Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
CIOTTA
Lett: nc.
A Metato CIOLLA, indicava probabilmente una persona, di cui si ignora il luogo ed il tempo, che possedeva un cavallo molto malandato e che soleva curare applicandogli bende, cerotti, stecche, fasce e quant’altro servisse a farlo tirare avanti.
Da questo nasce il detto, ancora oggi utilizzato:
“se’ peggio del cavallo del Ciolla”, per indicare una persona con molte fasciature o con molti malanni.
CIOTTOLO
Lett: CIOTTOLO. [Piccolo sasso tondeggiante. Coccio di cucina (dialettale)].
Con ciottoli si indicava l’insieme delle stoviglie domestiche, quelle più comuni e di minor pregio.
Con ciottolini si indicavano invece quelle miniaturizzate delle bambine, anche se poi il termine si è esteso a tutta la minuteria che i bambini utilizzavano per i loro giochi infantili.
“Prendo i mi’ ciottolini e me ne vado!” era la frase tipica dei bambini in caso di rottura di un’amicizia, di un sodalizio.
La frase è stata poi ripresa anche dagli adulti, in maniera allegorica, per minacciare una rottura completa e definitiva di una qualche forma associativa.
Il poco pregio, lo scarso valore dei ciottoli è all’origine dell’epiteto ciottolo, rivolto a persona di poco valore, di debole costituzione fisica o in precarie condizioni di salute.
CISPIA
Lett: CISPA. [Umore viscoso che cola dagli occhi e si risecca sulle palpebre]
[Cispo dal latino lispus, poscia trasformata in cispus: quella cui si forma nell’occhio e che porta intorno alle palpebre addossate quell’umore giallastro, che dicesi cispa]
In dialetto è diventato cispia, e cispioso è colui che si è appena alzato da letto, ha ancora la faccia ed il comportamento di chi si è appena svegliato.
Cispioso è anche un lievissimo epiteto offensivo rivolto a chi non ha grande voglia di fare, come quando ci si è appena alzati dal letto e si fatica ad iniziare le attività giornaliere.
CIUCCIONE
Lett: nc.
O ciucciotto o succhione è il nome che si attribuisce al bacio dato nel collo, o in altra parte del corpo, con aspirazione intensa e prolungata della pelle tanto da provocare in sede un piccolo eritema. L’eritema è fugace, rimane poco tempo.
Se invece il succhiamento è stato appassionato e sufficientemente intenso si può avere la formazione di un vero e proprio piccolo ematoma che rimane visibile sufficientemente a lungo perché tutti gli amici possano accorgersi dell’atto amoroso. Questo può comportare un discreto imbarazzo del soggetto, maschio o femmina, che cercherà di mascherare il segno con grande esibizione di sciarpe o maglie ad alto collo.
Per tale motivo si considera pratica amorosa più adatta alla stagione invernale.
CIULITO
Lett: nc.
Chi perde tutto al gioco, e per questo non può continuare a giocare, si dice ciulito.
In italiano per avere lo stesso significato bisogna ricorrere alla frase “essere al verde” oppure “rimanere pulito” che ha una certa assonanza, ma certamente non la stessa forza espressiva.
Chi rimaneva ciulito veniva anche beffeggiato con una filastrocca:
“C’era un uomo sottoscala
che cantava alla cìala e faceva… ciucciulì.”
COCCE
Lett: nc.
Le cocce o coccie sono le pine, o pigne, frutto del pino che contengono i pinoli.
All’inizio del ‘900 la raccolta delle pine per la produzione dei pinoli era un attività molto importante per il paese di Migliarino e forniva lavoro e mezzi di sostentamento a molte famiglie.
Le donne erano utilizzate per la raccolta a terra delle pine che venivano messe in grandi ceste e ammassate fino al momento dell’estrazione dei pinoli, i maschi impiegati soprattutto come scuotitori.
