Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Girando su Fb mi imbatto in un dialogo tra alcune donne sulle ragioni di non avere figli, si parla di un documentario e si cita un nome Lunàdigas. Un nome buffo, insolito…mi incuriosisco e vado a cercarlo su google. Mi si apre un articolo dell’Espresso e poi una pagina di un sito, Lunàdigas, appunto.
Scopro che Lunàdigas, in sardo vuol dire pecora sterile, e che è il nome di un progetto che due registe hanno realizzato per parlare delle donne che vivono tutta una vita senza diventare madri, un documentario che raccoglie interviste a molte donne, tra le quali Margherita Hack e Veronica Pivetti.
Il documentario è faticoso, non si carica bene, ci metto un sacco di tempo a sentire tutte le interviste, ma ce la faccio e resto a pensarci e non lo faccio da sola. Siamo le Madamadorè, donne con figli e non è un argomento così scontato. Per parlarne dobbiamo fare i conti con i nostri vissuti, con la nostra educazione e con quello che siamo oggi, con quello che siamo riuscite a conquistare in termini culturali.
Proviamo anche noi a farci una sorta di intervista.
Essere o non essere madre è una scelta, a volte libera, altre dettata da condizionamenti di vita o culturali e su questo siamo tutte d’accordo, credo. In entrambi i casi, cioè non avendo o avendo figli, una donna vivrà situazioni, emozioni e stati di vita sconosciute vicendevolmente, in base alla scelta fatta. E’ vero che gli stereotipi culturali ci crescono con un’idea, un modello … la bambola a cui fare da mamma, i giochi come le tazzine da thè, il forno, la lucidatrice e chi più ne ha più ne metta. C’è chi poi rimane accostata a questo, come ad un credo, e chi invece, riesce comunque a prendere le distanze dall’immagine culturale della donna-madre a tutti i costi, perché crescendo le vengono offerte opportunità di conoscenza che sviluppano la consapevolezza che nella vita ci può essere sicuramente altro. L’istruzione, la carriera, i viaggi, l’indipendenza economica ed il vivere una vita free. Libera da condizionamenti di ogni genere. Ed è lì, nel momento in cui sei veramente libera di scegliere che fai la scelta vera, che effettivamente scegli per te, per quello che vuoi e non per quello che la società si aspetta da te. Personalmente non ho mai giudicato la scelta di chi non vuole figli, non ritengo diverse, in meglio o in peggio, le donne che non ne hanno. Mi piace ascoltare i perché, mi piace confrontarmi ma sinceramente non ho alcun pregiudizio nei confronti di chi figli non ne ha, nel senso che se mi ritrovo a parlare con una donna che non ha figli non mi chiedo il perché, non penso che sia peggiore di chi ne ha. Però è evidente dalla serie di commenti che seguono il documentario, che le donne che non hanno figli si sentono, additate, giudicate, e ne esce fuori una rabbia che genera il confronto su quale donna è meglio: chi li ha o chi no? Questo secondo me è negativo, perché questo accanimento, perché cercare di dire chi e perché è meglio?, perché parlare dei diritti sul lavoro, che ha una madre per accudire i figli, che sono pochissimi, soprattutto nel privato, come un privilegio? Come un’ingiustizia ? Tutte abbiamo una vita da gestire, ognuna con il suo bagaglio di impegni, idee, desideri. Io ho due figli e sono la mia ragione di vita, divido le mie giornate tra il lavoro, le loro esigenze, la gestione della casa ed arrivo a sera sfinita. Lavoro in un’azienda maschilista, dove la carriera al femminile è molto rara, spesso mi sono sentita rivolgere frasi tipo:! Si li ho, li ho per scelta, rinuncio ogni giorno a qualcosa “per me “, dedicandomi a loro più che posso perché mi piace così, perché sono contenta così. Certo non è facile, spesso faccio i conti con il mio io, con i sogni che avevo; dopo la loro nascita tutto si è relativizzato, non lo so se in meglio o in peggio, so che è così ed in ogni cosa che faccio c’è l’amore per loro: dalla lotta per un diritto, alla raccolta differenziata, dall’usare l’acqua con parsimonia al non sprecare il cibo. Dai racconti di favole ai racconti di ciò che succede nel mondo. Asciugo lacrime e condivido sorrisi e vorrei potermi raccontare, ascoltare chi figli non ne ha, per dire cosa vivo io ma anche per sapere cosa vive che ha più tempo per sé. Dovremmo essere unite da un legame ancestrale che risale alle origini del mondo: siamo per tanti il sesso debole, siamo sempre soggette a giudizi e pregiudizi, dobbiamo sempre dimostrare di valere e di essere all’altezza per un ruolo, per un lavoro, tutte cose “di genere” ma perpetrate spesso, da appartenenti al nostro stesso sesso. Siamo impietose, sempre pronte al giudizio su vestiario, trucco e parrucco, sul culone o sul fisico troppo magro, sulle tette vere o finte. Dunque sarebbe bene essere più solidali ed unite, pensare che dentro ognuna di noi c’è un universo unico, formatosi dalle esperienze vissute: quando abbiamo davanti una donna, non è una rivale o una nemica ma potrebbe certo diventare un’amica con cui condividere il bello ed il brutto. Generiamoci empatia a vicenda, può farci solo bene.
