Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Poche pagine tratte da "Memorie toscane" di Augusto Gotti Lega, classe 1904, scritte nel 1971, otto anni prima della morte.
[...] Un giorno ero al Fascio e doveva essere organizzato un comizio a Migliarino, paesetto vicino a Pisa, dove i Salviati hanno la loro grande villa e la celebre pineta. Si doveva anche fondare la sezione.
Sandro Garosi, uno dei più tremendi squadristi che aveva però nel volto e negli atteggiamenti i segni inconfondibili del pazzoide più che del coraggioso, morto pochi anni fa sotto altro nome dopo essere scappato dal carcere durante la guerra, avrebbe capeggiata la manifestazione perché era lui che si occupava dei Fasci della Valle del Serchio dove era già paurosamente celebre. Buffarini, buon oratore, uno dei cervelli del Fascio, avrebbe fatto un discorso in una sala che era stata messa a nostra disposizione da un simpatizzante.
Il Garosi disse a Buffarini che al termine del discorso, avanti di ricevere le adesioni e consegnare le tessere, avrebbe tirato fuori la sua inseparabile pistola, con la quale colpiva un soldone a dieci metri, e sparato una dozzina di colpi appena sopra le teste degli intervenuti. Alla fine della sparatoria coloro che fossero rimasti nella sala sarebbero stati iscritti al Fascio avendo dimostrato coraggio. I fuggitivi, per punizione della loro codardia, sarebbero stati presi a sculaccioni dai fascisti portati da Pisa.
Il Buffarini guardava esterrefatto il Garosi mentre questi gli faceva pomposamente la descrizione della cerimonia, ma era difficile e anche pericoloso contraddirlo perché la sua violenza non aveva limiti e poteva scagliarsi anche contro un camerata che gli desse torto. Osservò che la procedura non gli sembrava la più adatta per fondare un Fascio, ma il Garosi insisté con veemenza e l’altro dovette rassegnarsi, fatto non inusitato perché c’era un gruppo di squadristi dalla cui ira ci si poteva spettare tutto. Il Buffarini implorò il Garosi di essere almeno molto cauto e attento nella sparatoria.
Siccome bisognava portare un pacco di manifesti a Migliarino per affiggerli ai muri con l’invito per la conferenza e io ero in quel momento l’unico presente in quelle stanze, fui incaricato di portare il pacco la mattina dopo, affiggere i manifesti e tornare l’indomani per aspettare il camion da Pisa che sarebbe arrivato con l’oratore, Garosi e qualche squadrista incaricato di dare la lezione a coloro che fossero scappati durante la preordinata sparatoria.
Fiero dell’incarico, per due giorni saltai la scuola, facevo il secondo anno di liceo, e me ne andai in bicicletta a Migliarino col pacco dei manifesti legato dietro al sellino. Ero aspettato in un bar dove trovai un ragazzo con secchio, colla e pennello e insieme attaccammo i manifesti. Mi guardavano già un po’ smarriti, perché la fama sanguinaria del Garosi aveva già sfavorevolmente impressionato le popolazioni di quei paesi. Il giorno dopo tornai di buon’ora, sistemai con quel ragazzo e con qualche altro sopraggiunto la sala ed aspettai. Il camion arrivò. Ne scesero il Buffarini, il Garosi e una mezza dozzina di squadristi di secondo bando, del mio tipo, ossia giovanissimi che avevano portato un gagliardetto e che cantavano le solite canzoni degli arditi “Mamma non piangere se c’è l’avanzata, tuo figlio è forte, paura non ha, asciuga il pianto della fidanzata. Si va all’assalto si vince o si muor “ o “ All’armi siam fascisti, terror dei comunisti... » ed altri ancora.
C’era una discreta folla radunata davanti e dentro la sala dove Buffarini avrebbe tenuto il suo discorso. Garosi era pallidissimo, cosi grande, magro, col naso aquilino e le stigmate della libidine, e infatti per libidine doveva rovinarsi.
