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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Bagno degli Americani di Tirrenia
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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San Giuliano Terme, 30 giugno
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Marina di Vecchiano -giovedi 4 luglio
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
"Uno strano imbroglio" 5°

2/8/2015 - 11:38



Breve riassunto delle puntate precedenti.  

 

In Bocca due pescatori abusivi trovano nella propria rete il cadavere di un uomo di colore. I carabinieri, avvisati in forma anonima, fanno rimuovere il cadavere e fanno i primi rilievi del caso da cui non emergono dati sospetti. Il cadavere sembra solo un annegato trasportato dalla corrente  ma l'autopsia rivela che l'uomo non è morto annegato come si pensava ma a causa di traumi multipli fra cui la frattura del cranio con lesione cerebrale. Delle indagini sul caso viene incaricato il maresciallo Silvestri, reintegrato per l'occasione in quanto sospeso da tempo dall'Arma per un oscuro motivo disciplinare. Il maresciallo è rientrato da poco in paese accompagnato da una giovane ragazza, di nome Chiara, conosciuta in occasione di una dolorosa vicenda accaduta in una città del Nord dove il Silvestri si arrabattava, per sopravvivere, con piccoli lavori di sorveglianza e sicurezza dato il suo temporaneo allontanamento dal servizio. Il maresciallo comincia le difficili indagini iniziando facendo qualche domanda in giro e poi si reca in caserma dove trova una vecchia conoscenza, il travestito Solange, al corrente di tutte le vicende notturne che accadono sulla Traversagna.                                                                           

 

Era per lei che era tornato al paese. Il suo trasferimento in una città del nord in seguito alla sospensione dall’Arma non era dovuto all’amore per la grande città, Silvano era nato e vissuto sempre in campagna e odiava le città, ma soprattutto per allontanarsi dal paese e per avere maggiori opportunità di lavoro.
I piccoli lavori di cui si occupava, nel ramo della sicurezza soprattutto, gli servivano per sopravvivere economicamente dopo il congelamento dello stipendio ma anche per tenerlo occupato e non pensare troppo alla situazione in cui si era stupidamente e incoscientemente cacciato.

Dopo l’incontro con Chiara e la soluzione per qualche verso drammatica della vicenda della povera ragazza, era diventato necessario allontanarsi il più possibile non solo dalla sua famiglia ma anche da quel luogo pieno di ricordi. La gravidanza di Chiara si era ben presto interrotta, naturalmente. Non ne avevano mai parlato, Chiara non lo aveva mai permesso. D’altra parte il loro rapporto era ancora agli inizi e non ancora così solido e sicuro da mettersi a discutere di una cosa così delicata con una persona in pratica sconosciuta com’era a quel momento Silvano. L’aveva aiutata, sì e aveva capito, ma quella era la parte del carabiniere che Chiara conosceva bene, di Silvano uomo era ancora troppo presto per avere un giudizio.

Solo in seguito il loro rapporto era diventato più forte ma la gravidanza si era già interrotta e forse era stato un bene. Un’altra parentesi chiusa, per sempre. Del padre non sapevano niente, Chiara non aveva più domandato e a Silvano era stato proibito esplicitamente di cercare informazioni. Per evitare alla ragazza una penosa deposizione in tribunale era stata invita una memoria scritta al giudice incaricato in cui Chiara evitava di fare accuse pesanti e chiedere rivalsa nei confronti del genitore, che era perdonato su consiglio di Silvano, con l’obiettivo di derubricare il reato a semplice molestia sessuale, sia pure aggravata (padre) e reiterata nel tempo.

Non avevano più saputo, né si erano più informati, della decisione del giudice, ma oramai era passato tanto tempo e quella storia sembrava definitivamente chiusa. La madre era ormai come un parente lontano cui si mandano solo poveri, formali e ipocriti auguri per le feste.

Nel rapporto di Chiara con la madre forse pesava in modo rilevante il non aver sospettato e, forse anche l’aver tollerato, per paura, chissà.

