Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
E’ il 21 febbraio 2001. Novi Ligure, un paese in provincia di Alessandria, diventa protagonista di un gravissimo fatto di cronaca, un delitto atroce ed inspiegabile commesso da due ragazzi ancora minorenni, Erika De Nardo e Mauro (“Omar”) Favaro.
Alle ore 21.07 di quella sera Erika, sedici ani, esce in pigiama dalla villetta in cui abita, sconvolta e con gli indumenti sporchi di sangue. Dopo aver fermato una macchina che passa di lì per caso, racconta alle due donne a bordo che ha lasciato in casa sua madre riversa a terra senza vita, aggredita da un uomo che lei stessa ha visto fuggire via.
Più tardi, interrogata dai Carabinieri, la ragazzina specifica che l’uomo che ha visto scappare via è un extracomunitario. La sua versione dei fatti sembra convincente, tanto che a Novi Ligure si comincia a cercare l’assassino “albanese”. L’uomo accusato da Erika, chiamato Arber, si difende con un alibi di ferro.
Dopo qualche ora la versione dei fatti fornita da Erika crolla miseramente: nessun vicino di casa ha visto estranei in zona, né vi è alcuna traccia della fuga dell’uomo. Le armi utilizzate per uccidere poi, appartengono alla famiglia (si tratta di due coltelli da cucina). Anche il comportamento della ragazza è piuttosto strano, perché appare troppo controllata nei gesti e nelle parole, mentre il padre e la zia sono a dir poco sconvolti da quanto è accaduto.
Le vittime dell’efferato delitto compiuto da Erika ed il “fidanzatino” Omar sono due: Susy Cassini, 45 anni (madre di Erika) e Gianluca De Nardo, 12 anni (fratello di Erika). Secondo la ricostruzione dell’episodio, il povero Gianluca sarebbe stato eliminato in quanto “testimone scomodo”, per aver assistito alla brutale uccisione della mamma ad opera dei due diabolici ragazzi. Erika ed Omar hanno intenzione di uccidere anche il padre della ragazzina, l’ingegner Francesco De Nardo, ma poi desistono dal farlo.
Le due povere vittime vengono uccise con un coltello: per la precisione vengono sferrati 40 colpi alla donna e 54 al ragazzino. In commissariato i due ragazzini si accusano a vicenda, ma dalla dinamica dell’episodio si evince che entrambi hanno partecipato attivamente al delitto, causando la morte violenta delle due vittime.
A voler essere precisi, però, secondo i giudici l’idea di uccidere i familiari è partita da Erika, mentre Omar esegue senza battere ciglio la volontà della sua fidanzata. I due hanno premeditato il delitto in maniera assolutamente lucida, si tratta di un progetto elaborato nei minimi particolari. Nessuno dei due assassini è quindi incapace di intendere e di volere al momento di commettere gli efferati delitti.
Durante la ricostruzione dei fatti ad opera degli inquirenti e dei RIS dei Carabinieri emerge chiaramente che, mentre Omar tende a raccontare l’episodio suffragandolo con elementi oggettivi (e quindi riscontrabili, come per esempio il morso ricevuto da Gianluca mentre tenta disperatamente di difendersi dalla furia omicida), i racconti della ragazza sono pieni di particolari assolutamente falsi (per esempio, lei dichiara insistentemente che è stato solo Omar ad agire concretamente).
Il movente degli omicidi sono inconsistenti. Pare che la mamma di Erika fosse scontenta del rendimento scolastico della figlia e che non approvasse la sua relazione con Omar.
Il 23 febbraio 2001 i due ragazzi vengono rinchiusi nel carcere minorile di Torino, “Ferrante Aporti”. In seguito Erika viene trasferita al carcere minorile “Cesare Beccaria” di Milano.ù
Il Tribunale dei Minorenni di Torino condanna rispettivamente Erika ed Omar a 16 e 14 anni di reclusione, con la sentenza del 14 dicembre 2001. La Corte di Appello di Torino nel 2002 e la Corte di Cassazione nel 2003 hanno confermato le precedenti condanne. Omar Favaro esce dal carcere il 3 Marzo 2010, grazie all’indulto e agli sconti di pena per buona condotta.
L’anno dopo (il 5 dicembre 2011) viene rimessa in libertà anche Erika, che, conseguita la laurea nel 2009, dichiara di volersi fare una famiglia e ricostruirsi una nuova vita. Dal mese di Settembre 2012 la ragazza vive in una casa a Lovato e spera di raggiungere il Mgadascar per svolgere qui la professione di insegnante.
Il delitto di Novi Ligure ha sconvolto l’opinione pubblica, creando sconcerto ed inquietudine per l’atrocità con cui è stato compiuto e per le persone coinvolte. Il signor De Nardo ha perdonato sua figlia Erika, ma nessuno gli restituirà la moglie ed il figlio Gianluca.
