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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Domenica 7 Luglio mercatino di Antiqua a San Giuliano T
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Ripafratta, 12 luglio
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Bagno degli Americani di Tirrenia
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
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Sopra e sotto l'acqua

24/8/2015 - 12:23

Impariamo da questi due pesci, diversi fra loro, come diversi sono i pisani e i livornesi, ma fortemente uniti dal medesimo canale.

Sarà dura ma non impossibile!


Amore cèo

Ner fondo der Canal de’ Navicelli,

rasando ‘ pali o lungo ‘r filaretto,

noticchiavin du’ pesci fra ‘ più belli:

scarbatra lei, e ghiòzzo era lui detto.


“Bella, la più bella siei tu der fosso,

-diceva alla ‘ompagna er pesciolino-

fosse tórbo ti sarterei addosso

a gósto di funì’ drent’a ‘n retino”.


“Sapiente amore bello più di triglia,

-diceva lei alla passione sua-

dai, presto, svèrto, entriamo ‘ndella bua!”


“Te che mi fai rizzà’ tutta la scaglia,

lo dïo co’ ‘na punta di saggezza,

andresti dedïata alla bellezza!”


L’amore è cieco

Nel Canale dei navicelli nuotano spensieratamente due pesci considerati i più brutti fra gli abitatori delle acque. Ma si sa, l’amore è cieco, e i due pesci sono profondamente innamorati. La femmina è una scardola e il maschio un ghiòzzo. Sono due pesci che generalmente abitano in ambienti diversi, lei in acque dolci e lui in quelle salmastro-salate, ma il canale che li ospita è un miscuglio dei due ambienti.

Il ghiozzetto è visibilmente emozionato al solo guardare quella meraviglia di sposa che si ritrova, ma è anche molto timido, tanto da proporre e rimandare un abbraccio o un approccio al momento della tórba delle acque, cosa che si verifica solamente dopo grandi piogge. La sua voglia di amore lo farebbe, in quel caso, anche rischiare di cadere nella rete che i pescatori usano generalmente in occasione di acque poco chiare.

La femmina, al contrario, è molto pratica e, anche se in altri momenti apprezza la saggezza del compagno, ora non crede che vi sia il tempo di congetture, rinvii e pensieri vari, bisogna cogliere l’attimo ed appartarsi in un luogo tranquillo (entriamo ‘ndella bua).

Il maschio, eccitato dalla piccante proposta, (mi fai rizzà’ tutta la scaglia) accetta l’offerta delle grazie elogiando, ancora una volta, la bellezza della sua lei e proponendo di fare del suo nome sinonimo di “bellezza”.

 

Fra curiosità, storia e natura

 La scardola, chiamata in tutto il territorio pisano “scarbatra”, è un piccolo pesce voracissimo, tipico di acque pulite e calme, che vive felicemente al riparo della vegetazione acquatica o sotto le frasche che pendono dalle rive. E’ facilmente preda di uccelli acquatici e trampolieri data la sua abitudine di stare vicino al pelo dell’acqua ed è anche preda ambita dai giovani pescatori per la facilità dell’abbocco. La sua carne è poco saporita, ma viene scartata dalle preparazioni culinarie solo per l’eccessivo numero di lische che renderebbero un lavoro ingrato il mangiarla in qualsiasi cottura. Viene però accettata, e volentieri, nella preparazione della zuppa di pesce di lago o di fiume dove trova la sua degna collocazione, essendone le carni, alla fine, filtrate o pestate.

Per indicare una cosa di poco conto, ma sempre meglio di nulla, si dice: “Meglio scarbatra che niente pescio!”

Oltre alle lische che non la rendono gradita, anche la forma tozza del corpo e la colorazione grigio nera non la fanno certo una bellezza, tanto che è attribuito il suo nome alle ragazze brutte o bruttine, chiamate appunto: scarbatre.

