Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
di Ovidio Della Croce
I miei amici del Sinis e noi pisani a Putzu Idu la chiamano l’isola, credo che tutti qui la chiamino l’isola. Forse perché è, con lo Scoglio del Catalano, l’unica isola della penisola del Sinis. O forse perché all’isola tutti cercano qualcosa. Nei dépliant turistici l’isola di Mal di Ventre è definita “affascinante per avventurose escursioni”. Noi forse ci andiamo perché lì non c’è niente e ci pare che ci sia tutto, perché l’isola non è solo l’isola, l’isola siamo un po’ anche noi. Senza saperlo ce la portiamo dentro e quando torniamo a casa e facciamo una doccia, l’isola ci resta addosso.
La sera prima riceviamo un messaggio da Giangi e Luca Chiesura di Naturawentura: “Conferma meteo per domani, partenza ore nove, rientro ore tredici, chek-in ore otto e trenta allo Scivolo”. Quando la mattina, alle otto e trenta in punto, arriviamo allo Scivolo sulle nostre facce c’è già dipinta l’isola. La giornata è splendida, fa già caldo. Prima dell’imbarco, sulla destra, c’è un bar ombreggiato dove possiamo fermarci a fare colazione o soltanto per bere un caffè o un succo di frutta. Ci sono due gommoni che ci aspettano, saliamo su quello più grande per undici persone. Il conducente chiede la nostra collaborazione per togliere gli ormeggi, ci fa vedere le ancore, distribuisce i salvagenti ai due bambini e si parte.
Buongiorno, mi chiamo Giacomo Chiesa, dice, stiamo navigando verso l’isola di Mal di Ventre a quattro miglia e mezzo da Capo Mannu, circa dieci chilometri. Stiamo entrando nell’Area Marina Protetta che va da Capo Mannu a Capo San Marco. Nella vecchia cartografia si legge “Malavente” o “Malu Entu” che in sardo significa “cattivo vento”, poi il nome per una storpiatura è diventato “Mal di Ventre”. L’isola è quattro chilometri per due, ha una superficie di quasi un chilometro quadrato e il punto più alto è diciotto metri sul livello del mare. La parte nord è brulla per le mareggiate, nella parte più a sud c’è un po’ di vegetazione mediterranea con piante alte anche così, e alza la mano destra fino a un metro. E poi dice: l’isola è fatta di rocce di granito, calette e spiagge di sabbia grossa, per via dell’erosione le ritroviamo sulla spiaggia a chicchi di riso di Isarutas. Gli unici abitanti dell’isola sono i conigli selvatici, il biacco, il gabbiano reale e quello corso, che è in via di estinzione, i marangoni dal ciuffo, ma attenti, a non confonderli con i cormorani che vivono vicino agli stagni. Per fare il giro dell’isola a piedi ci vogliono due ore. Verso nord, dove si vedono quelle onde, è possibile fare snorkeling e vedere anche il relitto di una nave olandese; ma stamattina è meglio di no, c’è un maestralino sostenuto, stamattina meglio passeggiare verso sud e andare a Cala dei Pastori, lì ci sono anche i resti di un nuraghe, o verso Cala Valdaro o cercare i resti di una villa romana oppure andare nella parte occidentale e raggiungere il faro. Ecco siamo arrivati a Capo Salina.
Il conducente cala l’ancora sul fondale sabbioso per evitare di danneggiare la Posidonia che genera ossigeno per il mare e dice: L’altra sera ho visto in televisione un documentario sul Gange che diceva che il fiume sacro ha una produzione di ossigeno quattro volte superiore a quello delle acque interne, per questo riesce a sopportare tutto lo schifo che c’è. Mentre stiamo scendendo con i nostri ombrelloni e le nostre borse da mare in mano, ci dice: Per favore, non lasciate bottiglie di plastica, non lasciate niente e non portate via niente.
Qui non c’è davvero niente e nessuno. Camminiamo sulla spiaggia sopportando quel leggero puzzo di zolfo forse dovuto alla Posidonia o forse a qualche sorgente. Lo prendiamo come si prende una medicina quando serve per farci stare meglio. Mettiamo su un piccolo accampamento, qualcuno pianta legni e canne trovate sulla spiaggia per provare a costruire alla buona una tendina, i bambini lo prendono come un gioco e aiutano a costruire il rifugio, non si sa mai, i pirati sono sempre pronti agli agguati. Che bello il nostro accampamento visto dal mare mentre cominciamo a fare i primi tuffi.
Appena rinfrescati facciamo una passeggiatina in un viottolo orlato di agli selvatici, raggiungiamo Cala dei Pastori e decidiamo di tornare a nuoto. Ci siamo portati una maschera per non perderci la meraviglia dei fondali molto variati di questa costa e nuotiamo in compagnia di salpe, occhiate e muggini e in superficie si avvista un marangone che pesca. Superato lo scoglio chiamato “Carciofone”, la nostra nuotata finisce bene e torniamo alla base dove ci rinfreschiamo con delle susine piccole come chicchi d’uva. I bambini continuano a giocare ai pirati, all’orizzonte si vede un veliero, forse una nave pirata, e anche noi ci immaginiamo di essere pirati.
Il ritorno in gommone, col vento in poppa, pare più veloce; il conducente ci dice di no perché, dice, le onde fanno così e rotea la mano in aria disegnando un vortice. A questo punto gli chiediamo perché l’isola è chiamata l’isola. Non risponde. Allora insistiamo e gli chiediamo: Perché tu, Giangi e Luca volete così bene all’isola? Un attimo di silenzio. Specifichiamo: Perché ci siete innamorati? Risponde al volo: Perché ci ho passato la mia infanzia. Giangi e Luca anche più di me, ci stavano mesi sull’isola.
Ormeggiamo il gommone e saliamo sul piccolo molo con l’aiuto del nostro Giacomo. Salutiamo: Grazie, è stato un vero piacere. I bambini si sono divertiti un mondo a giocare ai pirati. Grazie a voi, fate bene a tornare sull’isola ogni anno, è una storia infinita. Mi prende la mano, me la stringe e dice: Ricordami il tuo nome.
Glielo dico, ma avrei voluto rispondere: Capitano Nemo. Gli giro le spalle e naturalmente ringrazio l’isola e anche qualche scrittore che ha scritto di pirati, L’isola del tesoro e Robert Luis Stevenson che su un’isola si ritirò e dove gli aborigeni lo soprannominarono Tusitala, “narratore di storie”. Mentre cammino sul pontile, vi sembrerà puerile, penso ai giochi della mia infanzia e alle letture della mia adolescenza. Andare all’isola è sempre una buona idea.