Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Intorno alla casa del contadino apparivano, ogni 10-15 giorni, secondo la consistenza numerica della famiglia o dell'impegno della stagione, lunghissime file di panni stesi al sole, appesi a fili di ferro tesi fra il fico e la casa, fra il fienile e il pozzo o fra la stalla delle vacche e lo stollo del pagliaio.
Era la giornata del bucato, quando si lavavano mutandoni di lana e lenzuoli di lino, camicie e fazzoletti, asciugamani e, se c'erano giovani donne in casa, una lunga serie di rettangolini di stoffa ruvida e bianca.
Teli e gambali a capallingù erano tenuti su, lontani dalla polvere e dagli schizzi di mota, da forcelloni di legno e tutta l'aia sembrava una gran fiera del bianco o la tolda di una vecchia nave rimessa a nuovo col gran pavese innalzato in onore della massaia.
Noi bambini si giocava a rimpiattino fra le fila dei teli, correndo a braccia tese, alla cieca, sapendo, ma facendo tinta di non sapere, cosa ci fosse dietro quel muro bianco, godendo dei freschi schiaffi delle maniche di camicia non ancora asciutte, suscitando le ire della massaia che ci urlava di avere le mani sporche e di lasciare segni sulle lenzuola:
"O vituperi, tanto c'è questa scema che lava e poi 'un costa nulla fa 'r buato"
La preparazione della lavatura era più laboriosa del lavaggio stesso ed impegnava anche gli uomini.
Il ranno, quell'acqua grigia e scivolosa, dove andavano a morire affogate e attirate da un odore di nonsoché decine di mosche, vespe e anche qualche lucertolina, era preparato il giorno precedente il bucato.
In un grande recipiente di lamiera zincata, annerito da vecchi fumi, veniva fatta bollire dell'acqua su un grande fuoco di legna alimentato con tutto quello che andava distrutto, ma non gettato.
Era compito nostro cercare canne secche, potatura di frutti, di vite, scorci di paletti, tutto nel fuoco.
"Attenti a non bruciavvi le mani o i pantaloni che è peggio, e non giocate colli stecchi che è perioloso!"
Invece come era ganzo prendere i bastoncini che avevano un'estremità ardente e che, ruotata e mossa velocemente, disegnava nell’aria fantastici cerchi, sempre diverse ondulazioni rosse che combattevano con l'aria mangiandone prima abbastanza per vivere e poi troppa per morire.
In una grande conca di cotto, rialzata da terra con tre o quattro mattoni, con un pezzetto di canna a mo’ di zipolo infilata nel foro laterale sul fondo, con un cencetto come guarnizione e uno arrotolato per chiusura, venivano ammassati i panni da lavare con piccoli pezzetti di sapone di Marsiglia.
Quel foro sarebbe servito a levare il liquido dal recipiente senza togliere quello che c’era dentro, un artifizio incredibilmente semplice e utile tanto da avere fatto coniare, per significare un fatto fatto passare per importante, il detto:
“ ma cosa credi d’avè ‘nventato? ‘r buo alla ‘onca?”
Sulla conca veniva appoggiato un telo (il migliore era quello fatto aprendo una balla vuota di zucchero che però era molto difficile farsi dare dalla bottega), molto lente, che facesse sacco e che andava poi riempito di cenere di legna.
L‘acqua bollente, presa dalla tinozza, veniva versata sulla cenere, lentamente, secchio dopo secchio, e la colatura dal panno era la rannata, un ottimo detersivo ricco di sostanze alcaline, che avrebbe sciolto qualsiasi macchia.
Vennero poi in circolazione dei recipienti stagnati, stretti e alti, con il coperchio forato come un colino e con un imbuto rovesciato messo dal sopra e che sostituirono le conche di cotto, facilmente deteriorabili, pesanti e fragili.
Questi recipienti, una volta riempiti di panni, scaglie di sapone, la solita cenere e messi sul fuoco, facevano tutto loro e furono chiamati massaie, come le donne che li usavano. Così ogni massaia ebbe la sua brava massaia.
Quando l'acqua era ancora calda, scivolosetta e dal profumo strano, allora era il momento, con quella, anche di lavarsi i capelli, anche quelli come il bucato, ogni 10/ 15 giorni.
Nei bucati di fine estate a volte la rannata, quella senza sapone, veniva usata per ammollare le olive colte verdi, per mantenerle poi sotto acqua e sale per tutto l'inverno.
Le olive cosi fatte erano dette indolcite, ma non perché avessero preso, con questa preparazione, un sapore dolce, era solo la loro consistenza che si era fatta più tenera.
Questa era una preparazione veloce per ottenere un ottimo cibo, poco caro, molto calorico e facilmente trasportabile.
Una giornata nei campi con una cipolla, una giumella di olive sotto ranno, una bottiglia di vinello e un cantuccio di pane posato e cosa volevi di più, il desserte?