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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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Dalle STELLE alle STALLE

21/6/2015 - 15:17


Il   giorno della Festa di Vecchiano, nell’esperienza traumatica sul palco dell’Olimpia dove fui “costretto” a parlare dei miei scritti, diedi la notizia di un mio lavoro che riguardava il vernacolo e certi sonetti   sugli animali nascosti fra i versi con riferimenti storici, fiabeschi, mitologici, cinematografici o per comportamenti antropomorfi.
Fa caldo, sono stressato e allora non faccio altro che riportare in questa sezione, o non c’è scritto “storie”?, uno di questi sonetti con una libera traduzione in lingua e una vera nota “storica”, in questo caso un po’ lunga ma necessaria.
 
Dalle stelle …alle stalle!
 
T’ariòrdi ‘ver nostro biscugino
che tti stragiava giovani e donzelle,
fregato poi da ‘n filo di ‘ordino
come dïano tutte le novelle?
 
E ll’artro, sempre fiss’ar seggiolino,
che ni rompevin ‘velli a sstrisc’e stelle,
miss’a pposto ‘ver brodo di biondino
manca pòo ci lasci’anco la pelle?
 
Ora s’en persi ll’avi co’ ‘oglioni.
E c’è rimasto ‘r nome da puttane,
con puppe tutto ‘r giorno penduloni.
 
Ma ‘ver che ppiù cci brucia, mondo ‘ane,
‘un è passà’ lla vita a bbuo punzoni,
ma ppiù d’un esse’ di metìdio sane!
 
Meditazioni
In un bel prato verde di trifoglio, al confine del comune di Vecchiano con quello di Massarosa, nell’azienda agricola dello Studiati, due mucche di razza pezzata nera olandese, dette anche frisone, pascolano, ruminano, sbavano, meditano sulle ultime notizie e ricordano i gloriosi tempi passati.
Nei loro ritenuti “piccoli” cervelli si affollano ricordi di cavalcate in immensi branchi fra le colline del Nord Europa, della loro discendenza dal leggendario Uro, della loro parentela (nostro biscugino) con il sanguinario mitico Minotauro che ebbe però la malasorte di essere ucciso da un tale che subdolamente aggeggiò qualcosa con un filo (‘ordìno): la cosa non è mai stata tanto chiara, bisognerebbe indagare a fondo!
E quei discorsi venuti fuori dall’incontro con le colleghe americane quando ci fu il gemellaggio, quella volta ad Alberese, proprio quella volta che l’Italia batté l’America 3 a 0 nella partita “Butteri-Caoboi”?
“Ti ricordi, dice la prima mucca che aveva smesso di ruminare perché un aeromodello di quelli che fanno le evoluzioni vicino a Menotti era cascato sul ciglio della fossa, ti ricordi delle storie che ci raccontavano le cao a proposito di quello detto “Toro seduto” (sempre fiss’ar seggiolino)? Ti ricordi che dicevano che ce l’aveva con i prepotenti soldati americani, là nelle immense praterie dove viveva libero con la sua gente, e che tonfò bene bene un generaletto galletto e biondino?”
“Come si chiamava ’ver brodo? Castere? Ni fecero ma ‘r cristere, artr’e Castere! “
La seconda mucca, quella che aveva smesso dopo di ruminare perché un rogiolo le aveva soffiato minaccioso a un centimetro dalla lingua, ribadisce sconsolata con un pensiero che la turba tanto da non farle fare più latte.
“Hai ragione Morina. Ora non solo non abbiamo più parenti potenti, leaders carismatici, ma non sappiamo neanche più a chi chiedere aiuto, non possiamo neanche più andar fiere del nostro nome che viene sempre più spesso abbinato, e fatto sinonimo, alle prostitute.
Quelle giovanine “vacche” che girano per le nostre strade lungomonte però a puppine stanno bene!
Noi invece: fare latte, fare latte, sempre più latte, a costo di farci venire le mammelle da struciare per terra.
La nostra indole è docile, remissiva, dolce, buona (a bbuo punzoni) a tal punto da perdonare tutto e tutti, ma c’è una cosa che non ce la facciamo più a sopportare.
Sarà l’ora di farla finita di chiamarci e farci passare, oltre che per puttane, anche per Pazze (‘un esse’ di metidio sane)?”
 