Un articolo e alcuni commenti dei lettori
Erika e Omar sono tornati tra noi, ma dalla “prigione” non usciranno mai
di Francesco Frambati (giornalista free lance di Milano)
Vogliamo parlare di Erika che è tornata libera? Preferiremmo di no, ma la notizia sa di provocazione. E dunque parliamone. Dopo Omar, Erika. A un anno di distanza dalla scarcerazione del complice, anche l’istigatrice torna a casa o dovunque si trovi ora, dato che nella villetta del massacro di Novi Ligure non l’hanno vista e pare non abbiano voglia di vederla. I concittadini. I quali, ci fanno sapere i giornali, hanno accolto la notizia con un misto di ostilità e gelida indifferenza. E come avrebbero dovuto reagire. Accoglierla a braccia aperte a beneficio della tv delle lacrime? Perdonarla a beneficio di qualche prete che comprende tutto, ma non capisce nulla? Trovarle un lavoro a beneficio di qualche organizzazione che campa sul reinserimento di reprobi, afflitti e abbandonati?
Ostilità. Gelida accoglienza. Una volta tanto la società manifesta la sua notoria crudeltà nella direzione giusta. L’opinione pubblica, perlomeno quella locale, non si è fatta infinocchiare dalle solite chiacchiere sul pentimento. Da come i due ex «fidanzatini» parlano e si comportano, da come Omar si è fatto vedere e ascoltare in tv, da come si è fatto e fotografare mentre portava i fiori sulle tombe delle sue vittime, si può tranquillamente concludere che il pentimento è tutta una montatura. Con buona pace di Paolo Crepet, di don Antonio Mazzi e del nipote che gli manda avanti l’impreso di recupero.
Senza resuscitare Cesare Lombroso o qualche criminologo ottocentesco, ci piacerebbe che un medico qualificato suffragasse certi nostri sospetti, ossia che in certi cervelli non albergano le fonti, i regolatori, i chips non saprei come chiamarli, del senso di colpa. Così come non esistono quelli che soffrono di vertigini, quelli che hanno paura o quelli che non riescono a distinguere il rosso dal verde, forse esistono quelli che non sono in grado di cogliere le sfumature tra il bene e il male. Magari sono tanti a essere sprovvisti di questo dono. I più, però, osservano come fanno gli altri e, se non sono spinti da motivazioni impellenti, si adeguano e, sempre imitando gli altri, concordano con la maggioranza: questo è bello, questo fa male, questo proprio non si deve fare.
Dopo una serie di delitti, da Garlasco a Perugia, da Avetrana a Cogne, tanto efferati quanto senza paternità, con i sospettati o i condannati che fanno sfoggio di ammirevole sangue freddo e di una mutria da far rizzare i capelli in testa a Dario Argento, dovremmo arrenderci all’evidenza. I mostri esistono e sono tra noi. E allora abituiamoci ad accoglierli gelidamente e ostilmente. Di modo che la loro pena carceraria possa per loro diventare il rimpianto per il paradiso perduto e la società dove i figli non dovrebbero ammazzare i genitori, e viceversa, si trasformi nella loro vera galera. Il luogo dove scontare la condanna a vita. Che è poi la nostra stessa condanna. Con la differenza che molti di noi sono sopraffatti dal senso del peccato originale, pur non avendo mai torto un’ala a una zanzara tigre.---------
Gravini Franco:
Esistono anche i ‘malati di se stessi’, cioè coloro che si sentono..’perfetti’ Cos’è il male?…l’uccidere o il lasciar morire…? Quanti politici, giornalisti, imprenditori,…..sono occulti e silenziosi omicidi della persona nei suoi diritti e dignità. Chi ha sbagliato..aiutiamolo a ritrovare un ‘senso’ alla vita…., non uccidiamolo noi ora.
Margherita Grigolato:
l’estensore di questo testo deve conoscere bene i ragazzi tornati in libertà per capire senza ombra di dubbio che il pentimento è solo una farsa… io non ne sono certa, il dubbio mi assale perchè non so che percorso di redenzione abbiano svolto in carcere, soprattutto Erika. Posso essere disturbata dal fatto che abbiano già espiato la colpa ma sono sempre convinta che la prigione sia un luogo che deve RIFORMARE le persone che hanno sbagliato, non dove si viene rinchiusi, a volte ingiustamente, e si butta via la chiave…è un punto fondamentale per la nostra società,,, so bene che esistono i mostri e per quelli servirebbero i lavori forzati, non l’inedia totale ma lo sfinimento completo. credo che non siamo di fronte a questo scenario nel caso in discussione..