I primi tempi dopo il trasferimento di Chiara nell’appartamento occupato da Silvano non erano stati facili.I pianti erano frequenti e anche quando Chiara si sforzava di sorridere alla presenza di Silvano i suoi occhi parlavano per lei e narravano la sua sofferenza. In quei primi giorni bastava semplicemente sfiorarla, anche inavvertitamente o cercare di farle una carezza, che subito reagiva con uno scatto che spesso terminava in un nuovo pianto e qualche scusa masticata fra le lacrime.

Silvano l’accompagnò anche da uno psichiatra che conosceva per avergli fatto un piccolo lavoro e che prescrisse una terapia medica. Chiara seguì la terapia prescritta dallo specialista solo per alcune settimane e soprattutto per dormire la notte. Ben presto lasciò comunque psichiatra e terapia ed iniziò un lento ma graduale miglioramento.

Silvano rientrando a casa dal lavoro cominciò, con sempre maggior frequenza e anche soddisfazione, a trovare occhi asciutti e buoni pranzi: segno inequivocabile di quel miglioramento confermato anche dalla ritrovata capacità della ragazza di accettare una conversazione senza il solito finale in pianto a dirotto.

Ben presto era comunque diventato necessario allontanarsi da quella città ed era stata l’occasione per Silvano di rientrare in paese.

La casa di sua proprietà dove viveva con la famiglia era rimasta vuota per un paio d’anni ma con una buona riverniciata e una pulita era tornata a nuova vita. Trasferitasi in paese Chiara aveva lasciato l’Università ma aveva trovato subito lavoro proprio sulla piazza del paese come aiuto barista, un impegno di mezza giornata che gli avrebbe permesso anche di continuare l’università, se ne avesse avuto la voglia o l’intenzione, ma per ora non se ne parlava.

Marco, il proprietario del bar, era un bel ragazzo, alto e moro di capelli e di carnato, che certe voci davano una volta molto fidanzato ma al momento libero, e forse la scelta di avere Chiara come aiuto barista non era stata del tutto disinteressata. Silvano aveva notato anche qualche strana occhiata che i due si scambiavano di frequente ed un certo eccesso di cortesia ma quando ne aveva accennato a Chiara la faccia della ragazza l’aveva prontamente indotto a cambiare argomento.

Chiara era stata entusiasta della fine del congedo di Silvano e non solo per motivi economici ma soprattutto perché sapeva quanto questi soffrisse la mancanza del suo vero lavoro, quel lavoro investigativo che aveva sempre fatto e che considerava la sua più grande passione. Ora finalmente era tornato, poteva ripartire da dove aveva lasciato, le cose si stavano mettendo davvero bene per entrambi.

Il mattino seguente, di buon ora, Silvano si trovava al bar di Chiara per la colazione. Di solito faceva la prima colazione a casa con un semplice caffè macchiato ma quella mattina era al bar perché molti erano gli immigrati che si davano appuntamento proprio lì per salutarsi e dividersi i compiti della giornata. Era brava gente, di solito poveri disgraziati venuti da lontano con una lunga e triste storia alle spalle, storia che cercavano di dimenticare nella continua ricerca di un lavoro e di un futuro normale, non sempre facile da ottenere.

Alcuni avevano trovato un lavoro presso i molti artigiani della vicina zona industriale ma la maggior parte sopravviveva lavando vetri, portando in giro merce varia, organizzando piccoli commerci spesso illegali. Forse c’era anche qualche protettore delle nere che battevano in gran numero sulla vecchia via del paese e sicuramente anche qualche spacciatore, ma di piccolo calibro pensava Silvano, giacché per ora ammazzamenti non ce n’erano stati.

Ne conosceva alcuni di vista con cui scambiava spesso saluti e poche parole e quella mattina li cercò con un opportuno fare indifferente per cercare di porre qualche domanda e ottenere qualche informazione. Offrì dei caffè e dei dolcetti, elargì diversi sorrisi, fece banali chiacchiere sul tempo e sulla salute in cui inserì ad arte piccoli assaggi investigativi, buttando là qualche domanda innocente sul morto ritrovato in bocca, sul suo colore scuro che poteva far pensare a qualche paese in particolare, su qualche ipotesi formulata di come poteva trovarsi là, di come potrebbe esser finito nel fiume.