Lo scotitore o gancio era una figura particolare di lavoratore che doveva coniugare una grande perizia con una grande forza fisica, essendo il lavoro pericoloso e molto faticoso.
Il suo compito era, infatti, quello di far cadere a terra le pine dagli alberi per poterle raccogliere e lavorare. Per questo doveva arrampicarsi fino alla cima e per mezzo di un attrezzo chiamato gancio (da cui il loro soprannome) o asta, staccarne i frutti e farli cadere a terra.
Il gancio era formato da un lungo bastone, di un legno leggero ma molto resistente, che terminava con una specie di lungo uncino, ricurvo, che serviva per agganciare le pine.
Lo stesso attrezzo era utilizzato anche per salire sull’albero.
Il pino è una pianta che raggiunge facilmente i venticinque metri di altezza e gli scotitori salivano abbracciando il tronco ed aiutandosi con dei rampini attaccati alle scarpe, attrezzi spesso di produzione artigianale. Arrivati ai primi rami si attaccavano con il gancio, ne saggiavano la resistenza, e salivano a forza di braccia. Si spostavano poi fra i vari rami dell’albero fino alla chioma raggiungendo tutti i frutti maturi (maturi erano i frutti di tre anni), battendoli con l’attrezzo per farli cadere a terra. Passavano poi all’albero successivo, spesso senza scendere a terra, agganciandosi con il gancio ai rami dell’altro. Erano persone molto dotate fisicamente, che coniugavano forza fisica con doti di grande agilità per potersi spostare rapidamente sui rami.
Era un lavoro molto pericoloso effettuato a molti metri da terra e senza protezione, da dove una caduta poteva essere anche fatale.
Nella pineta dei duchi Salviati gli scotitori erano in gran parte torredellaghesi, uomini che hanno beneficiato sempre dei frutti, leciti e talvolta illeciti, della pineta loro confinante.
Il più famoso di questi era Leo Genovali detto “Coppino” per la sua somiglianza con il grande campione. Di lui si diceva capace di salire su un pino alle sette del mattino e scendere da un altro cento metri più avanti a mezzogiorno, per il pranzo, avendo camminato di cupola in cupola come un novello Tarzan ed avendo scosso tutte le pine senza mai scendere a terra, con i raccattini che faticavano a stargli dietro con i loro grandi canestri.
A Torre del Lago, ai margini della pineta, subito prima del fosso della Bufalina , c’era un’altra postazione di guardie, come alla Catena, con un analogo casottino (è ancora visibile, lato monte,trasformato in annesso della civile abitazione in cui è inserito). Un tempo non c’era recinzione ed era meglio visibile dalla strada. Accanto vi era anche una pesa : un piano a livello stradale su cui potevano salire barrocci, motocarri o altro per essere pesati in uscita dalla Tenuta carichi di legna, pine o altra merce.
Nella casa accanto abitava la sorella della Rosa Corrieri, garfagnina come il marito che era “guardia del Duca”, così si chiamavano i dipendenti dei Salviati che avevano il compito di vigilare sulla Tenuta. Nello stesso casamento abitava anche Claudio del Fracassi ed in fondo c’era la Tabaccaia: un edificio dove si lavorava il tabacco, coltivazione molto sviluppata in questa zona dove il microclima permetteva una buona risposta vegetativa.
Al casottino ogni mattina si fermavano gli operai in entrata, i lavoranti esterni che dovevano recarsi al lavoro nella Tenuta, ritirando una specie di medaglietta numerata che doveva essere riconsegnata alla sera, a testimonianza della loro effettiva uscita dalla proprietà.
Le pine raccolte venivano poi caricate su autocarri e portate in Mandria dove venivano stese sugli essiccatoi, grandi aree asfaltate contornate da muretti di contenimento, disposte in porche e lasciate seccare al sole fino a che i gusci si fossero aperti. Questo avveniva col sole dei primi mesi dell’estate, quando le pine si aprivano e ne uscivano i pinoli che venivano poi spinati. Venivano cioè immessi in una macchina che divideva il guscio dalle mandorle . Queste finivano in essiccatoi industriali che le disidratavano ed infine, stese sopra grandi tavole, venivano divise e selezionate da una squadra di donne per il confezionamento e la vendita.
