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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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PIAZZA,
PESCI e PESCATORI

23/3/2015 - 16:56


[...]una narratrice bella e buona, che ad ogni passo trasforma il dato della cronaca, e ci restituisce luoghi e colori e rumori come vive e pulsanti creature corali:
"Già nel ristretto spazio di via delle Colonne giungeva il respiro del grande mercato. Già si veniva avvolti dalla sua voce antica, dagli odori, dai colori. Se l’ombra si addensava umida nei chiassetti laterali, la luce si dilatava nello spazio centrale, vibrava sui rigidi drappeggi delle crociere, animava la varietà delle tinte. I profumi forti e dolci si fondevano in ondate che la folla respirava. Oggetti, figure, forme allineate, mosse, mescolate, stordivano".
Per scrivere un passo come questo bisogna appunto saper scrivere, cioè saper usare –prima della penna- l’amore per la realtà e la fantasia per trasfigurarla. Paola sa fare questo, e frequentemente nello scrupolo della cronaca che ricostruisce con fedeltà la realtà estrema, noi percepiamo viva l’emozione del racconto covato e macerato in una realtà interna, nascosta, lirica e soggettiva, la sua. Per scovare e mettere a nudo il piccolo inganno di questa scrittrice che ha intelligenza e confidenza palese con l’ars dictandi, ma anche occhi, orecchie e naso è necessario abbandonarsi al filo conduttore del libro: è il filo di Arianna che Paola ci mette a disposizione per aggirarsi senza perdersi nel suo labirinto è il filo degli odori, dei profumi, dei sentori acri e improvvisi, indizi saldi di presenze umane, che la fantasia avverte e fissa per sempre nella memoria. Guardate bene: tra i mille personaggi del libro, lavandaie, barrocciai, fabbri, sarte, librai e quant’altro, i veri protagonisti sono i venditori di cose buone e antiche da mangiare e da bere, quelli a cui padri e nonni hanno trasmesso per generazioni l’occhio giusto nell’ acquisto delle merci migliori, la sapienza di manipolarle a puntino, e poi il garbo di venderle agli avventori: quelli che sanno che la tecnica sola non basta, ci vuole in più un pizzico di passione, e come dice Fabrizio de André anche un po’ di vocazione[...]
[...] Mauba, che dopo aver messo a lievitare l’impasto sotto un telo immacolato, "con mano sapiente...ne ricavava dei bastoncini, che allungava in forma cilindrica, facendoli rotolare sotto i palmi di entrambe le mani. Li appiattiva e li allargava rapido, e, infine, con una decisa pressione delle dita, ne saldava le estremità in forma di ciambella. Le tuffava nell’olio, che bolliva in un capace recipiente, dove subito rigonfiavano galleggiando. Mentre si scurivano in un invitante color biscotto, un profumo irresistibile se ne sprigionava";
 al chiosco della Stecca che "nel periodo della caccia.. nei mesi della raccolta dei funghi   esponeva ceste di profumati morecci in mezzo a ciuffi di nepitella intensamente aromatica";
accanto alle venditrici di chiocciole, dove "..c’erano donne che, raccolte erbe profumate dall’orto di casa, le vendevano per poche lire agli angoli del mercato. Avevano mani odorose, profumate di menta, basilico, timo e maggiorana";
al numero 11 di via Cavalca, dove Dario e la moglie Zaira "cuocevano nel forno a legna castagnaccio e cecina .....e tra gli aromi del forno spiccavano le note pronunciate dei deliziosi odori dell’arista di maiale e dei fegatelli";
al panificio del Parenti, dove "..nel periodo pasquale un pungente sentore di anice, mischiato a quello dolciastro del rosolio, annunciava nelle strade vicine che le schiacciate erano pronte";
 vicino alle ampie pile di marmo, costruite dal Serfogli di Porta Nuova, dove "...acciughe spagnole in profondi mastelli, tonno portoghese, aringhe salate e affumicate diffondevano forti e stuzzicanti odori";
fino alla pasticceria Piemonte, dove Andrea Baudino da Cuneo "con nuvole di zucchero e farina, monticelli di albumi, gialle colate di tuorli e bioccoli di burro, componeva soffici pan di Spagna, paste e bigné morbidi di vellutata crema chantilly, di spumoso zabaione, e torte meringate e millefoglie univano la fragranza della pasta friabile alla profumata ricchezza delle farciture e dei fantasiosi decori".
Cosi, tra la cronaca di un tempo inesorabilmente passato e la favola dei suoi ricordi che durano per sempre, nel suo vagabondare nostalgico per vicoli e piazze Paola e anche la piccola Amélie che ricostruisce il suo antico mondo favoloso, dove la vita era difficile ma gli uomini erano buoni, ("anche la piazza aveva un gran cuore: sapeva riconoscere una miseria dignitosa e silente. In tal caso si faceva buonpeso, e si porgeva con discrezione l’incarto, accompagnandolo con un cordiale sorriso che significava : me lo pagherà un’altra volta") o al massimo, quando la fatica e la miseria picchiavano duro, addormentavano in aspre pause di stordimento le sbronze notturne a suon di ponci al circolo della Polveriera; il mondo in cui anche il commerciante teso a far quattrini salutava con rispetto le “cappellone" che in gruppi di cento lasciavano all’alba il convento dirigendosi verso i reparti ospedalieri[...]


