Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
BUETTA
Lett: nc.
A buetta era un gioco di strada comune fra i ragazzi fino circa alla metà degli anni cinquanta.
Consisteva nello scavare, e modellare spianando, una piccola buca con i margini arrotondati su di una superficie inclinata. Per giocare si usavano delle palline che all’inizio erano di terracotta smaltata, piuttosto fragili, di vari colori pastello, che poi vennero sostituite da biglie di vetro trasparente con dentro un inserto colorato.
Ogni giocatore metteva una o due palline poi il prescelto le prendeva tutte nel cavo della mano e da una distanza prestabilita, dove era stata tirata una riga, le lanciava verso la buca cercando di farle rimanere dentro. Non era un’operazione facile sia perché la buca era piccola (da cui il termine buetta), sia perché era poco profonda e con i margini arrotondati per cui le palline spesso entravano ma altrettanto spesso, rotolando, ne uscivano. Le palline che rimanevano nella buca erano vinte, le restanti rientravano in gioco o ripartendo da capo cambiando il giocatore, o cercando di farle entrare in buca con un biscotto (colpo secco dato con due dita della mano).
Altro gioco con le palline era di metterle tutte in fila (una per ciascun giocatore), e cercare di colpirle dalla distanza scagliando una biglia sempre con il solito biscotto.
Le palline venivano messe vicine una all’altra tranne una, detta il papa, che veniva posta più lontana. Quelle poste vicine una all’altra rappresentavano un bersaglio facile e quante se ne colpiva, tante se ne vinceva. Il papa era invece un bersaglio singolo, più piccolo e più difficile, ma chi riusciva a colpirlo vinceva la totalità delle palline.
Il biscotto, il colpo che faceva muovere le biglie, poteva essere portato caricando il medio con l’opposizione del pollice oppure anche caricando il pollice con l’opposizione dell’indice.
Il primo colpo era più vigoroso, serviva per le grandi distanze, il secondo meno potente, ma molto più preciso.
Un altro gioco di strada molto diffuso in quegli anni era quello della cerbottana.
La cerbottana era uno stretto e lungo cilindro con cui si scagliava, soffiando, un proiettile.
Per la verità il proiettile era innocuo, perché rappresentato o da un piccolo pezzo di carta "cianciuato" (ridotto in poltiglia umida con la masticazione), oppure da un piccolo prodotto vegetale di quelle piante, oramai piuttosto rare, che si trovavano come ornamento in molte strade dei nostri paesi.
La cerbottana si faceva tagliando il fusto delle spazzole, le fluorescenze a pennacchio delle canne che si possono vedere lungo il Serchio, che essendo cavo e perfettamente rettilineo era molto adatto a lanciare quelle palline rotonde che nascevano a grappoli sulle piante.
Era un gioco molto divertente ed anche se avvenivano grandi battaglie assolutamente non pericoloso, poiché la forza impressa dalla cerbottana, ed anche la consistenza del proiettile, non erano sufficienti a creare seri danni nemmeno se accidentalmente andavano a colpire un occhio od un’altra parte delicata.
Molto pericoloso era invece l’uso dell’arco che noi ragazzi facevamo con le stecche degli ombrelli. Con l’ombrello d’incerato si faceva l’arco legando un filo di spago alle due estremità di una stecca di legno mentre con l’ombrello a stecche facevamo le frecce. Le stecche metalliche venivano tagliate ad un estremità, dove era l’occhiello, per ricavare un alloggiamento dove inserire lo spago ed appunzite dall’altra per penetrare meglio nel bersaglio. Era un gioco pericoloso perché le stecche erano vere e proprie frecce e potevano creare seri danni.
Quando non erano disponibili ombrelli le battaglie si potevano fare o con delle spade di legno ricavate di solito dalle cassette degli spinaci oppure con i fucili a gommini. L’occorrente per questi ultimi, anche se di più laboriosa realizzazione delle spade (una punta in cima e un traversina a protezione della mano), era comunque sempre a portata di mano: un manico di una vecchia granata, dei nasini o gancini della mamma, uno scorcio di camera d’aria di bicicletta.
Si fissava il nasino, o i nasini se si voleva un fucile a più colpi (a ripetizione), alla base del manico ed un chiodo alla cima. Tra i due si stendeva una sfilza di gommini realizzata tagliando piccoli cerchi di camera d’aria attaccati tra loro a formare una treccia. Questa si posizionava tendendola e collegandola al chiodo in alto e al nasino in basso. Schiacciando il nasino la treccia si liberava alla base e veniva lanciata dalla cima del “fucile”. Più nasini portavano più trecce, e quindi più colpi, tuttavia il chiodo era unico e se si sbagliava l’ordine in cui si erano caricati i gommini il proiettile sparato rimaneva attaccato alla cima e ciondolava, innocuo, dal manico della granata.
Buetta era anche detto un pacchetto di tabacco da pipa.
BULLETTA
Lett: BULLETTA. [Bolletta. Polizzetta per contrassegno di licenza. Ricevuta]
Non è termine prettamente dialettale perché, oltre ai significati suddetti, è vocabolo italiano per indicare un chiodo corto a larga capocchia.
In dialetto non ha questa precisa indicazione ma il significato generico di chiodo, perdendo la particolarità della lunghezza e della testa larga.
“Dammi ‘na bulletta” : passami un chiodo; “c’ho messo ‘du bullette”: l’ho inchiodato.
BUO di ‘ULO
Lett: BUCO DI CULO.
Espressione volgare usata nel parlare comune per indicare una persona fortunata, baciata dalla fortuna al gioco o nella vita. “Hai avuto un bel buo di ‘ulo”: hai avuto una bella fortuna.
Termine equivalente è sfondato. “Se’ proprio sfondato!” : sei proprio fortunato!
La frase è usata anche per indicare una donna bella, piacente: “ha un bel buo di ‘ulo”: è proprio una bella donna (anche ha un bel sedere).
A buo a buo, e a buino sono termini equivalenti usati per indicare una situazione di particolare ristrettezza: di tipo temporale (ci siamo arrivati proprio a buino), o fisico (c’è passato a buo a buo). In italiano si potrebbero tradurre con a malapena, in extremis, per un pelo, di stretta misura, appena in tempo.
“Forza buo!” era un grido di incitamento, con lieve vena ironica, indirizzato dagli astanti agli sportivi, di solito ciclisti solitari, che arrancavano in evidente ritardo dal gruppo che li aveva preceduti.
“Forza buo, passan le cee!” era infine un incitamento alla pazienza e alla perseveranza, doti indispensabili in chi pratica questo sport gravido di soddisfazioni ma anche di cocenti delusioni.
In riferimento alle cee riportiamo il famoso colloquio fra pescatori migliarinesi:
“Allora, com’è ‘ndata, quante n’è prese?”
“Mah!…N’ ho preso poe…... ma belle!”
mirabile esempio di sincerità fra pescatori che permane immutata ai giorni nostri.
FOTO. Avane, via di Cafaggio 1950