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Evento davvero memorabile a san Giuliano Terme il 25 luglio a partire dalle ore 18, all'interno del Fuori Festival di Montepisano Art Festival 2024, manifestazione che coinvolge i Comuni del Lungomonte pisano, da Buti a Vecchiano."L'idea è nata a partire dalla pubblicazione da parte di MdS Editore di uno straordinario volume su Puccini - spiega Sandro Petri, presidente dell'Associazione La Voce del Serchio - scritto  da un importante interprete delle sue opere, Delfo Menicucci, tenore famoso in tutto il mondo, studioso di tecnica vocale e tante altre cose. 

Che c'entra l'elenco del telefono che hai fatto, con .....
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di Matteo Renzi, senatore e presidente di IV
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Da un'intervista a Maria Elena Boschi
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Di Mario Lavia
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di Roberto Sbragia - Consigliere provinciale di Pisa Forza Italia
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Copmune di Vecchiano - comunicato delle opposizioni
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Mauro Pallini-Scuola Etica Leonardo: la cultura della sostenibilità
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Incontrati per caso
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APOCALISSE NOKIA di Antonio Campo
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Di Fabiano Corsini
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Una "Pastasciutta antifascista"
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Pontasserchio, 18 luglio
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Pisa, 19 luglio
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di Alessio Niccolai-Musicista-compositore, autore
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Il mare
con le sue fluttuazioni e il suo andirivieni
è una parvenza della vita
Un'arte fatta di arrivi di partenze
di ritorni di assenze
di presenze
Uno .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
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La ferrovia LUCCA-PISA