Non ho avuto il tempo di decidere, sono rimasta incinta. Ma son sicura che avrei deciso di volere diventare mamma. Non ricordo di aver mai avuto dubbi, di essermi sempre pensata mamma. Sarà che nonostante fosse già nata, io non ho giocato con la Barbie...e non mi ha influenzato. Si, ci ho pensato solo scrivendo questa cosa, la Barbie e Ken non hanno figli, mentre perfino le ribelli e anticonformiste amiche di Sex and the city si sposano e fanno figli. È vero che di fronte ad una donna senza figli me lo chiedo, perché no? ma è una curiosità leggera e passeggera, senza giudizio, ma piena di rispetto per la storia che c’è dietro quella scelta, una storia che il più delle volte resta al buio, soprattutto se c’è la decisione di non attraversare quella esperienza. Una volta una mia amica mi disse che è molto meno complicato dire che non si possono avere figli, piuttosto che dire che si è scelto di non volerne. Nel primo caso scatta una forma di solidarietà e di comprensione, nell’altro caso ci si scontra con uno sguardo di disapprovazione e di rimprovero che non sempre si è disposti a sostenere e spiegare.
Molte donne intervistate nel documentario Lunàgas raccontano il loro non essere diventate madri come una non scelta, è qualcosa che è accaduto, o non c’erano i presupposti o la natura ha deciso per loro, oppure c’è un vissuto infantile fatto di sofferenza, un rapporto difficile con la madre, una madre difficile che ha creato una sorta di trauma da cui è discesa una decisione. Altra storia è quella di Margherita Hack e di Veronica Pivetti, che raccontano una vita piena di “istinto materno e di cura” nei confronti dei loro progetti lavorativi, una vita che ha trovato un appagamento altro da quello dato da un figlio. Un’altra cosa che mi ha colpito è stata chi ha detto di avere difficoltà a vedersi adulto, dichiarando di essere rimasta bambina e dall’altra parte chi ha detto di avere difficoltà a tornare bambino, due facce della stessa medaglia.
Non è facile capire le ragioni della scelta di non diventare madre, a partire da questa particella –non- che racconta di una negazione di qualcosa. Quindi se vogliamo parlare di libera e consapevole scelta dovremmo evitare di descriverla come non diventare madre, ma dovremmo cominciare a descriverla come un diverso modo di vivere il proprio ruolo di persona, di coppia, di sessualità e questo non credo sia un aspetto privo di conseguenze psicologiche e relazionali. È un modo diverso di vivere e vedersi dentro una storia familiare, dentro la propria generazione, perché di fatto si resta dentro al ruolo di figli e si interrompe lo scorrere generazionale che ci riguarda e anche qui ci sono delle conseguenze psicologiche, relazionali e pratiche. È un modo diverso di vivere e misurarsi con la dimensione tempo, passato, presente e futuro. La mia vita per la mia vita, la costruzione di senso sarà certamente diversa, non migliore e non peggiore, diversa.
È su questa possibile diversità, senza giustificazione, che dovremmo riflettere. È questo che ancora non riusciamo ad accettare come socialmente “normale”. Infatti l’articolo dell’Espresso riporta alcune analisi di psicologi e sociologi che definiscono queste scelte inserendole in un ragionamento più ampio, nella descrizione di tratti caratteristici della nostra società: individualismo, cinismo, difficoltà a prendersi le responsabilità, paure diffuse…tutto per spiegare che tra le donne nate nel 1965, circa il 24 per cento non ha figli, il nostro paese ha il primato europeo di “childfree”, che tradotto significa libere da figli, e torna un significato negativo attribuito a questa scelta.
Un ultimo appunto riguarda un aspetto poco considerato anche nelle interviste e nell’articolo dell’Espresso, si parla sempre con molta enfasi e retorica del ruolo della madre e della maternità, senza porre mai attenzione al ruolo di genitore, alla funzione genitoriale, alla sua difficoltà, alla missione “impossibile” di diventare adulti sufficientemente buoni a crescere un bambino sereno e felice e accompagnarlo fino a diventare un adulto compiuto e autonomo.