A Silvano più che reticenza nelle risposte sembrò di trovare grande ignoranza. Nessuno aveva la più pallida idea di chi fosse, nessuno lo aveva mai visto, nessuno sembrava sapere per quale motivo poteva trovarsi in Bocca. Nessuno aveva sentito dire niente che si potesse in qualche modo riferire, anche in termini vaghi, alla presenza del cadavere.

Quella degli extracomunitari locali quindi sembrava una pista che non portava da nessuna parte.

Naturalmente Chiara era la corrente dell’indagine e si dichiarò personalmente coinvolta, attenta e disponibile a riferire a Silvano qualunque discorso avesse sentito al riguardo, qualunque anche insignificante particolare emerso nelle chiacchiere del bar che potesse avere sia pure un lontano riferimento con l’indagine. Ma rimaneva l’impressione che da quei disgraziati ragazzi non si sarebbe ricavato niente che potesse essere utile all’indagine.

Dopo la colazione senza risultati Silvano si recò in caserma dove ferveva la solita attività di prima mattina con le solite pratiche da inoltrare, i rapporti al Comune, le solite e inutili denunce di furti nelle abitazioni, i sempre più frequenti litigi condominiali, incidenti stradali, insomma il normale lavoro burocratico di una caserma di carabinieri di una piccola comunità.

Nel prendere posto alla scrivania oramai liberata dagli effetti personali del sardo con la colica renale si accorse che era stata posizionata, come omaggio di benvenuto, o come buon augurio, anche una macchina da scrivere Olivetti. Una macchina non nuova ma che si rivelò abbastanza efficiente. Una vecchia macchina elettrica, di quelle con la rotellina che gira e che non sbaglia mai la lettera, una cosa che faceva sempre domandare a Silvano quale straordinario meccanismo riuscisse, nel millisecondo della pressione del tasto, ad allineare la rotellina perfettamente al foglio con la lettera giusta. Ma in questo momento non era certo il suo problema più importante, sebbene tutto facesse parte del suo nuovo inizio, della ripartenza, della dolce ripartenza.

“E’ sceso il Maggioni?” chiese all’appuntato Luvisotti che guardava il computer sgranocchiando qualcosa che teneva in mano sotto la scrivania.

L’appuntato Luvisotti era sulla quarantina, un bell’uomo ancora con tutti i suoi capelli castano scuro ma era parecchio in sovrappeso e la divisa lo avvolgeva sempre come un salsicciotto, sbuzzando ora qua ora là nei punti di minore resistenza nella sua notevole circonferenza.

Mangiava molto, lo sapeva e un po’ se ne vergognava. Per questo cercava sempre di nascondere, spesso ingenuamente come in questo caso, questo suo enorme appetito che deformava la sua struttura e forse minacciava anche la sua salute.  

“Sì, è nel suo ufficio, mi pare ci sia qualcuno però…… credo per una faccenda di barche”

Silvano nell’attesa si mise a sistemare le sue cose sulla scrivania quando la porta della stanza accanto si aprì e ne uscì un ometto piccolo e calvo che dopo aver salutato in modo brusco il maresciallo Maggioni rimasto seduto nella sua stanza, senza dire una parola, né rivolgere uno sguardo ai presenti, prese la porta ed uscì.

“Simpatico l’ometto” sfuggì a Silvano.

“Buongiorno Silvano - si sentì la voce del Maggioni che aveva udito- vieni, vieni qua”

“Buongiorno Silvano e ben tornato”

Il maresciallo si alzò parzialmente dalla sedia per dare la mano a Silvano.

“E’un piacere vederti di nuovo qui in caserma, qui fra noi….dopo tanto tempo ”

“Maggioni buongiorno, ti ringrazio ma.…..lasciamo perdere. Sappiamo tutti e due quali sono stati i nostri rapporti negli ultimi tempi. Comunque grazie delle tue parole di benvenuto che spero siano almeno in parte sincere. Le voglio accettare come una specie di buon augurio e…..da parte mia …..vorrei che la faccenda fosse chiusa, veramente”

“Anche per me Silvano è lo stesso. Sono passati ormai più di due anni, magari siamo tutti e due più saggi, più vecchi sicuramente…..e poi ora non sei più solo, c’è quella Chiara, che sembra una brava ragazza…e magari ti impedirà di fare nuove bischerate.”

