Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
CARDANO
Lett: CALDANO. [Recipiente di rame, ferro, terra per tenervi dentro braci o carboni accesi per scaldarsi].
Dalle nostre parti era fatto di terracotta smaltata e veniva utilizzato soprattutto dalle donne anziane per scaldarsi durante l’inverno riempiendolo di brusta e cenere e tenendolo ai piedi quando cucivano, ricamavano o facevano la soletta. Serviva inoltre anche per scaldare il letto.
Le case erano molto fredde poichè il riscaldamento al tempo dei nostri nonni era rappresentato unicamente dal camino o dalla stufa a legna, adatti a scaldare solo pochi ambienti.
Il camino in inverno rappresentava il centro della socialità della casa.
Era di solito posizionato nella cucina, una grande stanza dove si preparavano e si consumavano i pasti. Era un’importante fonte di calore per il riscaldamento e la cottura dei cibi ed era di solito molto grande, rialzato, nero dalla fuliggine e con al centro una catena che pendeva dall’alto. Questa terminava con un gancio che reggeva sempre il paiolo, un recipiente rotondo, di rame, ma ormai anch’esso reso nero dal fuoco e contenente acqua permanentemente bollente, fumante.
Intorno al fuoco si riuniva alla sera tutta la famiglia “a veglia”, spesso con le famiglie vicine, ed era l’occasione per conversare, raccontare novelle, barzellette, storie. Nella parte più interna del camino (il canto del foo) sedevano i vecchi (da cui il proverbio: val più un vecchio nel canto che un giovane nel campo!), in segno di rispetto per la loro età e la loro esperienza. Erano loro che avevano di più da raccontare sulla vita, sul lavoro, sulle stagioni, sapevano novelle, proverbi, avvenimenti del passato, spesso conoscevano la storia e talvolta sapevano anche a memoria poesie od interi libri. Erano la nostra memoria storica, in un tempo in cui molti erano analfabeti o avevano un’istruzione superficiale e la televisione assente o appena agli inizi.
Talvolta si praticavano giochi tutti riuniti attorno alla grande tavola da pranzo: con le carte come rubbamazzo, sette e mezzo, briscola, scopa oppure si giocava a tombola. Un gioco che piaceva molto ai bambini era quello di fare un cumulo di farina in un piatto e nascondere dentro una monetina od altro piccolo oggetto. Il prescelto, tirato a sorte o per penitenza, doveva scovare l’oggetto solamente con la bocca imbrattandosi tutto di bianco, fra le risate generali.
La veglia serale per molte famiglie era anche occasione di preghiera quando il capoccia o la nonna iniziavano il rosario con la corona in mano, in attesa dell’arrivo degli ospiti per la veglia.
Le camere da letto di solito erano al piano superiore e quindi molto fredde. Quando era giunto il momento di coricarsi le donne preparavano il letto. Il cardano era riempito con la brace ardente del camino e posto all’interno di un attrezzo fatto di stecche di legno incurvate a semisfera (prete) o a fuso (frate) chiamato genericamente trabiccolo, che permetteva il sostegno del recipiente senza che questo venisse a contatto con le lenzuola.
La preparazione era semplice ma delicata perché bisognava saper dosare bene le quantità di brace e di cenere da immettere nel cardano per evitare o una temperatura troppo bassa, e quindi inefficiente, od una troppo elevata con ingiallimento delle lenzuola o addirittura con il rischio di incendio del letto.
Il trabiccolo veniva posto sotto le coperte e tolto al momento di coricarsi, talvolta con l’uscita di una grande nuvola di vapore che si era formato per la grande umidità.
I nostri nonni poi si coricavano in quei letti alti con le spalliere di ferro, spesso dipinte con motivi floreali, con reti metalliche poco consistenti che si deformavano al peso del corpo e su materassi spesso fatti con le sfoglie delle pannocchie del granturco, che facevano un gran rumore al minimo movimento. In alcune zone rurali addirittura la fodera della materassa veniva lasciata con delle aperture parallele per tutta la lunghezza in modo che le donne potessero introdurre le braccia e rimuovere le sfoglie che si erano compresse per il peso dei corpi. Le lenzuola di solito erano di canapa, dure e fredde, talvolta però riccamente ricamate a mano.
I bimbi piccoli dormivano fra i genitori e per evitare che soffocassero sotto il peso delle pesanti coperte, ed anche per proteggerli dal peso dei genitori, venivano sistemati sotto una specie di gabbietta di legno che prendeva il nome di archetto.
Nella camera, oltre il letto, si trovava l’armadio dove venivano conservati gli abiti della domenica e l’attaccapanni, una semplice tavola di legno con dei ganci, ugualmente di legno, spesso fatto artigianalmente, dove si appendevano gli abiti smessi. Addossato ad una parete si trovava poi il baule, una grossa cassa di legno scuro, in cui veniva conservata la biancheria di ricambio ed il corredo della ragazza nubile, il canterale con sopra lo specchio, spesso ingentilito da intarsi, con il piano di marmo dove trovava posto la sveglia. Questa era un grosso oggetto meccanico, rumoroso, che ogni sera andava caricata da dietro mediante due manovelle, una per la carica ed una per la suoneria, che di solito veniva sistemata sotto una campana di vetro per proteggere dalla polvere il delicato meccanismo. Infine, in un angolo, era posizionata la tualette (toilette).
Non essendoci in queste abitazioni, come nelle case moderne, un locale dedicato, il lavaggio del mattino avveniva infatti nella camera. Allo scopo si utilizzava questo oggetto molto semplice formato da un sostegno di ferro, di solito arricchito con riccioli in lamiera battuta e talvolta dipinto,
con un piano inferiore dove si appoggiava la brocca dell’acqua ed uno superiore, cavo, che alloggiava la catinella dove si versava l’acqua della brocca, con accanto il porta asciugamano.
