Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
A San Ranieri, del quale non occorre stare a raccontare la storia, non è dedicata nessuna chiesa nella Sua città.
Quella in Pisa, dove è stato battezzato e che dovrebbe a rigor di logica prenderne il nome, si chiama di San Vito e quella antica di Migliarino che era un tempo detta "Oratorio di San Ranieri", ora è detta di San Vincenzo, ma che oggi festeggia il suo vero Santo!
Povero nostro gran Santo, hai perso gli alberi che ti facevano fresco da più di un secolo, hai perso il nome da dare ai figli dei tuoi parrocchiani (ora glieli danno stranieri!), hai perso il famoso dito che per averlo a reliquia ti fecero far la parte del ladruncolo, ma non hai perso l'amore che i tuoi concittadini ti portano ogni giorno e che te lo dimostrano con uno dei più belli spettacoli che una città possa offrire e con un misto di religiosità e paganesimo che non ti disturberanno affatto.
Deh, proprio te!!
Numerosi sono gli scritti sulla vita di San Ranieri come numerose sono le poesie che lo spirito scanzonato pisano ha trasposto nel vernacolo.
Le più famose, non per il tono e l’arguzia, ma per la firma dell’autore, sono quelle di Neri Tanfucio, pseudonimo ed anagramma di Renato Fucini.
Ecco la sua:
SAN RANIERI MIRAOLOSO
Levato quer vizziaccio di rubbare,
San Ranieri è un gran santo di ‘vé boni.
Quando dianzi l’ho visto ‘n sull’artare,
Lo ‘redi? M’è venuto e’ luccìoni.
Delle grazie ne fa, lassàmo andare,
Gualda ‘n pò ‘vanti ‘ori ciondoloni
ha ‘n della nicchia! E sai, nun dubitare,
Se gleli dànno c’è le su’ ragioni.
Più della piena d’anno? Che spavento!
Che spicinìo, Madonna! T’arrammenti?
Pareva d’andà sotto unni momento.
Ma San Ranieri ‘un fece ‘omprimenti;
Agguantò per er petto ‘r Sagramento,
E li disse: O la smetti o sputi i denti.
e
La luminara
Viaggi 'n dell' 'Uropa 'un n' ho ma' fatti:
Prima pelchè a quaini sèmo bassi,
E po' pelch' e' Pisani 'un c' enn' adatti
Per anda' per er mondo a strapazzassi.
Ma un mi' amio di Lucca che fa' gatti
(Li fa cor gesso, creda, da sbagliassi),
Lui, vorsi di', ch' è stato fra' Mulatti,
Che ha visitato anch' e' Paesi Bassi,
M' ha detto che neppure 'n der Peino
Luminare di Pisa 'un se ne vede:
Nun n' hann' idea laggiù der lampanino.
Chi nun l' ha vista, 'reda, 'un lo por crede';
Eppoi, 'ni basti di' che ar mi' 'ugino,
Dalla gran carca 'ni stroppionn' un piede.
Il Fucini scrisse questi sonetti (Cento sonetti in vernacolo pisano) nel 1872 e, dopo esattamente 80 anni, un altro grande vernacolista pisano, Domenico Sartori, nel suo impareggiabile “Nèri Scacceri, La ‘onquista delle Baleari” ripropone la storia della piena dell’Arno del “settanta”, dice, in un modo più che simpatico e perfetto nel presentare l’iroso nostro Santo che va a litigare col Principale, che chiama “Casigliano”, affinché faccia calare l’acqua.
Interessante è la similitudine del nome che si era scelto Fucini senza pensare al Santo, e quello che Sartori invece gli aveva dato confidenzialmente.
In un manifesto, affisso nella Diocesi nel 1888, Ranieri era chiamato “dell’acqua”, e non si può non pensare ad una delle tante leggende che accompagnano la figura di Ranieri e vivono ancora nell'immaginario collettivo della città.
Da tempo immemore i pisani si tramandano la tradizione riguardante la burrasca di san Ranieri, secondo la quale ogni anno, nonostante il clima estivo, il santo metterebbe alla prova i propri concittadini scatenando la pioggia sulle loro teste, ma ecco l’inizio del poemetto del Sartori:
Quando viense la piena, ner settanta,
che l’Arno stralipò dalla “Fortezza”,
Nerino, ‘he dormiva della grossa
Dio lo sa da quant’anni drento ‘ Dòmo,
ner sentissi bagnà’ l’ugne de’ piedi,
s’arzò di stianto, messe fòri un dito
e, detto fatto, t’agguantò una cèa!
“Questa --disse-- ‘un c’è grinze: gliè acqua d’Arno!”
Allora fu che a forza di ‘azzotti,
senza punta paura di sbucciassi,
--tanto gliera tutt’ossi e ciccia punta--
rompiede tutt’i vetri alla vetrina,
s’infilò le babbucce di broccato,
si messe ‘r berrettone, agguantò ‘r ticcio
--che sarebbe, ‘om’ésse’, ‘r pastorale--
e, colli stinchi secchi drent’alla’acqua,
t’indiede a picchià’ all’uscio ar Casigliano.
“Tun, tun” – “Chi è?” – “Son io, sono Nerino…
Nerino, per capissi, lo Scaccieri!”.
“Cosa volevi?” -- ..”’n terra, c’è bagnato!...
‘un so se se n’è accorto, Principale,
che, se sto ‘n artro po’’ co’ piedi a molle,
va a finì’ che ci piglio la freddura.
Poi continua la litigata con il Padreterno finché non vede che l’acqua sta calando e
"...una ceina bianca e piccinina scodinzolava a secco, disperata… Neri si vòrtò ‘n su… poi chinò ‘r capo si messe ginocchioni e disse: “Grazie!”. Arraccatò la cea… piano, pianino aprì l’uscio di bronzo, e fu ‘n sur prato… di lì ‘mboccò per Via Santamaria e rivò ‘n su’ lungarni alla spalletta… Ora ‘un pioveva più… c’era le stelle, l’Arno gliera tornato ‘ome prima e, ner grande silenzio, l’acqua ‘hiara pareva schiccolà’ le litanie… Allora ‘r Santo prese la ceina, e, deliatamente, allungò ‘r braccio, aprì le dita secche e disse: “Vai… anco te siei figliola der Signore!” dette un’occhiata ‘ntorno a’ su’ Lungarni… la Cittadella bianca dalla luna… Tirò ‘n gran sospirone e tornò ‘ndreto…
Quando fu ritornato drento ‘r Domo e si messe a giacé’ nella verina, ni parve di sentì’, dar campanile, un gran sòno a distesa di ‘ampane… Sonavano da sé… ma con un sòno che pareva vienì’ dar Paradiso!..."
Neri, me le ero scordate, hai perso anco le cee!