viene visto, oggi, dall’opinione pubblica generale.
Mentre la sua immagine pubblica fino a pochi anni or sono era vista come il baluardo ultimo della difesa dei più deboli, l’unica organizzazione che si occupava della povera gente, degli ultimi, degli indifesi, oggi appare sempre di più come una casta che difende solo chi ha, mentre chi non ha (precari, disoccupati, inoccupati, giovani) non si vede rappresentato.
E’ vero o non è vero, non sono io a poterlo decidere, dico solo quello che è il sentire comune, e non è un bel sentire, cosa di cui il sindacato si dovrebbe seriamente preoccupare.