Questo oggetto aveva spesso anche la funzione di ingentilire e rallegrare una stanza di per sé fredda e scura. Per questo era dipinto con colori vivaci, smaltato, arricchito con orpelli come riccioli ed altro con lo scopo di renderlo grazioso e attraente. Per completare questa opera di abbellimento di una camera molto spesso ammobiliata con l’essenziale, con mobili spesso scuri che miravano più alla robustezza e alla durata che alla bellezza, la massaia poneva sul letto una bella bambola.
Una bambola con un bel vestito a trine che veniva aperto sul letto, a colori vigorosi, vivaci, come una bella bimba in miniatura con dei grandi occhi e grandi ciglia che si chiudevano, magicamente per noi bambini, quando si metteva sdraiata sulla coperta fatta all’uncinetto, come se dormisse.
Aneddoto.
In via delle Pratavecchie noi ragazzotti la sera d’inverno ci si riuniva sempre da Amerigo dell’Antonelli, davanti al grande fuoco della cucina, e ci si scaldava ridendo, scherzando e ascoltando le storie che i vecchi raccontavano: strane storie che ingigantivano ogni volta che venivano raccontate!
Quando faceva freddo dicevamo ad Amerigo che il fuoco era poco ed allora lui, con la gambetta zoppa, andava a prender un fascio di sagginali e lo buttava nel fuoco tutto insieme facendo un gran fumìo e appestando tutta la casa.
CARDATO
Lett: CARDATO.
Vocabolo derivato da cardare cioè [strigare la lana col cardo per renderla uniformemente soffice].
Il cardo era uno strumento formato da due spazzole, di legno o di cuoio, in cui erano infissi filari di denti curvi d’acciaio che strofinando uno contro l’altro permettevano la disgregazione della lana in filamenti.
Era un’operazione che veniva fatta periodicamente alla lana con cui venivano riempiti i materassi perché, con l’andare del tempo, questa si compattava e si induriva perdendo le sue caratteristiche di morbidezza e di riparo dal freddo.
Per questa operazione passavano periodicamente per i paesi i cardaioli, artigiani muniti di una panca su cui montavano una specie di altalena con una spazzola all’estremità che veniva fatta scorrere avanti e indietro su una seconda spazzola identica, fissa sulla panca.
La lana, indurita e resa compatta dall’uso, veniva spinta e sfilacciata fra le due spazzole ritrovando così la sua originaria morbidezza.
La lana era utilizzata per le materasse soprattutto in inverno mentre in estate si preferiva un materiale più fresco chiamato genericamente vegetale, composto che piano piano andò a sostituire nelle materasse delle famiglie le rumorose e scomode sfoglie delle pannocchie di granturco.
Il termine esatto era crino vegetale, un materiale fibroso con cui erano riempiti i materassi, che venivano poi impuntiti cioè trapassati con un lungo ago e cuciti con uno spago in tutta la loro lunghezza, al fine di assestare il materiale e rendere la superficie uniforme.
Questa operazione veniva compiuta dal materassaio, anch’esso visitatore periodico dei paesi, che talvolta era in grado anche di impagliare le seggiole (le sedie), sempre con il crino vegetale o la paglia.
Il far eseguire lavori da persone esperte senza doversi spostare dal proprio domicilio o dal proprio paese, viste le difficoltà di trasporto e di movimento di quei tempi, era pratica comune.
Chi aveva da cucire un vestito, una gonna o altri indumenti o cose che andavano oltre la semplice competenza della massaia chiamava a casa, a domicilio, la sarta. Questa veniva al mattino e molte volte si tratteneva a lavorare fino alla sera rimanendo anche a pranzo (specie se veniva da lontano). Il rapporto che si stabiliva in questo caso con la famiglia andava molto spesso oltre la normale conoscenza professionale. Si stabilivano, favoriti dallo stare insieme, dei veri rapporti di amicizia come quello nato fra mia madre Cosetta, e tutta la nostra famiglia del resto, con la Vittoria dell’Ancinotti, allora abile sarta, un’amicizia e un affetto che andava molto al di là del semplice rapporto professionale.
Il rendere morbido chi è duro, operazione che in questo caso riguarda la lana, ha ispirato l’origine del dialettale cardato, che ha preso il significato di punizione corporale.
“Ni ci vorrebbe un bel cardato!” significava che a quel tale serviva una bella lezione.
“Ti faccio un cardatoo!” era una minaccia molto frequente fra i ragazzi di un tempo.
Sinonimo di cardato era vergato (da verga: ramoscello), battuto (da battere), passamano (forse per il contributo di più mani, di più persone).
Pur avendo una funzione punitiva, ed essendo pur sempre un’azione violenta, il cardato non aveva in sé un senso di grande cattiveria ma era considerato più che altro un invito, (un deciso invito!) al ravvedimento, un modo, anche se piuttosto rude, di far capire uno sbaglio, una robusta spinta a rimediare ad una cattiva azione o situazione.
Aneddoto.
Alberto dell’Antonelli per andare a rubare le ciliegie di Amerigo e sviare i sospetti, si mise le scarpe da tennisse di Lamberto del Baglini, lasciando sul polverone dello stradone delle belle tracce che Amerigo sospettò appartenere a Lambertone, recidivo.
Prese quindi le scarpe di Lamberto e le provò sulle orme: combaciavano perfettamente!
Andò a trovarlo a casa, lo chiappò a letto, e nonostante Lambertone piangente giurasse e spergiurasse di essere innocente, “ni fece un bel vergato!”
FOTO. Vecchiano, via Umbertio I°