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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
Le Parole di Ieri
Da Ciacìa a Ciarelle

11/5/2015 - 18:21


CIACIA (accento sulla “i”)
Lett: nc.
E’ un berretto di feltro tondo, schiacciato, con un pippolino di stoffa al centro.
Oggi se ne vedono raramente ma un tempo era un copricapo molto diffuso nella popolazione maschile.
“Basco” probabilmente è il termine italiano che più lo può rappresentare.
Non sappiamo da dove prenda origine un nome così particolare, senza assonanza con alcun vocabolo italiano indicante un qualunque tipo di copricapo o semplicemente con un termine di significato compiuto. Anche ricerche su vari vocabolari on line, in Internet e su Wikipedia, che è oramai diventata la biblioteca universale, non hanno dato risultati.
Esiste solo come cognome, piuttosto raro, e non sappiamo poi se l’accento è quello giusto.
 
CIAFFATA
Lett: nc.
La ciaffata è uno schiaffo, un ceffone, uno scapaccione.
Forse il nome deriva proprio dall’italiano ceffone, ma a noi piace pensarlo termine onomatopeico, derivante proprio dal suono prodotto dalla mano che colpisce il viso.
Ora ti do’ na ciaffata!” era un’esortazione molto efficace per i bambini non obbedienti.
 
CIANCIUATO
Lett: CIANCICATO.  [Incespicare nel parlare e biascicare. Mangiare lentamente].
Cianciuato in dialetto aveva un significato più ampio e meno definito: stava per sbrindellato, rovinato, sgualcito, malridotto, grinzoso, stropicciato, e anche tutte queste cose insieme.
Riguardo al mangiare cianciuato significava aver ridotto qualcosa in poltiglia dopo averlo masticato a lungo. In un detto popolare ritorna il significato legato al cibo, con la morale che è meglio poco che niente:
Meglio cianciuà che sta’ digiuni”.
 
CIARELLE
Lett: nc.
Si chiamano ciarelle quei sassi rotondi e sottili che si trovano sulle sponde del Serchio e che, lanciate parallelamente all’acqua, fanno numerosi rimbalzi prima di andare lentamente a fondo.
Tirare le ciarelle era un divertimento molto frequente in passato, quando i ragazzi vivevano molto di più lungo le sponde del fiume.


Il fiume in quegli anni era molto presente nella vita degli abitanti dei paesi e rappresentava una ricchezza per tutti i luoghi che attraversava.
Nel fiume si poteva pescare e così integrare con preziose proteine animali la dieta prevalentemente cerealicola delle famiglie, ma il fiume era anche motivo di divertimento, di gioco, di svago ed anche di lavoro. La pesca era un’attività a cui molti si dedicavano ed era fonte di sostentamento e di reddito.


Anche l’escavazione della sabbia (rena) dal letto del fiume era un’attività lavorativa diffusa.
Per questo faticoso lavoro venivano usate delle grosse barche panciute che da un lato venivano bloccate con dei pali (o con i remi) infissi nell’acqua bassa, e dall’altro caricate con la sabbia estratta dal fondale mediante lunghe pale di ferro o di legno, opportunamente forate.
Le pale venivano infisse nel letto sabbioso ed il manico appoggiato al bordo della barca. Tirando con forza all’interno e facendo leva sul bordo per vincere la resistenza, la sabbia veniva estratta dal fondo e depositata nella barca.. La foratura delle pale aveva lo scopo di permettere il deflusso dell’acqua facendo rimanere la sabbia che si accumulava sul fondo e riempiva la barca fino all’orlo.


Quando la barca era piena il renaiolo guadagnava la riva dove la sabbia veniva scaricata, filtrata con dei retini, ed infine caricata su carretti trainati da cavalli per trasportarla nei luoghi di utilizzo.


L’attività estrattiva successivamente acquistò una dimensione industriale con la comparsa di draghe fisse costruite sulla golena (di una restano i ruderi prima del ponte dell’autostrada), e da draghe mobili che si spostavano lungo il corso del fiume. Queste prelevano sabbia e pietrisco dal letto del fiume, scavando purtroppo profonde buche, che poi caricavano su grossi barconi che erano infine trainati da un rimorchiatore ai centri di raccolta, costituiti dalle draghe fisse, dove esistevano le attrezzature necessarie alla sua lavorazione, stoccaggio e trasporto. Il pietrisco veniva qui lavorato sminuzzandolo in varie dimensioni a seconda della necessità e della richiesta.
Era un’attività comunque non priva di pericoli.