Al semplice nome di Chiara la faccia di Silvano, tesa e contratta al cospetto del maresciallo Maggioni si distese fino a un velato sorriso. Gli succedeva sempre così, tanto era l’affetto che lo legava a quella ragazza che ormai dentro il suo cuore era come una sua seconda figlia.

Non aveva certo dimenticato il suo amore Valentina, ora diventata nientemeno che dottoressa Silvestri, l’architetto, che in questo momento si trovava all’estero, a Dublino per l’esattezza, al lavoro per il progetto di un enorme centro commerciale da realizzare alla periferia della città. Di questo Silvano era sicuro mentre più incerto era il ruolo che sua figlia aveva nello studio di Louis Durantes, un architetto portoghese ormai di fama internazionale, che l’aveva voluta con sé in questa sua trasferta nel nord Europa.

Un grande e innovativo progetto di Centro Commerciale integrato alla cui gara internazionale lo studio portoghese aveva partecipato vincendo la commessa. Pare anche per merito di un importante contributo della dottoressa Silvestri e di cui figlia e padre andavano molto fieri. Rimaneva il dubbio sull’attuale posizione di sua figlia nella società dell’architetto: socia effettiva, semplice collaboratrice, dipendente con prospettive di carriera o forse qualcosa di più? Non lo sapeva e non aveva modo di saperlo.

E’ strano ma Silvano non riusciva mai a sapere con esattezza che rapporti esistevano fra le persone a lui care e i loro compagni. Valeva per Chiara e lo stesso valeva per Valentina. Anche le definizioni di questi strani e nuovi rapporti erano diventate diverse ed oscure, alla pari degli stessi rapporti fra i due sessi.

Silvano era ben consapevole che il vecchio termine fidanzato era oramai in disuso sostituito da qualche tempo con termini nuovi, più moderni ma non per questo più precisi. Compagno, infatti, non voleva dire niente, era molto vago e impreciso e a Silvano faceva sempre venire in mente il vecchio Partito Comunista, quando non c’era intervento pubblico che non cominciasse con il saluto del politico locale salito sul palco che, dopo il rituale controllo del microfono “pronto, pronto, prova”, attaccava il suo

“Care compagne e cari compagni…”  di fronte alla platea variegata, variopinta e sempre chiassosa del vecchio Teatro del Popolo o della Festa dell’Unità del paese.

A Silvano invece fidanzato sembrava una posizione piuttosto precisa, una specie di promessa, il primo ma significativo gradino di una possibile unione duratura e possibilmente permanente. La dimostrazione di un sentimento che era passato col tempo da una normale simpatia e affetto a qualcosa di più importante, qualcosa su cui si poteva ipotizzare di costruire un futuro comune, una nuova famiglia.

Cosa che compagno non presupponeva. Compagno per un gioco, compagno per una gita, compagno per una scopata, per una partita, per un viaggio. Non c’era un impegno in “compagno”,  non v’era nessuna certezza di un futuro comune.

Ma forse, riflettendo, questa indeterminatezza non era casuale ma voluta, forse un rifiuto moderno di quel legame indissolubile che in passato costringeva la coppia ad una convivenza forzata anche in caso di difficoltà nei rapporti, di diminuzione o scomparsa dell’affetto, di perdita dell’amore e del desiderio di stare insieme.

Con “compagno” era tutto molto più facile.

“Buongiorno cara……. ma cosa stai facendo con quella valigia?”

“Non lo vedi, caro…. me ne vado!”

Prendevi tutte le tue carabattole e tornavi da mammà.
Più facile di così!

 Ma non erano cose di cui poteva parlare alle sue donne, poteva solo stare a guardare e sperare, almeno sperare, che la labilità del termine fosse inversamente proporzionale alla stabilità del sentimento (e della felicità delle sue donne).