15/4/2015 - 14:13

Aperta al pubblico il 15 novembre 1846 con il lodevole scopo di elevare Lucca “ad utili condizioni di civiltà”, la strada ferrata Lucca-Pisa — lunghezza ventuno chilometri — conciliava in una fraterna “stretta di mano” l’antico odio fra due citta per secoli e secoli travagliate in guerricciole ostinate e crudeli, funestate più spesso da tragiche e inumane rappresaglie.
Presente al “magnifico evento” tutta la crema cittadina e le autorità massime della Toscana, la cerimonia dell’inaugurazione aveva dato ali di farfalla alle solite frasi di circostanza, anche se l’apologia di questo nuovo tronco di strada urtava contro le forze di certi zoppi intelletti, abituati ad “andare innanzi col trotto dell’asino”.
Non senza “pro” e “contro” i lavori di “tal opra” si erano conclusi in un arco di tempo ben determinato, con grande soddisfazione di gran parte del popolo, avido di tutti i benefici apportati dal progresso quanto propenso a vantare ogni traguardo raggiunto, sia pure mediante l’ostentazione di una cartolina-ricordo, da inviare alla persona cara con la patetica dicitura: “Saluti a grande velocita da Lucca”.
Essenziale però ai molteplici vantaggi commerciali dei due capoluoghi e soprattutto allo sviluppo dei rapporti con altre citta, la breve linea da Lucca a Pisa sbloccava una penosa situazione di ristagno, che illanguidiva e limitava i disegni del contado lucchese specialmente nella parte detta “di mezzodì”.
In effetti la vicinanza al confine e le continue scaramucce degli avversi avamposti militari, le alterne incursioni dell’una e dell’altra parte – “con fiero guasto di ricolti e bestiami, di abitatori e di case, e spesso anche avanzandosi a metter campo sotto le mura della citta per battervi, con millanteria di quei tempi, moneta e corrervi il palio” — aveva impedito l’espandersi della popolazione in quella parte di Lucca “che guarda alla direzione di Pisa”.
Affrontando quindi la forza di radicate consuetudini e malcelate “ubbie”, la strada ferrata Lucca-Pisa metteva fine alle antiche ostilità guerriere, sfidando con ardimento e determinazione i terni secolari dell’orgoglio e del pregiudizio, almeno nel pensiero più attuale dei bisogni propri e dei bisogni comuni, filtrati al tornaconto della luce viva sorta all’alba di una novella civiltà.
Tutto questo consentiva il realizzarsi di progetti assai più agibili e redditizi, quali l’allacciamento della linea Bagni di S. Giuliano-Pisa, sei chilometri di strada ferrata sufficienti a collegare Lucca alla “Ferrovia Leopolda” - cioè alla linea Firenze-Livorno - in modo da congiungersi “alla dolce catena che unirà fraternamente insieme le citta tutte d’Italia...”.
La felice idea coronava il piano a suo tempo elaborato dalla formazione di una società anonima lucchese, “la quale si concedeva menare un tronco di strada ferrata da Lucca al confine del ducato” purché il Governo Toscano notificasse la concessione di proseguirlo poi fino a Pisa.
Composta di un consiglio dirigente ed amministrativo, detta società stabiliva il capitale sociale in due milioni e mezzo di lire toscane, diviso in 2.500 azioni pagabili per decimi, con l’intervallo di due mesi tra il pagamento di un decimo e l’altro.
Il 10 dicembre 1841 il governo lucchese autorizzava di fatto la società, purché presentasse all’approvazione reale “il piano di arte definitivo”, e il 30 dicembre dello stesso anno otteneva dal granduca Leopoldo facoltà di presentare il piano particolareggiato dell’opera.
Il 9 luglio dell’anno appresso il governo lucchese approvava il progetto della linea “sino al confine”, quindi il 23 maggio del 1844 il consiglio dirigente ed amministrativo pubblicava che, essendo fatta collocazione d’oltre 1.500 azioni, la società, conforme agli statuti fatti, era legalmente e definitivamente costituita.
Il 28 giugno 1844 il granduca Leopoldo approvava infine il tratto di strada dal confine lucchese a Pisa, obbligando la società a compiere i lavori entro l’anno 1846.
In tale occasione nominava commissario regio dei medesimi l’ingegnere Sig. Carlo Reichammer, personaggio di tutto merito in campo imprenditoriale.
Con pronta risposta i due governi non solo esaltavano la benevola “lungimiranza reale” circa la costruzione della strada in discorso, ma agevolavano “tuttoché dall’estero dovea procacciarsi per bisogno dell’opera” con l’esenzione di dazi doganali.
Da parte sua, inoltre, il granduca Leopoldo restituiva generosamente il deposito alla società, facendole regalo di diecimila lire toscane “pei solidi muramenti da eseguirsi sul Serchio, dirimpetto al paese di Ripafratta”.
Il 29 settembre 1846, intanto veniva aperto al traffico dei viaggiatori il tratto Lucca-Bagni di S. Giuliano, 14 chilometri salutati da folle plaudenti e bande civiche.
Tra le varie cose esperite dalla società stessa - ottima la qualità del materiale impiegato, sicure cancellate agli incroci ferroviari, accuratezza massima nel formare gli interri — si rendeva oltremodo encomiabile il fatto che una volta all’anno fosse operata una verifica allo stato della strada ferrata, tenuta peraltro in costante controllo quanto il servizio “diligente e compiuto” nei confronti del pubblico.