Questo uno stralcio della presentazione del libro di Paola Pisani Paganelli “Pisa: La spesa in piazza” edito nel 2004 per Tipografia Vigo Cursi Pisa.
Presentazione superbamente fatta da Lia Marianelli, Preside Liceo Scientifico “Ulisse Dini” Pisa, la scuola dove per trent’anni Paola ha insegnato lettere italiane e latine nel triennio .
E Paola completa l’introduzione con: Salvare un patrimonio di vita, di cultura e di tradizioni è salvare una parte di noi stessi.
Questo è un capitolo che parla di uno di quei “venditori”:


 LA PESCHERIA VETTORI


Da 61 anni, è un miracolo di sopravvivenza in tempi di ipermercati e isole pedonali : la pescheria fu aperta da due indimenticabili personaggi, Gino e Alfio Vettori, padre e figlio, che scelsero lo spazioso fondo a due entrate alla confluenza tra la piazza e via S. Bernardo. In alto, sulle pareti una volta piastrellate in verde acquamarina, oggi come allora, una bionda sirena dipinta con le procaci fattezze dell’attrice Brigitte Bardot continua a sorridere imbronciata nella sua fragile conchiglia tra flutti popolati di pesci. Un tempo, vicino a lei, sospesa in una nicchia d’angolo, una Madonnina di gesso cullava tra le braccia il Bambin Gesù.
Prima della guerra, i due Vettori praticavano la vendita ambulante, spingendosi fino a Lucca sui pedali di una bicicletta, su cui caricavano in precario equilibrio cassette di pesce. Poi, venne una motocicletta con un carretto a rimorchio, e, finalmente, nel 1943, l’approdo nel negozio dove servirono personalmente una fedele clientela fino agli ultimi anni della loro vita (Gino mori nel 1980, Alfio nel 1990). Il primo, gioviale e bonario, dispensava da dietro il bancone veloci ricette culinarie: "Ci metta - suggeriva- du’ pomodorini, du’ capperini, du’ acciughine diliscate, e vedrà come mangia bene!".
Dietro le spesse lenti gli occhi attenti brillavano di paterna simpatia, se ravvisava nella cliente una fresca sposa ancora inesperta di cucina. La sua tenuta da lavoro, (con cui è effigiato nel ritratto che ancora ci sorride) comprendeva uno spesso grembiule di colore scuro. Più introverso, e forse triste, Alfio, ma con il guizzo della battuta, di cui il vernacolo accentuava l’arguzia, e capace di intuire con immediatezza la psicologia del cliente. Alla cassa stava la signora Edilia, moglie di Gino. Per le varie mansioni, tra cui la pulitura del pesce, si avvalevano dell’aiuto di Renato Burchielli, di Franco Pieroni, di Luigi Berretta soprannominato "Grostino", di una svelta collaboratrice, Mariina (diminutivo di Maria?), mentre al lavorante soprannominato "Pedina", forse per la magra sveltezza, toccavano soprattutto le consegne a domicilio. Alfio aveva doti speciali per la presentazione del prodotto. Di ritorno dal mercato di Viareggio, alla volta del quale si era messo alle tre del mattino, sostava nella pineta Salviati . Nell’ombra del sottobosco sceglieva mazzi delle felci più verdi: sopra uno spesso letto di ghiaccio tritato avrebbe disposto i frastagliati tralci ricurvi ad accogliere scenograficamente il pesce ancora palpitante. Il senso artistico era dote peculiare di Gino e di Alfio. Quest’ultimo fu sensibile pittore autodidatta come testimoniano i dipinti sulla pareti del negozio, alcuni dei quali spiritosamente firmati "Alfio Masaccio". Sono di suo pugno la sirena, l’immagine di Gino insieme a "Pedina" (il quale ha in testa l’inseparabile basco sulle ventitré), e alcune tele ispirate al tema dell’acqua: il porto di Viareggio all’imbrunire, uno scorcio dei Lungami mentre il fiume trabocca dalle spallette nell’alluvione del 1966, sagome cupe di bastimenti con le vele al vento tra lame di luci rossastre.
Alle 7 in punto, tutto era pronto per l’apertura. Il pescato povero, come quello "azzurro", era contenuto nelle cassette, mentre l’ obliquo bancone di marmo veniva riservato a quelle più pregiate e di maggiori dimensioni. Nel 1962 si ricorda una pesca eccezionale: un enorme pesce spada occupò l’intera lunghezza del letto del motofurgone, su cui si rese necessario trasportarlo dal molo fino in città. Al n. civico 18/r a nome di Alfio Vettori risulta registrata nel 1961 alla Camera di Commercio una rivendita all’ingrosso di prodotti ittici freschi e congelati. Costituiva una sorta di succursale, frequentata, specialmente il venerdì, giorno di vigilia, da molti pescivendoli ambulanti.  I Vettori vi aggiunsero un piccolo vivaio per le anguille e una attività per la produzione e la conservazione di ghiaccio. Prodotto in forma di grossi blocchi e spessi lastroni, veniva sottoposto  a tritatura, per essere immesso in cassette e smerciato. Una volta, tutta la piazza corse ad assistere ad una gara di anguille organizzata sul selciato dal giovanissimo figlio del proprietario. Esse venivano per le più dai fossi di Coltano. Le procurava un certo Antonio, dette "Zùnnene", pare per la stupefacente velocità con cui insieme alla famiglia —babbo, mamma e sei figlioli- era capace di prosciugare una grossa damigiana di vino alla settimana. Ogni tante si vedeva in bottega, ma solo per fare due chiacchiere, “Bellio"(=ombelico), un tipo strano, che tra il ’50 e il ’60 della piazza era assiduo frequentatore. Lo dicevano ubriacone, mentre in realtà risentiva di traumi bellici. Non sopportava di toccare le viscide anguille dell’impianto. Alcune di esse venivano talvolta esposte nell’acquario del negozio principale, dove scivolavano sinuose nell’ondeggiare delle erbe palustri.
Oggi, è Marco, figlio di Alfio, nipote di Gino, a continuare l’attività della storica pescheria. Lo fa con la passione di famiglia. Con lui, in negozio, la moglie Chicca, che sorride con fattezze simili a quelle di Brigitte Bardot.