La squadra di donne lavorava sotto l’occhio vigile di una “direttrice”, una persona di fiducia del padrone, che organizzava e dirigeva tutto il lavoro. Era un lavoro duro, fatto in condizioni igieniche precarie e senza alcuna valutazione dei danni fisici legati alla lavorazione: le donne spesso tornavano a casa la sera completamente nere dalla polvere, tuttavia era una fonte di reddito troppo importante per le famiglie del tempo. Una direttrice che si racconta fosse molto severa con queste donne era la Creusa dell’Antonelli, arrivata signorina fin dopo i cinquant'anni e maritata, si dice con gran sollievo della famiglia, ad un americano di Nodica, un lavoratore emigrato che aveva fatto fortuna in America.
Le lavoratrici dipendenti durante la stagione estiva venivano mandate a lavorare nei campi, mentre i dipendenti uomini venivano utilizzati per la potatura, la manutenzione dei vari macchinari ed altri lavori in attesa del nuovo raccolto di pinoli.
Le pine venivano raccolte anche in S.Rossore e per questo lavoro molti scuotitori venivano da Pontasserchio. Partivano la mattina presto in bicicletta e passando sull’argine sinistro del fiume arrivavano fino al Marmo, da dove poi entravano nella Tenuta. Venivano pagati in parte in denaro ed in gran parte in natura: la sera, dopo un giorno di duro lavoro, ritornavano a casa ripassando sull’argine, con un fascio di legna ed un sacchetto di pine.
Gli scotitori erano comunque benestanti poiché riuscivano a guadagnare, in un modo o nell’altro, molto di più di un operaio che lavorava in fabbrica.
A Migliarino i pinoli venivano lavorati in quei grandi edifici situati all’inizio del viale dei Pini dopo la chiesa, località che prende appunto il nome “la Pinolaia”. Da molti anni la produzione locale è terminata, il mestiere di scotitore è scomparso e le pine vengono staccate per scuotimento con grandi macchine che agganciano la pianta e la fanno vibrare. Rimangono quei grandi e maestosi edifici a testimonianza di quel periodo di grande attività in cui Migliarino era il centro più importante d’Italia per la raccolta dei pinoli, sia per quantità che per qualità di prodotto, con una produzione annua di oltre duemila quintali.
Altre due coltivazioni, appartenenti al passato, hanno lasciato ancora oggi testimonianze visibili nel nostro paese. La prima è la tabaccaia, un locale che era destinato alla lavorazione del tabacco che veniva coltivato intensamente nelle nostre campagne. Il particolare clima di queste zone ne permetteva una buona crescita tanto che la sua coltivazione è durata fino alla fine degli anni cinquanta. Le grandi foglie verdi venivano raccolte, legate a mazzetti e appese a testa in giù per farle seccare fino a trasformarsi nel profumato tabacco.
Un’altra testimonianza di un’antica lavorazione, oramai scomparsa, è fornita da quei rari tronchi di alberi, malconci e con pochi rami e foglie, che si trovano in testa a molti campi specie nella zona delle Pratavecchie. Quei tronchi oramai malandati erano una volta dei magnifici gelsi piantati proprio con lo scopo di nutrite i bachi da seta.
L’allevamento del baco da seta era molto diffuso e praticato in tutta la zona da molte fattorie.
I bachi venivano sistemati su dei graticci a strati sovrapposti montati su pali di legno e nutriti con le foglie di gelso. Quando i bachi erano arrivati al giusto sviluppo venivano utilizzate le frasche, i rami di gelso tagliati alla pianta, su cui i bachi formavano i loro bozzoli che venivano poi raccolti e venduti per ricavarne la seta.