Io come attacchino e primo fascista arrivato nel paese mi sentivo investito di un’alta funzione e mi accompagnai ai due, ponendomi al lato del tavolo, dietro all’oratore. Gli squadristi venuti sul camion si sistemarono ai due ingressi per controllare i fuggiaschi. Alla fine del discorso, come aveva preannunciato, il Garosi impugnò la pistola e cominciò a sparare. Sparava veramente sulle teste degli intervenuti. Con tre revolverate mandò in frantumi le lampade che stavano in mezzo alla sala che si vuotò immediatamente, poi ricaricata l’arma con straordinaria velocita, continuava a sparare ai piedi dei fuggiaschi. Ci guardammo. Eravamo rimasti soli: soli noi tre che stavamo dietro l’arma del pazzo. Erano scappati tutti, compresi gli squadristi portati da Pisa e che travolti e impauriti, avevano tagliato la corda anche loro.
Nel silenzio che seguì gli spari, spente le urla e caduto il frastuono, Buffarini disse: “Te lo avevo detto che non era questo il sistema migliore per fondare un Fascio. Guarda!“ e mostrò la sala vuota. Il Garosi livido, con gli occhi iniettati di sangue, disse tra i denti: “Anche i nostri se ne sono andati. Ora vado fuori e gli metto sei pallottole nel culo“. “Per carità” imploro il Buffarini che cercava sempre di ridurre la violenza, “per carità” ripeté abbracciando il Garosi quasi alle gambe, lui piccolo e l’altro cosi grande “ ti scongiuro”.
Tornammo a Pisa di notte, soli, sul camioncino. Gli squadristi se ne erano andati per conto loro.
Fu in quel periodo che il Garosi, alla guida di un cavallo su un barroccino, lui appassionatissimo di redini lunghe, sentì la tromba di un’automobile che gli chiedeva di passare nella stretta strada che da Pisa, attraverso le Prata, conduce a Vecchiano dove il Garosi, mi pare, faceva il farmacista. L’automobilista seguitava a strombettare e il Garosi a trottare in mezzo alla strada per cui era impossibile un sorpasso. Finalmente fermò il cavallo, consegnò le redini a quello che gli stava accanto e scese dirigendosi verso l’automobilista che, come raccontò, quando lo ebbe riconosciuto, alzò le mani dopo essersi fatto il segno della croce. Il Garosi riconosciutolo per un antifascista noto, gli ingiunse di seguirlo con l’automobile per tutta la giornata fino a quando non gli avesse fatto segno di passare e che badasse bene di non andare per un’altra strada perché sarebbe stata l’ultima a percorrere da vivo. Rimontò sul barroccino, mise il cavallo a passo e ce lo tenne per delle ore passando per i vari paesi che vedevano lo strano corteo di un cavallo seguito da un’automobile rombante quanto impotente.
Ai fatti tragici e al sangue si accompagnavano, talvolta, le farse. Un giorno fu richiesto al Fascio un intervento in un paese deve un comunista doveva tenere un comizio. Due fra i più ardimentosi e mi sembra fossero il Costi e il Malmusi si offrirono e dissero che preferivano di andare soli in motocicletta per evitare lo spiegamento di forze necessarie per una spedizione punitiva. Arrivarono nel paese. Salirono sul palco dove l’oratore stava per cominciare. Davanti a un paio di centinaia di persone attonite gli buttarono giù i pantaloni, stapparono la bandiera rossa che era sul palco e fattane una striscia lunga gliel’annodarono al membro girandogli intorno ai testicoli e ingiungendogli di tenerla cosi per una settimana che sarebbero tornati per controllare. La verità è che, sì, erano spericolati i due, ma ormai, agli albori del ventidue, il comunismo in Italia era quasi debellato. I fascisti avevano preso il sopravvento ed erano padroni della piazza.[...]
Sandro Carosi, da Gotti Lega chiamato sempre Garosi, si presenta così: «Tenente Carosi, undici omicidi, venti ferimenti»