Ora parlo io: le mie storie devono per forza di cose essere lunghe, non si può raccontare la guerra dicendo che sono cascate 3500 bombe e finirla lì che ti sei levato il problema perché le bombe = guerra e ne ne hai messe tante.
Ho voluto inserire ”I Vettori” perché ad essi, ed al loro mestiere, è legata una bella parte della mia fanciullezza, cioè il comune pesce ci accumunava!
Ho vissuto tanto tempo in una baracca annessa ad un retone posto sulla riva di San Rossore di fronte a Casa Ciardelli (come si intende ora). Per arrivare alla rete la strada era quella sull’argine sinistro del Serchio, Ugo-  Marmo- Piaggerta e casotto, oppure con la più lunga derivazione da Piaggerta, via strada ghiaiata, fino alla caserma della finanza del Fortino e da lì verso il fiume, esattamente dove ora c’è lo “scivolo” abortito del Parco. Transito libero e nessun intoppo a chi aveva il retone e dai ponti al mare ce ne erano quattro o cinque. Dalla parte opposta off limits, la presidenza accettava, la nobiltà negava!
Al  “porto del Ciardelli” arrivò una mattina un motofurgone che cominciò a strombazzare e un uomo che agitava le braccia in segno di richiamo. Lì il Serchio è nella sua parte più larga e la conversazione difficile, quindi attraverso e vado a sentire. Era il Vettori, pesciaiolo pisano, che propose di acquistare il pesce che potevamo procurare. Lui sarebbe venuto il giovedì successivo, avrebbe suonato, caricato, segnato e pagato la volta successiva che avrebbe detto a quel momento. Niente stadere, niente da pattuire, solo un foglietto e una stretta di mano. Mi lasciò   delle cassette, mi insegnò a posizionare i pesci e.., ciao alla prossima. Così la mattina detta dal Vettori, molto presto, sceglievo  i muggini in  tutte le dimensioni che avrebbero avuti costi diversi, dalle puntarelle ai maschiotti ai freccettoni e ai caparelli. I ragni andavano insieme anche se di misure diverse, le anguille da sé e le acciughine, spannocchietti e soglioline erano il mio fritto misto di retone! Il mare era a due passi.
La conservazione chiederete? Tutto in vivo in grosse gabbie di tavole (i vivai) e in bidoni forellati e tirato fuori al momento.
La nostra era una famiglia numerosa e il venduto era quello che avanzava dalla nostra vita da gatti famelici e dai cambi che venivano fatti con i contadini del Salviati e con il Grandoni di Migliarino che portava  generi alimentari e frutta.
Questo continuò poi dalla parte opposta, quando la Presidenza ci sfrattò da San Rossore  obbligando i Salviati ad accettarci sulla loro sponda, continuarono le mie pesche compatibilmente ovviamente con la scuola che frequentavo (!) e il Serchio e la stagione adatta… non era un mestiere, era un piacere!

 

n.d.a.  per Paola la "piazza" è quella del mercato, per noi era la postazione del retone.

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