Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
LA FORTIFICAZIONE ALL'INGRESSO DURANTE IL CONFLITTO 1940-43
Abitavamo al casello d'entrata dell’Autostrada Firenze-Mare che fu inaugurata nel 1933. Mio padre era Capo casellante con un gruppo di quattro dipendenti alternandosi con il turno giornaliero di 24 ore. Oltre al servizio di biglietteria distribuivano benzina ed olio per motori. Un altro compito era quando il personale veniva avvisato del passaggio di Mussolini od altre autorità perché dovevano innalzare le grandi bandiere nazionali ai due piloni all’entrata, ai portabandiera della casa, esponendo le bandiere delle nuove conquiste del Regno d'Italia. La residenza estiva della Casa Savoia era a San Rossore e, con questa prossimità, ogni volta che uscivano ufficialmente passando dal casello era la stessa parata, alcune volte avemmo visite dei Reali. Dopo qualche anno dall'inizio dell'entrata in guerra dell’Italia, la strada ottenne importanza dal punto strategico, la possibilità di usare questa via sicura e veloce per lo spostamento di truppe e materiale bellico, doveva essere salvaguardata. Il luogo fu denominato ”Caposaldo" perché avrebbe inoltre protetto l’arteria da una possibile invasione del nemico. Così iniziarono i lavori per la costruzione di un alloggiamento per la truppa, poi fortini, piazzole per cannoni, sbarramenti stradali, un fossato anticarro circondante l’incrocio ed una polveriera.
Il nucleo operativo era formato da una dozzina di militari comandati da un tenente dell'esercito. Dopo circa un anno fu rinforzato raddoppiando il personale ed un altro ufficiale, costruendo un nuovo alloggio con un modulo di prefabbricazione a fianco del primo entro il giardino intorno al gran piazzale.
Dopo la resa dell'Italia dell’8 Settembre, che poteva essere considerato un sollievo il trovarsi fuori dal combattere, con i nostri soldati che sarebbero tornati a casa e finalmente in via di pace, iniziarono invece i tempi difficili. I militari tedeschi non furono tardi nell'arrivare al Caposaldo e requisire tutti gli armamenti, un autocarro ed altri mezzi. Si presentarono al mattino dopo l’armistizio e, con un evento che mio padre descrisse umiliante, tutti i militari italiani uscirono dagli alloggi con le loro armi e, schierati di fronte ad una linea tracciata dai tedeschi con un gesso sul piazzale, agli ordini del tenente tutti posero le armi sul selciato. I tedeschi caricarono il bottino e se ne andarono. Non ricordo precisamente l’atteggiamento dei militari o dei comandanti, ma ricordo che alcuni scelsero il ritorno alle proprie residenze, chiedendo a mio padre se avessero potuto lasciare temporaneamente i loro zaini ed effetti personali troppo ingombranti per il viaggio. Mio padre acconsentì e fece posto nello scantinato della casa assicurando la custodia delle loro cose. I fascisti inaspriti dalla situazione cominciarono le loro rappresaglie. Una tarda sera il casello fu circondato da squadristi, si presentarono alla biglietteria domandando di mio padre e simultaneamente forarono la porta posteriore che dava sulla cucina entrando armati, spaventando mia madre intenta ad allattare mio fratello di pochi mesi. La paura fece cessare istantaneamente il flusso nutritivo per il bambino mentre dall'altra parte della casa i fascisti volevano arrestare il capocasellante, accusandolo di mancare ad ogni adunanza del partito alla casa del fascio e di possedere armi nascoste nel sottosuolo dell'abitazione, ordinando istantaneamente una perquisizione. Trovarono l’accesso allo scantinato situato all’interno e cominciarono a tirar su ogni cosa che a loro faceva piacere, incluse le nostre cose, dicendo che il partito aveva necessità, ma ovviamente non furono trovate le armi, per questo a mio padre fu ordinato di seguirli alla loro sede per chiarimenti.
Fortunatamente era presente uno dei più forti e decisi casellanti e per pura coincidenza cugino di mia madre, Virgilio Valentini, dai paraggi di Vecchiano; l'alta statura dell’uomo dava una presenza autoritaria, la cadenza del suo parlare faceva intuire un’innata determinazione. Virgilio si ostinò contraddicendo lo squadrista, che il suo superiore non poteva lasciare il casello aperto, era la fine del suo turno e mio padre avrebbe iniziato il suo e non poteva assolutamente abbandonare la biglietteria.
Io avevo appena 9 anni, in stato di apprensione seguii la traumatica scena dal momento in cui intrusero dal dietro casa al dibattito ad alta voce che accadde nell'ufficio di mio padre. La camionetta con cui arrivarono era parcheggiata di fronte ai gradini del casello, era buio ma riconobbi il veicolo, un SPA militare comunemente usato dai fascisti, era completamente aperto, con altri fascisti sopra da dove signoreggiavano la loro presenza. Raccolsero gli zaini dei militari ed il resto del catturato e ripartirono.
L’imprevista visita ci fece chiedere il motivo della perquisizione e la falsa accusa di possedere armi. Sembrò ci fosse del sospetto tra uno degli impiegati che riferì ad altri fanatici della zona, prolifici con fantasie accusatorie.
L'arrivo delle truppe Alleate dette fuga a queste maschere fasciste che si dispersero con tutta fretta lontano dalla loro reputazione, ma il nostro informatore scelse Migliarino come rifugio e, senza che se lo aspettasse, fu sorpreso da mio padre che gli piombò una scarica di pugni.