Fra curiosità e natura


Febo guidava il carro del Sole da Oriente a Occidente, tutti i giorni, per l’eternità.
Fetonte, suo figlio, per una volta e dopo ripetute insistenze, ottenne il permesso di guidare i cavalli di fuoco nell’arco del cielo ma, data la formidabile potenza della quadriga, non riuscì a mantenere il tragitto paterno tanto da originare i deserti, i luoghi bruciati dal carro del Sole avvicinatosi troppo alla terra. Zeus, preoccupato per la sorte del mondo, lanciò una saetta su Fetonte facendolo precipitare in un fiume chiamato Eridano, il nostro Po.
Le sorelle del disgraziato giovane si portarono sulle rive del fiume e cominciarono a piangere in modo così commovente che furono tramutate in pioppi che da quel giorno sono presenti nei luoghi umidi stormendo melanconicamente. Prima di cadere in acqua ed affogare, Fetonte però aveva colpito uccidendolo un grande toro che stava pascolando sulla riva. Dal sangue uscito dal corpo di quella bestia era nato un fiero popolo, i Taurinesi, che fondarono la citta di Torino.
A volte Zeus usava il toro i suoi soliti giochetti amorosi. Europa era una giovane bellissima e il reggitore del mondo si trasformò in un torello bianco e dolce che suscitò curiosità, tenerezza e affetto nella fanciulla tanto da spingerla a cavalcarlo. Zeus-Toro si lanciò in mare e nuotando raggiunse Creta dove Europa generò tre figli.
Il destino volle che uno di questi, Minosse, fosse anch’esso legato al toro come mai nessun altro greco. Minosse era re di Creta e aveva giurato di sacrificare a Poseidone qualunque cosa uscisse dal mare. Il dio volle metterlo alla prova e inviò sull’isola un toro di straordinaria bellezza che il re si guardò bene da uccidere, immolando un altro animale al suo posto. Poseidone, indispettito per l’oltraggio, fece infuriare la bestia tanto che l’eroe Ercole dovette intervenire per catturarla e portarla a Maratona.
Durante le sue scorribande nell’isola di Creta, il bel toro era stato notato dalla moglie di Minosse, la regina Pasifae, che arrivò ad amarlo a tal punto da incaricare Dedalo di costruirle una vacca artificiale dove lei si potesse nascondere per stimolare l’animale all’accoppiamento.
Dalla strana unione nacque quel leggendario Minotauro che viveva nel Labirinto costruito da Dedalo e che si cibava di carne umana e che fu ucciso da Teseo aiutato da Arianna e dal gomitolo di filo magico, anche questo opera del mirabile eclettico ingegnere.
Anche la vacca fu animale prescelto da Zeus.
Il dio aveva un’amante di nome Io, figlia di Inaco e sacerdotessa di Era. Zeus fu costretto a mutare la ragazza in una vacca bianca quando la moglie scoprì l’adulterio, e fu costretto anche a farne regalo alla gelosa Era quando questa ne fece richiesta. La dea diede in custodia la Vacca–Io ad Argo dai cento occhi e, alla morte di costui per opera di Ermes, sicario di Zeus, la giovane dopo un lunghissimo peregrinare poté riprendere le primitive spoglie generando un figlio divino: Apis.
Ora la storia greca si intreccia con quella egiziana perché Apis era un dio adorato a Menfi nella viva figura di un toro che doveva avere un triangolo bianco sulla fronte, una macchia bianca a forma di luna sul fianco e un’altra simile ad un’aquila sul collo. In Egitto Io fu chiamata Iside, dea della Luna, e venne venerata nei suoi tre colori: bianco per il primo quarto, violetto per la luna piena e nero per quella calante, come il colore dell’abbronzatura che la greca Vacca-Io aveva preso nel suo girovagare.
I sacrifici di tori, o vacche, erano frequenti in Grecia e nel mondo romano e specialmente ben accetti agli dei erano quelli dove si immolavano cento animali. Ecaton in greco significa cento ed “ecatombe” era il sacrificio con l’uccisione di una tale quantità di bovini; parola che è rimasta fino ai nostri giorni per significare un gran numero di vittime.
Gloriosa storia quella dei mitici tori e vacche, ma come non ricordare uno dei compagni della Sacra Famiglia nella stalla dove venne al mondo il Salvatore?
Quale significato poteva avere per le Sacre scritture il bue?
Alcuni dicono che il bue è il simbolo di colui che conosce il proprietario della stalla e l’asino colui che ne conosce la greppia.
Ed ora, sulla scia delle tonnellate di carta stampata sulle peripezie delle moderne vacche, tori, torelli e mucche, forse inopportunamente ma in tema con chi crede ancora nel “sacro buon bovino”, chiudo con le parole che il compianto Bonelli faceva dire al massimo eroe dei suoi mondiali fumetti:
“Oste! Una birra gelata e una bistecca alta tre dita con una montagna di patatine fritte !”
A proposito di Tex Willer: lui era americano, anche se nato in Italia da penna italiana, quindi sapeva benissimo che “bistecca” era la traduzione fonetica di “beef steack” ovvero “cotoletta di bue”.
Cosa vanno a cercare i livornesi quando dicono e pretendono di aver inventato loro la bistecca al porto quando gli inglesi (che parlano americano) la mangiavano così cotta bene (dicono sempre i livornesi) servita infilzata a spiedi di legno a tal punto che urlavano (gli inglesi) :
”Bis steck” per dire che ne volevano un’altra?
Oh tris..cheri!
(che sarebbe com’a ddi’ di più di bis..cheri)

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