Proprio a ridosso dei ponti di Migliarino avvenne, infatti, la morte di due operai per annegamento dovuto all’affondamento del barcone su cui viaggiavano forse a causa della rottura dell’alzaia. L’alzaia era la fune di traino che collegava il barcone, carico di rena, al rimorchiatore che li doveva condurre alla draga.


Le stesse buche nel letto del fiume create dall’escavazione, invisibili dall’esterno, erano fonte di grande pericolo per chi si bagnava nelle sue acque o vi transitava per il guado.


Il guado del fiume era operazione frequente e comune per gli abitanti delle due rive del Serchio poiché permetteva loro di accorciare tantissimo il lungo tragitto necessario per arrivare ai ponti di  Migliarino o di Pontasserchio. Presso Arena (in Fondarena) esisteva un passo che permetteva, tramite un barchetto, di andare da Arena a Vecchiano, nei pressi del Paloma.


Il barchetto era una piattaforma di legno, galleggiante su scafi, con una ringhiera di legno su due lati e collegato con una grossa catena ad una corda di acciaio tesa fra le due rive. La corda d’acciaio serviva per tenere la rotta e il movimento del traghetto avveniva mediante il puntamento manuale di una lunga pertica sul fondo. Il passaggio era naturalmente a pagamento, dieci lire andata e ritorno, compresa la bicicletta. Il barchetto permetteva il passaggio fra le due rive non solo delle persone ma anche delle merci mediante qualche piccolo carretto, le biciclette munite di cassettine contenenti prodotti da vendere a domicilio come prodotti per la pulizia della casa, stoffe, ciottoli, il passaggio del gelataio con il suo carrettino.

 

Merci più voluminose erano trasportate mediante carri trainati da cavalli o buoi che guadavano il fiume nei punti in cui questo era meno profondo. Un altro guado molto frequentato era in località Lamo dove il fiume permetteva appunto il passaggio di carri e barrocci collegando direttamente il paese di Arena Metato con quello di Nodica, sulla riva opposta.


In questo modo si facilitavano i collegamenti di località che, se pur logisticamente molto vicine, erano rese molto lontane dalla presenza del fiume e dai primitivi mezzi di trasporto del tempo.
 
Il passaggio del guado era un’operazione molto delicata ed anche pericolosa. Chi lo affrontava doveva avere una grande esperienza ed una grande prudenza per saper scegliere il giusto percorso di attraversamento. Gli scavi effettuati dalle draghe erano infatti molto insidiosi e molti incidenti, talvolta anche gravi, avvennero proprio a causa della presenza di queste buche, insidiose e talvolta imprevedibili, nel letto del fiume.
 
Sulle golene del fiume poi si facevano gli orti, rigogliosi per la grande disponibilità di acqua, si raccoglievano le canne per le filate e per gli altri usi agricoli. L’acqua del fiume infine, un tempo limpida e pulita, veniva utilizzata anche per uso domestico, specie dalle famiglie abitanti in prossimità delle rive, e serviva per lavare indumenti, persone ed anche per uso potabile.


Le abitazioni non avevano acqua corrente, l’acqua potabile veniva prelevata con un secchio o con altri recipienti alle fontane pubbliche ed utilizzata per bere e cucinare. Alcune  famiglie di contadini, e chiunque avesse le abitazioni  lontano dal centro e dalla la fonte pubblica, era solito riempire con l’acqua potabile dei grandi coppi di terracotta smaltata, chiamate zine.


Per tutti gli altri usi domestici si utilizzava l’acqua del pozzo.
Ogni famiglia aveva un pozzo, aperto, da dove prelevava l’acqua per mezzo di un secchio legato con una fune. Poteva accadere che ogni tanto la fune si rompesse, o la corda sgusciasse di mano e cadesse nel pozzo insieme al secchio. Per recuperare il tutto si utilizzavano i rampini, una specie di piccola ancora fatta con tre pezzi di ferro ricurvi ad uncino. L’attrezzo veniva calato nel pozzo legato ad una corda e struciato sul fondo fino a che non riusciva ad agganciare il secchio caduto. L’acqua del pozzo, anche se non serviva per bere, era utilizzata per tutti gli altri usi domestici compresa l’igiene personale.