La descrizione del Caposaldo fa immaginare una fortezza impenetrabile, ma dopo aver visto i mezzi e le attrezzature degli Americani, le barriere e l'armamento che avrebbe dovuto fermare l’avanzata si può considerare quasi comico.
La difesa del Caposaldo fu basata su tre possibilità di scontro, uno verso Pisa , sull’Aurelia, il più probabile, uno verso Firenze sull'autostrada ed uno verso Viareggio sull'Aurelia. Fabbricando tre ”Posti di Blocco" lo sbarramento aveva ridotto il transito ad una sola corsia, una piazzola quadrata circa un metro d’altezza in cemento occupava l'altra metà della strada, il transito passava lungo la piazzola e tra un altro spesso muro di fianco, sull’orlo della strada, due grandi tronchi d'albero erano montati su crude ruote di legno che al momento opportuno tramite un’apertura nel muro ed uno nella piazzola, venivano spinti ed incastrati nelle aperture attraverso la corsia bloccando il traffico. Poi c'era la trappola: la corsia in fronte alla piazzola era scavata, la buca larga 3 o 4 metri era ricoperta di fragili foratini, la corsia accanto era lasciata per il traffico, ma c'erano due buche squadrate con un coperchio di legno, in caso di attacco il personale avrebbe messo due mine nei pozzetti e fatte esplodere così il nemico vedendo la superfice interrotta, avrebbe cambiato corsia e, arrivando sui foratini questi avrebbero ceduto ed il nemico sarebbe caduto nel fosso sottostante. Tutto questo nel caso che i cannoni sulle piazzole fossero stati messi fuori uso, ma veramente l’unico efficace era quello verso Pisa, quello verso Viareggio era un vecchio residuo della Prima Guerra e quello verso Firenze, con meno probabilità di scontro, era una replica di legno. In seguito fu considerato che il buon cannone fosse troppo esposto, si pensò allora di camuffarlo ed i genieri costruirono un falso camion di stoia dipinto di rosso che nascondeva il cannone sotto, ma in seguito fu scavata una postazione di basso profilo nei campi da far sembrare che avessero lasciato e la piazzola indifesa, ma i più ingegnosi costruirono un nuovo cannone copiando quello rimosso, tinto in grigio verde, era imponente ma sfortunatamente di legno. I genieri furono anche creativi nel dare apparenza di un bar con vivaci colori alla prima caserma che confuse molti viaggiatori che, invece di trovare un ristoro, entrarono in una camerata. Poi c’erano i fortini , se non mi sbaglio erano tre , pochi metri distanti dall'Aurelia ed il raccordo dell'autostrada con adeguate trincee di collegamento. Essendo questa una zona con il livello idrico molte alto si riempirono permanentemente d’acqua. Il fosso anticarro fu una lunga operazione, scavato manualmente da operai con semplici vanghe e carrette con una profondità di circa due metri e largo Io stesso, l'unico impedimento che avrebbe provveduto, sarebbe stata l'acqua che conteneva. Ci fu un attacco al Caposaldo, non so se fu a sorpresa, ma per addestramento un distaccamento di militari italiani forzò la fortezza , non so chi vinse ma non ci furono né morti, né feriti o prigionieri , fintantoché le munizioni avevano le pallottole di legno.
Ogni tanto c’era un ispezione di qualche ufficiale di maggior grado che naturalmente non conosceva il numero della forza, che negli ultimi tempi la schiera dei militi all'adunata sul piazzale era ben ridotta. A causa delle indecenti condizioni della loro divisa, questi erano ordinati di nascondersi dietro ai cespugli del nostro giardino. L’allarme era suonato battendo con un mazzuolo di legno un bidone metallico tra le due baracche fino a quando tutti erano fuori correndo ai loro posti di combattimento, alcuni non troppo veloci causa le suole delle scarpe che strascicavano per terra. Possiamo immaginarci la sorpresa dei saldati tedeschi quando rimossero i cannoni, trovandone metà così leggeri, chiedendosi quale leggero metallo gli italiani avessero trovato.
L'unica cosa positiva era il vitto. Avevano un cuoco bolognese che era un fenomeno e, a secondo della direzione del vento, l’odore dalla cucina ci tormentava; la sua specialità era il risotto, sapeva della nostra preferenza e mandava sempre una gavetta per noi.
Raccontato e disegnato fedelmente da Renato Moncini, migliarinese di Greenville USA.
E questo è quello raccontatemi al telefono in una lunga allegra fraterna chiacchierata (chiama lui perché dice dall’America con costa quasi nulla) a far da appendice della vita al casello:
“Una volta si fermò al casello una macchina con la bandierina italiana e ne scese una giovine elegante donna accompagnata da un uomo in divisa. Chiese di poter usare il bagno e mia madre la accompagnò nel salotto passando attraverso l’ufficio. La giovane si fermò e, sorridendo, disse all’accompagnatore: “Oh, guarda, hanno la foto di papà!”
Era la principessa Mafalda di Savoia, Langravia titolare d'Assia-Kassel per matrimonio con il principe Filippo. La dolce principessa, prima di essere internata dai nazisti nel campo di Buchenwald dove morì nel 1944, si fermò ancora una volta al casello a salutare mia madre”.