Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
La scorsa settimana avevamo scritto un pezzo che poi non è stato pubblicato, perché con gran piacere, la Voce ha ospitato Francuccio Gesualdi. Il pezzo giocava sulle parole, ma partiva da un senso di spaesamento che appunto deriva dalle parole usate in questi ultimi tempi.
Parole e linguaggio sono in qualche modo la forma del pensiero. È un po’ la storia dell’uovo e della gallina, perché per certi versi siamo convinte che le parole e il linguaggio usato influenzino il pensiero e possono disegnare delle gabbie che tengono l’uomo prigioniero, non permettendo di superarne i confini. Il ragionamento era partito come un gioco di parole, perché anagrammando, sciarando e parodiando le parole diventano generative, aprono infinite possibilità.
La parola era lega e alcune particelle linguistiche li, mi, tà.
Il primo termine Lega, richiama subito un partito politico, lega-li, può avere un doppio significato basta spostare un accento e hai una declinazione del verbo legare o un aggettivo, lo stesso si può dire per legàmi e l’ultimo termine è legalità.
Un mondo possibile disegnato da queste parole richiama subito per intuizione salvi(ni)fica, rom e immigrati, dai quali, sembra, dipendano la crisi economica del nostro paese, il malaffare, la corruzione, l’evasione fiscale, lo smaltimento illecito di rifiuti, il consumo di territorio ed ogni altra piaga sociale che interessi il nostro paese.
Quindi “legarli”, là in un angolo potrebbe essere una soluzione insieme a quella di radere al suolo i campi rom e a quelle suggerite da altri slogan. Mentre è notizia di questi giorni su MafiaCapitale, che “si guadagna di più con gli immigrati che col traffico di droga” e ancora che “…Noi quest’anno abbiamo chiuso... con quaranta milioni di fatturato ma tutti i soldi… gli utili li abbiamo fatti sugli zingari, sull’emergenza alloggiativa e sugli immigrati, tutti gli altri settori finiscono a zero…”
Un altro mondo è quello disegnato dalle sentinelle in piedi o dalle manifestazioni come il family day. Mentre, la notizia di questi giorni è che il mondo festeggia la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti, che ha stabilito che il matrimonio è un diritto garantito dalla Costituzione anche alle coppie omosessuali.
Una decisione che riguarda i legami tra le persone, e la loro legalità riconosciuta …passi avanti fatti col pensiero (ma aiutato dalle parole) di uomini e donne, non con le ruspe.
Ma torniamo al senso di spaesamento, e il termine è troppo lieve, diciamo che siamo preoccupate dalla ferocia delle parole, dalla violenza nella comunicazione, dalla spregiudicatezza con cui si usano termini grevi e gravi, che fino a qualche anno fa nessuno si sarebbe sognato neanche di sussurrare…non ne stiamo facendo una questione estetica, per quanto non sia irrilevante, ma una questione etica e perciò politica. Questa liberalizzazione selvaggia e arrogante e aggressiva delle parole e del linguaggio diventa dilagante e moltiplicatrice, diventa impulso per un arroganza interpersonale giocata a qualsiasi livello, diventa spinta all’azione, si finge come indicativa di passionalità e di rivendicazione sociale, di giustizia, ma invece non è così, si tratta di un bluff ben architettato.
Davvero possiamo ridurre tutto ad un vaffan…, ad invocare ruspe e a lanciare monetine? Davvero siamo un Paese senza memoria, che non riesce a tenere i legami col proprio passato o con la storia di certi personaggi? Davvero abbiamo sdoganato anche l’anima delle persone? E saccheggiando una scena di un film di Pasolini ci chiediamo: se dio non risponde, se il cielo sopra le nostre teste è vuoto, se l’ideale è aria fritta, se le parole non contano più nulla, se la verità non esiste, che cosa resta?
Ma non è finita, in questo ragionamento che stavamo facendo, ci si è “intromesso” un articolo di Umberto Eco secondo cui dietro una tastiera o uno smartphone, la comunità dei crudeli avvampa di rabbia, la rete “dà voce a legioni di imbecilli”.
Poi si è intromessa un’inchiesta del Tirreno sulla crudeltà espressa sui social, sui commenti atroci, spesso giocati sul filo della legalità, che vengono definiti più che termometro dell’intolleranza, uno stetoscopio della disumanità. Il male diventa banale, come non preoccuparsi?
Ma l’intromissione che riteniamo più significativa, ci perdonerà Umberto Eco, è quella espressa da un gruppo di ferrovieri, Ferrovieri Per, e ne riportiamo interamente le parole che in poche ore si sono trasformate in un manifesto. http://buonacausa.org/cause/ferroviericontroilrazzismo)
“Gli episodi di aggressione al personale avvenuti negli ultimi mesi hanno scatenato un fuoco di commenti e di prese di posizioni da parte di viaggiatori e anche da parte di alcuni nostri colleghi a dir poco non condivisibili.
La xenofobia è da sempre presente nella società. La paura del diverso è talmente connaturata all’animo umano da essere impossibile da estirpare, ma se fino ad ieri essa veniva tenuta sotto controllo dalla morale e dal raziocinio, adesso sembra essere ormai fuori controllo. Complice probabilmente l’informazione semplicistica e superficiale fatta sui social, alla paura oggi tendiamo a rispondere “di pancia”, istintivamente ed ecco quindi che gli stranieri in generale vengono tacciati come i responsabili di tutti i mali.In rete ormai è un rincorrersi di “ruspe”, “forni”, “a casa” e quant’altro.
Sì, perché se fino ad ieri i razzisti si sussurravano i loro commenti di odio e violenza per la paura di essere ostracizzati dal resto della società, adesso si sentono in diritto di gridare e addirittura scrivere le loro oscenità nella convinzione che la paura li protegga dal giudizio morale, illudendosi che le loro idee possano assurgere a dignità e, spiace dirlo, trovando consensi nel malcontento generale.
Ebbene NOI NON CI STIAMO.
Siamo convinti che queste posizioni debbano tornare ad essere minoranza di una società più evoluta.
Lo diciamo come ferrovieri, come lavoratori, ma soprattutto come essere umani.
La richiesta di legalità e di sicurezza, di cui siamo i primi portavoce, per essere credibile deve essere scevra da qualsiasi riferimento razzista o facile generalizzazione.
Vi invitiamo quindi ad aderire al documento dei Ferrovieri contro il razzismo sottoscrivendo questa raccolta firme (…) Più saremo ad aderire all’iniziativa e più forte sarà la nostra presa di posizione.
Per un luogo di lavoro più sicuro, sì, ma anche per un mondo più giusto in cui non siano sempre i più deboli a dover pagare.”
L’ultima “intromissione” è il ventennale della morte di Alexander Langer, che nel ’94 nel “Tentativo di decalogo per la convivenza interetnica”, sottolineava “l’importanza di mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera” che nelle nostre società “deve essere possibile una realtà aperta a più comunità, non esclusiva, nella quale si riconosceranno soprattutto i figli di immigrati, i figli di famiglie miste, le persone di formazione più pluralista e cosmopolita”. (…) “In simili società è molto importante che qualcuno si dedichi all’esplorazione e al superamento dei confini, attività che magari in situazioni di conflitto somiglierà al contrabbando, ma è decisiva per ammorbidire le rigidità, relativizzare le frontiere, favorire l’integrazione”.
Le parole aprono mondi e possono orientare e indicare il modo di vivere.