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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
Le Parole di Ieri
Da Dinamè a "E ti caa la befana"

21/8/2015 - 9:55


DINAME’
Lett: nc.
Ana, tamburè (sangiovè), tempiè, dinamè, batto le mani, davanti e di dietro, faccio un salto, ne faccio due, …….. lodoiegolo, le putille, le faville……
era una filastrocca che veniva scandita dai bambini facendo rimbalzare una palla sul muro e riprendendola al volo cercando di non farla cadere per terra.
Era un gioco semplice, infantile, ma con un fascino particolare in quelle parole misteriose, venute chissà da dove, inventate chissà da chi, che non sembrano avere niente in comune fra loro se non l’accento finale, forse utile perché in sintonia con il gioco di dover riprendere la palla lanciata, oppure da ricercare in una possibile origine francese. E qui da noi di francesi ce ne sono stati.
Nell’anno 1805 infatti venne nominata Principessa di Lucca, Piombino, Massa Carrara e Garfagnana, Elisa Marianna Bonaparte, sorella di Napoleone, moglie del “distratto” capitano Felice Baciocchi. Nel 1809, sempre dallo stesso Napoleone, fu nominata Granduchessa ed estese il territorio amministrativo a tutta la Toscana.
Non bella, aveva un grande naso ed occhi sporgenti, ma intelligente ed intraprendente, “il mio miglior ministro” diceva di lei Napoleone, portò notevoli vantaggi ai propri amministrati tra cui l’abolizione per dieci anni delle tasse in agricoltura. Appena arrivata a Lucca impose subito un cambiamento nelle abitudini di vita e di abbigliamento delle dame lucchesi, portando una ventata di novità e di buon gusto. Fece capire alle tirchie signore del luogo che non potevano andare a corte sempre vestite di nero, che mettessero mano al portafoglio e chiamassero i sarti migliori. Durante il suo breve regno fu un susseguirsi di parate, concerti, fuochi d’artificio, luminarie ed ad ogni passeggiata “sembrava di stare in una festa da ballo” riferisce un anonimo osservatore. I lucchesi, all’inizio sospettosi e dispiaciuti perché faceva loro spendere denaro, le riconobbero in seguito il merito di aver ingentilito il paesaggio (va ricordata l’importazione da lei voluta delle magnolie), di aver fatto loro scoprire il miglior teatro francese con Racine, la miglior musica italiana del momento con Niccolò Paganini.
E se furono costretti a dover pagare tasse che prima eludevano ed a sentir parlar francese dalla mattina alla sera, pure si trovarono ben 15.000 bambini vaccinati ed i giovani figli maschi esentati dall’obbligo della coscrizione (il servizio militare di allora).
Elisa scelse Massa come dimora estiva, preferita a Lucca, ed elesse il Palazzo Rosso a sua dimora ordinando anche l’abbattimento del Duomo dirimpettaio per avere una piazza più ariosa ed un colpo d’occhio degno di una sovrana. Così nacque Piazza Aranci a Massa ed è la dimostrazione dell’intraprendenza e del carattere deciso di questa signora, che era pur sempre una Bonaparte!  
Di questa presenza francese è agli atti del Comune di Vecchiano, in data marzo 1811, un curioso decreto di polizia che riguarda la raccolta del concio per le strade:
 “considerando che molti, particolarmente dalla Stato di Lucca(!), abusivamente si fanno lecito venire a raccattare il letame in queste pubbliche strade, senza Passaporto, o qualunque altra Carta che gli permetta la libera circolazione negli Stati stranieri, considerando che l’esercizio di questa branca d’industria, influisce molto per assicurare i mezzi di sussistenza a diversi individui di questa   Comune, decreta…ecc” e finisce con un divieto di raccolta del concio per chiunque non abbia domicilio in questa Comune (la Comune, femminile). Il decreto è così intestato:
-Impero Francese
-Dipartimento del Mediterraneo
-Sottoprefettura di Pisa
ed emanato da “Il Maire della Comune di Vecchiano”.
“Maire” significa sindaco nella lingua francese e si ritrova in tutti gli atti pubblici dell’Amministrazione Comunale del tempo.
La necessità addirittura del passaporto per chi veniva dallo “Stato di Lucca” ed il considerarsi Stato Straniero fa capire la distanza esistente, a quel tempo, fra località oggi così vicine ed integrate.
La vita era veramente molto più legata al territorio dove uno viveva, le comunità poco numerose, il mondo spesso finiva al confine del campo o del paese, i mezzi di trasporto primitivi e quelli d’informazione quasi assenti e privilegio di poche persone. Colpisce anche molto la povertà della vita di quegli anni, siamo all’inizio dell’800, in cui la raccolta del letame lasciato dagli animali sulle pubbliche strade rappresentava una branca d’industria per garantire la sussistenza a diverse famiglie!
Nonostante questo il Comune funzionava, ed esisteva anche un servizio di Polizia efficiente come si può notare in questa sentenza di quegli anni.
Il contenzioso era fra una certa Maria Rosa, domiciliata in detto Capo Luogo ed un certo Giuseppe suo vicino. L’Aggiunto al Maire Giovanni Monacci così delibera:
in conseguenza della quale cosa noi abbiamo inibito la detta Maria Rosa M. di non ardire neppiù né per altro di smerdare l’uscio del detto Giuseppe M. né tampoco di lavare sopra la cresta del pozzo comune pezze merdose ne’altre cose, come pure abbiamo inibito a detto Giuseppe M. di non insultare la medesima con parole indecenti e offenzioni con fargli dei rutti passeggiando per la propria corte”. (dagli Atti del comune di Vecchiano-ndr)
 