A questo scopo si eccedeva nel fabbisogno di materiale con tre macchine locomotive, quattro carrozze di prima classe ciascuna con 24 posti, sei di seconda classe con altrettanti posti, otto waggons da 40 posti di terza classe e 4 carri di mercanzie.
Infine la tabella dei prezzi “si per le merci, si per i passeggeri”, doveva essere sottoposta ogni 5 anni all’ispezione del governo, il quale si riservava di modificarla “quando il medio netto dell’utile oltrepassava il dieci per cento del capitale sborsato”.
Le tariffe per quelle prime quattro corse quotidiane - partenza da Lucca per S. Giuliano alle 7,30 e 10,30 a.m. e alle ore 1,30 e 4,30 p.m. — stabilivano il costo di lire lucchesi 1,15 in prima classe, 1,05 in seconda classe e 0,15 in terza classe.
Nonostante ciò i soliti “bastian contrari” - non tutti di ceto borghese — “sbeceravano” ai quattro venti i loro anatemi all’impresa, accontentandosi di vivere “alla bellemeglio” nel breve spazio del contado: per queste persone “lontane dai tempi” l’apertura della strada ferrata Lucca-Pisa rappresentava soltanto un cedimento insulso dei sentimenti patriarcali.
Pur lamentando la mancanza di borghi e di gente da quella parte di terra ubertosa vista “al di la di S. Concordio”, un modo come l’altro per sottintendere la vicinanza con Pisa, si preferiva la carenza di comunicazioni con il resto della Toscana piuttosto che aprire i fianchi ad “avventure senza senso”, fin troppo deleterie con l’unico sbocco aperto ai soli pedoni “pel giogo di S. Maria”.
A questa “miseria di umori” rispondeva per contro l’entusiasmo dell’élite intellettuale lucchese, che il 10 gennaio 1847 pubblicava “Il Vapore” — editrice proprietaria la tipografia Bacceli e Fontana –“foglio” che aveva sulla testata una vignetta rappresentante appunto il vapore, e per motto i seguenti versi di Giuseppe La Farina:
È  il destriero de’ popoli che vola
A diffonder la luce e la parola...
Altri versi — di Luigi Fornaciari – affiancavano “l’intestatura” del quindicinale “L’Educatore del Popolo, miscellanea scientifica, artistica, morale”, costo dieci lire lucchesi :
Sol tai mirande invenzioni aborre
Chi dispaiati uomini desia
Perché l’amore é inespugnabil torre
facevano a Lucca  “un rumore grandissimo” perché appunto il Fornaciari, un tempo nemico delle strade ferrate, le levava adesso alle stelle, “con la più nobile delle ammende”.
L’apertura della strada ferrata Lucca-Pisa - costo totale tre milioni di lire toscane — riusciva dunque a mettere una pietra tombale sui rancori del passato, facendo risaltare l’opera di Enrico Pohlmeyer, tedesco, capo ingegnere dell’impresa che tracciava la pianta della stazione di Lucca, e del giovane architetto lucchese Vincenzo Pardini, che ebbe la cura di costruire gli alzati. A questi due valenti “operari” - criticati dai tradizionalisti locali per un tipo di architettura di dubbio gusto - si univa l’ingegnere Napoleone Fiorucci di Firenze, “autore di tutti i lavori di Ripafratta”, portati a buon termine nonostante una rotta invernale del fiume Serchio, rovinosa sul “già fatto” in maniera forte, almeno dal punto di vista economico, ma non per questo sufficiente a guastare i disegni del cocciutissimo fiorentino.
L’accorto Fiorucci adempiva infatti al difficile incarico facendo sicure coste, persuaso di vincere la malasorte mirando soprattutto alla solidità e alla robustezza dei muraglioni e della scogliera, tamponando cosi le acque del Serchio con una rabbia tutta lucchese.
Portata a nuovo nel giro di pochi anni, la strada ferrata Lucca-Pisa riusciva quel 15 novembre 1846 a far udire il fischio del vapore, tra gli applausi gioiosi della cittadinanza e parole di riconoscenza, con particolare ”benedizione e gratitudine eterna agli Augusti Munificentissimi Regnanti di Lucca e di Toscana, che all’alta lor protezione, la dubbiosa impresa assicurarono...".
Tanto scriveva un cronista dell’epoca, sottolineando con giubilo il fraterno accostarsi delle due antiche citta rivali.
Tutto questo naturalmente nel momento più vivo dell’evento, mentre il treno lasciava Lucca sbuffando, dirigendosi verso ponente in linea retta e salutando S. Concordio a sinistra e la citta a destra per passare fra S. Donato e S. Anna, incurvandosi poi tra Fagnano e S. Angelo per giungere sopra Montuolo, Ripafratta, Bagni di S. Giuliano e finalmente Pisa.
Un risultato che anche a distanza di tempo appare grandioso sotto tutti gli aspetti e le angolazioni, sia politiche che sociali, dimostrando una volta di più la capacita lucchese verso le cose impegnative e importanti, rispondenti alla operosità industriosa - distinta questa volta dalla proverbiale parsimonia  di questo popolo laborioso e sorprendente.


 

Fonte: Ivano Lombardi In “Rivista di archeologia storia e costume”, anno IX gennaio 1981, Istituto Storico Lucchese
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