Il bagno dei ragazzi avveniva nella pila o in una tinozza, un recipiente di ferro zingato, ovale, con due manici alle estremità, piuttosto grande tanto che un ragazzino ci poteva stare comodamente a sedere. Si metteva l’acqua, prima riscaldata sul fuoco o sulla stufa, e si effettuava il lavaggio di tutto il corpo.
Durante la stagione estiva invece le mamme si munivano di asciugamani, saponette e con i bambini si recavano al fiume. Il posto prescelto era un luogo dove l’acqua era più bassa, più calda e soprattutto lontano dalle famigerate buche della draga, sempre molto temute. I bambini venivano insaponati e lavati nell’acqua limpida del fiume e ne approfittavano anche per  fare giochi acquatici trasformando così un’operazione sempre molto sgradita, in festa e divertimento.

Lungo le rive del fiume si trovavano le ciarelle ed aveva inizio la gara di chi riusciva a tirarle più lontano, o a fare più rimbalzi sull’acqua.

 

Si dice che un maestro in questo tipo di gara fosse Uliano, e che riuscisse addirittura a lanciare una ciarella da ripa a ripa.
Uliano era bravo anche in un altro gioco, quello delle bocce e specialmente in quel particolare tiro che prendeva il nome di "truccata d’arto".


La truccata d’arto è un modo per spiazzare l’avversario tirando la propria boccia in alto con l’obiettivo di farla cadere su quella dell’avversario. E’ un tiro indubbiamente difficile ma permette di colpire una boccia coperta, cioè nascosta dalle altre bocce in campo.


A bocce si giocava nel pallaio del Teatro del Popolo, in quella che oggi è la sala della palestra.
Prima della costruzione del pallaio era il luogo dove veniva fatto il cinema all’aperto nella stagione estiva. La saletta di proiezione del Teatro del Popolo, per chi lo ricorda, aveva una specie di appendice esterna, con una finestrina che dava sul dietro. Qui veniva sistemata, durante la stagione estiva, la macchina del cine che proiettava la pellicola su un grande telo bianco posto alla meglio dalla parte dove ora è la cucina.


Solo in seguito il terreno fu scavato e vi fu realizzato un pallaio.
Era un bel pallaio toscano, con le sponde in dolce pendenza e le fosse (le bue, dette anche tabarnelle) in cima e in fondo. Il fondo era liscio e cosparso di sabbia molto fine che veniva regolarmente innaffiata e lisciata con un rastrello formato da un manico ed un tavola levigata.
Lungo le sponde era stata sistemata una rete metallica a protezione delle panche di legno esterne, dove gli spettatori potevano sedere e vedere comodamente la partita al riparo dalle pesanti bocce che talvolta, nella foga della partita, potevano uscire dalla struttura.
Era un gioco molto bello, tecnico e passionale, talvolta esaltante ed in paese aveva molti appassionati che si sfidavano in lunghe partite sotto gli sguardi di spettatori e tifosi.

Alcune incomprensioni sulla gestione (il pallaio non era gratuito) e la comparsa sempre più frequente e pressante di interessi legati a scommesse sulle partite, ne determinarono nel tempo un progressivo declino fino alla sua definitiva scomparsa e sostituzione con la attuale palestra.
La decisione della cancellazione del pallaio fu molto sofferta da parte dei dirigenti del Circolo.
Ci furono discussioni e valutazioni, molto spesso anche contrastanti, in relazione all’utilità sociale e alla diversa destinazione del locale. Ci furono anche pressioni e lettere di protesta da parte di giocatori e appassionati che spingevano per il mantenimento della struttura. La decisione della trasformazione, pur se molto sofferta, fu alla fine presa e la struttura trasformata in una piccola palestra, con tanto di attrezzature ginniche alle pareti, in uso alla scuola confinante.
In seguito è stata  palestra per l’insegnamento della pallavolo ed infine magazzino.
Recentemente e contemporaneamente al Cinema è stata ristrutturata, fornita di una copertura stabile, di riscaldamento, vi è stata ricavata una cucina attrezzata ed è sede di iniziative gastro-culturali ad uso del Circolo ARCI, di una palestra privata, di iniziative della Ludoteca e di una scuola di danza che vede un numero sempre maggiore di appassionati.
 
Aneddoto
Prima che al Teatro del Popolo a bocce si giocava dal Carbognani, in un pallaio che si trovava esattamente dove ora c’è il Ristorante Jolly. Si racconta che Uliano, straordinario “truccatore d’arto”, una sera in una appassionante partita mettesse tanta forza nel tiro che la boccia, superando il pallaio, sfondasse il gabbione del Carnasciali che era dietro e ne ammazzasse la conigliola!
 

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