DI PEDINA
Lett: nc.
Potrebbe derivare da pedino: [piedino], oppure da pedinare: [seguire con circospezione]; più difficile da pedina: [ciascuno dei 16 pezzi più piccoli del gioco degli scacchi].
Andare di pedina significava infatti camminare a piedi, andare a piedi da un luogo all’altro, con un sottinteso significato di rapidità.
Di pedina indicava anche il camminare rapido di un volatile.
E’ andato via di pedina!
 
DISIPOLA
Lett: nc.
Disipola è il nome dialettale dell’“erisipela”, un’infezione batterica della pelle che si manifesta con una chiazza di un colore rosso molto intenso.
E’ detta anche [risipola] e da questo nasce sicuramente il termine dialettale.
La disipola, come anche il mardocchio, l’orzaiolo e i bai, si "segnava" cioè si poteva eliminare attraverso un particolare cerimoniale ma solo se presieduto da una settimina, una donna nata di sette mesi.
 
Aneddoto
1951. Al Troncolo combattuta partita di calcio Fauglia-Migliarino.
Alla metà del primo tempo grosso svarione dell’arbitro a favore del Migliarino.
Dai bordi del campo si leva forte un grido:
Arbitro, vai a segna’ le disipole!
 
DOMO
Lett: DOMO. [Casa] dal latino domus.
In dialetto mettere in domo significava fregare, metter di mezzo, imbrogliare.
Ma vai ‘n domo!” “Ma ven domo!” era anche un modo educato di mandare un altro a quel paese!
Appare evidente come questo termine venga utilizzato al posto di un altro ben più significativo, cercando di mantenere il senso della frase senza dover dire parolacce.
Chissà se la contrazione dialettale di “vai‘n” in “ven” non abbia la stessa origine francese.
 
DUNNIOSA (DUGNI ‘OSA)
Lett: nc.
Significava tutto, ogni cosa.
Era una storpiatura dialettale che ampliava il termine tutto, di per sé già completo, a significare una totalità estrema.
 
 E TI CAA LA BEFANA
Lett: nc.
Frase, o modo di dire, che indicava l’imminenza di una punizione o di un castigo, od anche una situazione di pericolo da cui poteva scaturire una punizione.
Usata ancora oggi, non se ne conosce l’origine e nemmeno la perfetta interpretazione.
Il verbo caare (vedi), oltre che per il suo significato etimologico, era utilizzato spesso anche con il significato di lasciare.
E’ andato a pescà e m’ha caato a casa” mi ha lasciato a casa,
hai caato tutto lì?” hai lasciato tutto lì?
La Novara riporta un curioso e antico modo di dire per indicare un fannullone:
Lui lì mangia, caa e fa del sugo!
 
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Gli Shmoo
 

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Minimo 5 - Massimo 10000 caratteri

25/8/2015 - 16:25

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Sono gli anni 60. Ma chi sarà quel bel ragazzo moro e con tanti capelli che suona la chitarra?
Nota: la chitarra che si vede a sin, quella sotto, era del nostro caro amico Vico.