Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
IL RISCHIO IDROGEOLOGICO IN ITALIA: DIAMO I NUMERI
Il crollo di un costone di terreno su una abitazione nella frazione di Ripafratta ha fatto tornare d’attualità, se mai ce ne fossimo dimenticati, il problema del dissesto idrogeologico del nostro territorio.
Non voglio entrare nel merito sulle cause e le eventuali responsabilità di questo evento che soltanto per una felice combinazione di casualità non si è trasformato in tragedia (colgo l’occasione per esprimere tutta la mia solidarietà, per quel che può valere, alla famiglia Grassotti). E non ci voglio entrare perché non conosco la situazione e perciò rischierei di perdermi in speculazioni inutili: sono dell’idea che in questi casi prima di esprimere giudizi o tirare conclusioni sarebbe meglio avere un’idea chiara e critica del quadro generale e ragionarci soprattutto a freddo, passato l’impatto emotivo.
Ho vissuto in prima persona la tragica alluvione che colpì nel 1996 il comune di Stazzema e vi posso assicurare che sul momento è difficile sfuggire alla retorica e magari, da parte di alcuni, alla strumentalizzazione.Il tema che vorrei affrontare è che cosa è il dissesto idrogeologico e quali sono i numeri che lo descrivono. Il rischio idrogeologico è infatti un tema sempre più comune nelle cronache, soprattutto dopo gli straordinari (per certi aspetti) eventi metereologici degli ultimi mesi e i danni che da questi sono nati: la mia sensazione è che però il tutto si limiti al continuo rimbalzare fra i titoli dei giornali e le voci dei giornalisti televisivi della conta dei danni e delle eventuali sfortunate vittime.
Questa sensazione genera una paura, probabilmente infondata: quella che la nostra percezione del problema si limiti ad una neanche troppo vaga sensazione di sgomento e di impotenza che finisce con il risolversi nel fatalistico sentimento dello ‘scampato pericolo’ (del tipo: poveracci…meno male che non è toccato a noi !).
Il dissesto idrogeologico è la degradazione dell’ambiente dovuta principalmente all’attività erosiva delle acque superficiali, in contesti geologici naturalmente predisposti (si pensi ai terreni rocciosi poco coerenti, per esempio) o resi tali dall’attività umana (si pensi alle zone disboscate).
Il dissesto può essere prevenuto dall’uomo con opere di razionalizzazione dei corsi e dei deflussi d’acqua, con opere di consolidamento del terreno e con la razionalizzazione delle pratiche forestali e agricole. Volendo riassumere, il dissesto idrogeologico è un fenomeno naturale che l’uomo può aggravare o prevenire.
È evidente allora che in un territorio fragile come quello italiano, ancora molto attivo da un punto di vista geomorfologico, diventa fondamentale l’equilibrio tra le attività umane e l’adattamento del territorio.
Purtroppo, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, la cura del nostro ambiente naturale è stata in parte (e a posteriori colpevolmente) sacrificata ad altre esigenze (si pensi al boom economico e alla crescente attività insediativa civile e produttiva che ne derivò: probabilmente nessuno, all’epoca, pensò al rischio idrogeologico).
Non a caso la dimensione del problema ha assunto nel nostro paese dimensioni estremamente rilevanti. Basti pensare che in Italia ogni anno vengono registrati oltre un migliaio di frane, molte delle quali (circa il 10%) provocano vittime, feriti, evacuati e danni a edifici e infrastrutture. Nell'inventario degli fenomeni franosi dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) sono censite 499.511 frane per una superficiale interessata totale di 21.182 kmq (il 7% del territorio nazionale). La superficie esposta a pericolo di alluvione è pari invece a 23.903 kmq (di cui circa la metà classificata come ad alta criticità). Abbiamo iniziato a dare i numeri e proseguiamo (fonti: ISPRA, IRPI-CNR, CRESME).
Tra il 1963 e il 2012 sono morte in Italia, a causa del dissesto idrogeologico, 3994 persone (3302 vittime di frane, 692 di alluvioni). A queste di devono aggiungere 2678 feriti (rispettivamente, per i due fenomeni, 1873 e 805) e 83 dispersi (17 e 66). Il costo complessivo dei danni per frane e inondazioni sostenuto dal nostro paese da 1944 al 2012 è pari a 61,5 miliardi di euro.
Circa il 9,8% della superficie del nostro paese è ad elevato rischio idrogeologico: il 5,7% a rischio frana, il 4,1% a rischio alluvione. Su queste superficie a rischio vivono 5.798.799 persone e insistono 6250 scuole e 550 ospedali. Dal 1956 ad oggi la popolazione italiana è aumentata del 24% (passando da 48.788.140 abitanti a 60.626.442 del 2010), mentre il consumo del suolo è aumentato del 156% (da 8.000 kmq a 20.500 kmq).
