Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Letìgio ‘n casa Canna
“O babbino la mi’ pancia e fa gruggrù,
mammina e ‘un ci vedo dalla fame,
ma cos’è, ‘un mi volete forse più?
La ‘asa par sia ‘vella der votàme!”
“O Iola, ma-ma luilì, sïura
che sia pro-propio der casato Canna?
A mme mi sembr’un corno ad-dirittura!
Mangia ta-tanto che ddai dai ci scanna!”
“O Reccione, ‘un t’ho-tt’ho mai tradito,
una vorta so-sola l’ho lasciato
e ‘r cu-culo ner nidio m’han corpito”
“Ma mmi pigli per iscemo, mi-mmi pigli?
Tu’ ma’ o ‘un te l’aveva mai ‘nsegnato
che cor cu-culo ‘un si fanno figli?!”
La prole contestata
Questo sonetto è dedicato ai solutori più che abili, come recita la didascalia di alcuni giochi della Settimana Enigmistica.
Lago di Massaciuccoli, padule di Vecchiano.
La scena si svolge in un fitto ammasso di cannucce di padule.
Un nidiaceo si agita nel piccolo nido costruito attaccato a quattro o cinque steli di cannella, un mezzo metro sopra il livello dell’acqua. L’uccellino agita violentemente le alucce scuotendo la grossa testa con la bocca spalancata al massimo, mostrando una gola rossa fuoco, ben visibile da lontano, manifesto segnale di appetito. Il pigolio insistente e monotono è inteso dai genitori come una richiesta di cibo e il loro continuo avvicendarsi con mosche, farfalline, bachetti e tutto quello, lungo meno di un centimetro, che vola e che striscia, non sembra soddisfare il piccolo che ingoia tutto e di tutto. Nel suo piccolo cervellino, al primo posto, vi è solo l’appagamento della fame e il suo vorace appetito pensa sia dovuto al perduto amore dei genitori, che non lo vogliono nutrire più, o che non vi sia più nulla in dispensa (la ‘asa der votàme ).
Il maschio si rivolge alla femmina con un chioccare ripetitivo, quasi fosse un parlare balbettando, facendo intendere che comincia ad avere dubbi che quello sia proprio figlio suo, perché nelle altre nidiate nessuno aveva mai avuto un appetito simile.
La mammina fa le sue brave rimostranze mettendo un dubbio, però, a quell’unica volta che aveva lasciato il nido incustodito.
Se si pensa che il maschio chiama la femmina “Iola” e che questa risponde con “Reccione” e che il loro cognome (casato) è “Canna”, da cui vien fuori che lui si chiama CANNA-RECCIONE e lei CANNA-IOLA, e che vivono in padule e che il loro canto è un “chi-chi-chi” e un “che-che-che”, ora potete andare avanti da soli.
Il dubbio che il “CU-CULO” sia il nome dell’uccello parassita o sia invece una incheccatura, questo è giusto che vi rimanga!
Fra curiosità e natura
Il cuculo, in qualche luogo chiamato anche “cucco“, è un uccello insettivoro grosso come una tortora, piumaggio color grigio con fiammettature nere, piccolo becco, grandi baffi, coda lunga ed è presente nella zona della bonifica in numerosi esemplari.
Il suo nome deriva dal suono che emette e, in tempi lontani, era considerato un segno di benaugurio per la sua comparsa all’inizio della primavera.
Ciò che differenzia il cuculo dalle altre specie di uccelli è la mancanza della cova da parte della femmina. Una volta pronta alla deposizione, questa cerca un nido nei canneti del padule e vi depone un solo uovo togliendo uno di quelli già deposti. I nidi prescelti, stranamente, sono di uccelli insettivori di piccola taglia, in special modo quelli di cannaiole o cannareccioni, dove il nuovo inquilino, appena schiuderà, se la farà da padrone.
La veloce crescita dell’intruso fa deperire i legittimi figli che sono alla fine cacciati dal nido, quasi sempre sfiniti per la denutrizione. La coppia dei genitori adottivi si adopererà così al solo suo mantenimento con un amore che va oltre alla differenza di taglia, colore e razza.
Avevamo detto del beneaugurio della comparsa del cuculo. Oltre ad essere animale sacro per i buddisti, vi era, anche da noi, una credenza che imponeva ai contadini di tenere un pezzo di pane sotto il cuscino perché, appena svegli, potessero non essere digiuni al primo canto del cuculo, pena disgrazie o malattie durante la giornata.
Un’altra credenza era quella che attribuiva l’immortalità al cuculo tanto che, ancora adesso, si mantiene il detto “vecchio come il cucco”. Ancora un’altra: il suo schivare l’uomo, e i luoghi abitati in genere, ha trasposto in un gioco da bambini il suo verso che viene detto all’apparire di chi si era nascosto: “CUCÙ”.
Numerose sono le filastrocche o le poesie sul modo di cantare o di comportamento di questo affascinante uccello.
Al sud dicono:
“All’Annunziata si u’ cucule n’à cantate, o è muerte o è malate”
In Toscana cantano:
“Al cinque d’aprile
il cucco deve venire:
se non viene ai sette o agli otto
o ch’è perso o ch’è morto;
se non viene ai dieci
e gli è perso per le siepi;
se non viene ai venti
e gli è perso tra i frumenti;
se non viene ai trenta
il pastor l’ha mangiato con la polenta”.
Il Pascoli recita:
“Fantasma tu giungi,
tu parti mistero.
..Quest’anno…oh quest’anno
la gioia vien teco:
già l’odo, o m’inganno,
quell’eco dell’eco;
già l’odo cantare
Cu…cu”.
Le ragazze nubili domandano:
“O cucco, cucco dal becco fiorito,
dimmi quant’anni sto a prender marito,
o cucco, o cucco dalle penne d’oro
dimmi quant’anni sto a prender tesoro,
o cucco, o cucco dalle penne rare
dimmi quant’anni starò qui a parlare”.
E basta contare il numero delle volte che l’uccello ripete il suo verso.
Vi sono pure credenze di simbolismo negativo da parte del cuculo, derivate dal comportamento strano della sua femmina. Bisogna però dire che il parassitismo non è adulterio e la “cucula” non tradisce il maschio, ma si limita solamente a deporre le uova in altri nidi, ma ciò non basta a non far chiamare “cuculo”, dai francesi e dagli inglesi, (rispettivamente “cocu” e “cuckold”), il marito cornuto.
In Bretagna la mamma dello sposo dice al figlio appena sposato: “Attento a non fare entrare il cuculo in casa!”
E Shakespeare,
allora,
ricorda:
“Quante viole e pratoline
e i billeri d’argento
e i ranuncoli dal giallo crine
fanno ogni prato d’april contento,
il cucco allor su ogni pianta
burla i mariti ché così canta:
Cucù
Cucù, cucù, lugubre suono
ingrato a orecchi di consorte!”