“Maggioni…. maresciallo  è arrivato niente dall’Investigativa per quel morto affogato? Dalle impronte digitali? Qualche segnalazione di persona scomparsa….. magari dai paesi sul fiume?”

“Macchè…… niente di niente. Sarà stato un poveraccio arrivato con qualche barcone. Mi fanno proprio pena questi disgraziati che rischiano la vita e magari spendono tutti i loro risparmi per venire qui da noi. Per un lavoro....che poi è quello di vendere catenine sulle spiagge o lavare i vetri alle macchine al semaforo”

“Eh purtroppo è così…..senti ma di là non è che abbiamo qualche trans o qualche battona in stato di fermo. Volevo sentire anche loro tante volte sapessero qualcosa”

“Diamine, quelli non mancano mai. C’è Solange, l’abbiamo presa ieri sera, è di là. Vai la svegli e poi la mandiamo via. Senza colazione….però!

E’ incredibile, non abbiamo nemmeno i soldi per offrire un caffè ad un fermato. Siamo messi proprio male!! Se continua così facciamo il giro con le mountan bike, anzi no, costano troppo, ci portiamo le bici da casa. Sai che spettacolo…. la pattuglia dei carabinieri, in divisa con le bande rosse, che rincorre il ladro in sella a una bicicletta!!"

Solange, un tempo assai lontano Angelo, era un personaggio molto conosciuto, non solo in caserma. Non più giovanissima era una frequentatrice assidua della vecchia via del paese, meta appunto di appuntamenti erotici, ed anche, purtroppo per lei, della caserma dei carabinieri. Era una brava donna, intelligente e dotata di una innata simpatia.

Silvano la conosceva bene, spesso aveva avuto motivo di interrogarla in caserma per qualche piccolo reato legato alla sua professione.

La cella della caserma come detto in precedenza era situata in fondo al corridoio ed era una semplice stanzetta, una specie di ripostiglio con una piccola finestra munita di una innocua inferriata a croce. Da un lato un piccolo lavandino, un lettino, una sedia. Niente gabinetto, per quello bisognava usare quello comune.

Solange portava addosso e nel viso troppo dipinto i segni inconfondibili della sua professione. Una professione esercitata oramai da molti anni per soldi ma, a suo dire, anche per passione. Stava seduta sul lettino con il mento appoggiato sulla mano aperta  sostenuta dal ginocchio accavallato che faceva vedere abbondantemente le sue cosce tornite ma da tempo afflosciate, costrette da una microscopica minigonna risalita abbondantemente oltre il lecito.

L’occhio semichiuso faceva pensare ad una nottata piuttosto burrascosa.

“Buongiorno Solange…..è molto che non ci vediamo”

“Non per colpa mia, maresciallo, io sono rimasta una assidua frequentatrice della sua caserma. Era lei …(sbadiglio)….mi scusi maresciallo….era lei che si è preso una vacanza” 

La voce era sempre la solita nenia strascicata, tipica dei travestiti vecchia scuola.

“Lo so, lo so, che sei un’affezionata. Pensavo tu fossi oramai in pensione….. i ragazzi di oggi magari vogliono qualcosa di più fresco, materiale più giovane!”

“Ragazzi? Ma che ragazzi! Io ho i miei clienti affezionati che mi seguono da anni e di ragazzi giovani ne vedo assai pochi. Ho fior di professionisti che vengono spesso, qualcuno viene a trovarmi per sesso, modestamente in quel campo ci so fare…... ma molti vengono soprattutto per parlare..…dei loro affari, delle loro mogli che non li capiscono, dei loro figli che dicono di capire ancora meno.

Di ragazzi ogni tanto qualcuno, più curioso degli altri, che più che per scopare viene per curiosità, per fare domande.

Ma te sei un omo o una donna, c’hai il bischero o non ce l’hai più, ma ti sei operata,  le puppe sono vere o finte, ma prendi l’ormoni, e per i peli e la barba come fai? A parte qualcuno che viene per offendere…….ma io non ci faccio caso….per il resto sono una noia……e poi non vogliono pagare. Senza l’atto completo, dicono…..niente moneta. Io un po’ insisto ma poi….lascio perdere, non mi voglio confondere!”

 (continua)

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