Negli ultimi 5 anni in Italia si sono consumati circa 8 mq di suolo al secondo: ogni cinque mesi è stata cementificata una superficie pari al Comune di Napoli. La superficie urbanizzata pro-capite è stimata in 343 mq ad abitante (nel 1956 era di 170mq).
La nostra regione ovviamente non è immune: anzi primeggia nella triste classifica nazionale delle vittime per alluvioni. In Toscana, tra il 1963 e il 2012, ci sono stati 138 morti (67 per frane, 71 per alluvioni), 451 feriti (rispettivamente 87 e 364) e 16 dispersi (1 e 15).
Il tasso medio di mortalità, ovvero il rischio posto da un pericolo al singolo individuo, è dello 0,0387 per le frane (contro lo 0,125 dell’intera Italia) e dello 0,0498 per le alluvioni (contro lo 0,03 nazionale). La superficie regionale a rischio frana è pari a 1.248 kmq (il 5,4% dell’intera regione), mentre quella a rischio alluvione è pari a 1.294 kmq (il 5,6%).
I toscani residenti nelle aree a elevato rischio idrogeologico sono 479.162 (il 12,8% della popolazione regionale). Il problema, come è facile capire, è estremamente complesso e presenta ragioni e soluzioni diverse da zona a zona. Basti pensare che una delle cause più frequentemente citate nella discussioni sul dissesto idrogeologico è il disboscamento: in Toscana la copertura boschiva non è mai stata estesa come oggi dall’Alto Medioevo ! Quindi, al di là di situazioni di dissesto locali, il disboscamento non può essere un argomento spendibile (almeno come generalizzazione) nella nostra regione.
Mi piace ricordare che la Toscana (se mi permettete un piccolo momento di campanilismo) è una delle regioni migliori, se non la migliore in assoluto, per quanto riguarda l’integrazione fra difesa del suolo, regolamento forestale e prevenzione del rischio sismico, idraulico ed idrogeologico; siamo stati fra le prime regioni ad attivare un centro funzionale per la raccolta e la diffusione degli allerta meteo (un centro che fortunatamente funziona bene: gli eventi metereologici estremi sono segnalati puntualmente e con precisione).
Nella nostra regione è fortunatamente molto difficile continuare a pianificare e realizzare costruzioni in zone dichiarate e rischio. Questo però non significa, come i numeri ci hanno dimostrato, che siamo immuni da ogni rischio, da ogni speculazione o che si è raggiunto l’assoluta perfezione nella prevenzione e nella gestione del rischio idrogeologico. L’Italia deve fare ancora molto per il rischio idrogeologico. La copertura finanziaria necessaria per la messa in sicurezza del territorio è stata valutata in 40 miliardi di euro: la legge di stabilità per il triennio 2014-2016 prevede una quota di 180 milioni.
Ci possiamo trincerare dietro il solito ritornello del “non ci sono più soldi” ma non funzionerebbe. Per la difesa nazionale, ovvero per difenderci da una minaccia che di fatto non esiste, spendiamo circa centotrenta volte di più che per la difesa del suolo, una minaccia reale che provoca circa 60 vittime ogni anno.
Non voglio dire che non dobbiamo sostenere la difesa: magari però possiamo espandere il concetto di ‘difesa nazionale’ includendoci anche la sicurezza del territorio, riconvertendo parte della nostra industria della difesa impiegandola in azioni di monitoraggio, controllo e gestione dell’ambiente.
Noi spesso, quando accadono eventi come quello di Ripafratta, puntiamo il dito contro le amministrazioni locali. Ma spesso (non dico sempre, l’esempio di Carrara è in tal senso importante) le presunte colpe che imputiamo a queste amministrazioni sono le colpe di uno Stato che come abbiamo detto investe poco (leggo con ‘terrore’ che in uno stato dal territorio tanto fragile come il nostro la comunità scientifica nei settori delle Scienze della terra e dell’ingegneria ambientale si trova a dir poco in gravi difficoltà) e che spesso imbriglia e raggira le buone norme locali. Uno Stato che impone poi alle amministrazioni e ai cittadini labirinti burocratici e spese spesso insostenibili anche soltanto per rimettere a posto un muretto o intervenire, ad esempio, su una frana.
Avevo detto che non avrei scritto di responsabilità ed ecco che ho appena mancato alla parola data.
Mi permetto allora un piccolo appello.
Il sindaco di San Giuliano Terme, Sergio Di Maio, ha preso l’impegno di proteggere il territorio limitando l’edificazione nelle zone a rischio e di provvedere alla manutenzione, al monitoraggio, al controllo e al presidio del territorio.
Le assemblee pubbliche che ha organizzato in questi mesi sulla questione degli elettrodotti, quelle che ha annunciato sulla sicurezza delle territorio e sulla viabilità sono manifestazioni significative della volontà di rispettare questi impegni.
Spero allora che il nostro comune, con la partecipazione di tutte le forze politiche, faccia da apripista sulla costruzione di un sistema di eccellenza nella gestione del territorio per un suo uso corretto e consapevole.