Il ghiozzo deve anch’esso la fama di brutto al suo aspetto, ma detiene, non perfettamente a ragione, anche quella di sgraziato, scemo, goffo, rozzo, sciocco o ottuso. Tutto questo per la sua abitudine di vivere nel fango, in buchette nido costruite dal maschio, moda che fa distingure il ghiozzo di bua da un altro parente stretto, quello di rena.

La testa grossa e gli occhi sporgenti e vicini non contribuiscono certo a far piacevole il suo aspetto, ma scemo non lo è senz’altro, anzi è uno dei pesci più attenti alla prole, al corteggiamento, alla territorialità e riesce perfino ad emettere dei suoni quando lotta con gli altri maschi. La sua piccolissima taglia non lo rende un pesce ricercato dai pescatori, ma le sue carni sono ottime per la frittura. Troverete quello di rena in qualsiasi fritto di paranza.

 

Il Canale dei Navicelli collega Pisa a Livorno, l’Arno al mare, con un percorso di circa 18 chilometri.

Voluto dai Medici, da Cosimo il Vecchio, come comunicazione di merci fra il porto ed i mercati, fu tracciato dal 1434 al 1463 e un altro Medici, anch’esso Cosimo, primo, lo terminò ed ampliò dal 1573 al 1576. Il Duca capì, dopo l’interramento del Porto Pisano ed il sempre cattivo stato dell’unica pericolosa strada che, traversando la macchia di Tombolo, andava da Pisa a Livorno, che solo un canale era il mezzo per risollevare l’economia delle due città, una con i dazi doganali del suo porto e l’altra con la vendita ed il mercato delle merci che arrivavano via acqua interna.

La mole del traffico era notevole, quasi ottocento navicelli al giorno, con incassi di 1600 fiorini (famosi come quelli del quantisietecosaportate).

Vi erano però divieti ed obblighi per i navicellai e tutti coloro che gravitavano nell’orbita del Canale. Ogni barcaiolo doveva, in primo luogo, pagare per le merci che trasportava ed addirittura per la zavorra che stabilizzava il navicello, pagare per ancorarsi nei luoghi stabiliti al fine di non danneggiare le rive; era poi proibito portare ad abbeverarsi qualsiasi grosso animale per non causare smottamenti delle rive;

era proibito entrare dalle Cateratte di Porta a Mare quando l’Arno era in torba per non far entrare il fango in sospensione nell’acqua perché si sarebbe depositato facendo alzare, a lungo andare, il livello del fondo del canale.

Era obbligo, per chi veniva da Empoli, portare ceste di terra, corbellini di pietrisco e di “golfolina” da consegnare agli addetti che stavano sulle sponde del canale per le continue riparazioni.

Era proibita la pesca e gettare in dello fosso alcuna sorte di immondizia o sporcizia per le quali potesse far danno si di riempimento come d’altro. Era proibito pure lavare e varare i navicelli per non arrecare danni agli scali; era proibito navigare a coppia, ficcare pali o remi in ogni parte del fosso ed era obbligo, per gli abitanti del contado, obbedire alla “Comandata”.

La Comandata era una specie di chiamata alle armi, ma, invece di andare in guerra, gli uomini “comandati” dovevano prestare servizio gratuito nei lavori di riparazione di cui il canale abbisognava continuamente, e di martedì!

Il continuatore dell’opera di Cosimo fu il secondogenito Ferdinando I° che proclamò:

“Troppo importa il tenerlo navigabile et se ne pigli parte dalli navicellai più vecchi acciò si accomodi bene e no si habbia da pensare ogni giorno”

 Gli anni dal 1587 al 1609 furono molto ricchi di traffici, tanto che in quel periodo a Pisa furono edificate la “tettoia” di Porta a Mare sullo scalo di arrivo e “la loggia dei mercanti”, sede di tutti i traffici con le città della Toscana e del centro Italia. Alla fine della dinastia medicea furono vendute, per legna da ardere, le due ultime galere abbandonate negli arsenali e, assegnata la Toscana ai Lorena, fu il Granduca Pietro Leopoldo che si interessò ai Navicelli costruendo un’importantissima opera idraulica di alta ingegneria: il sostegno.

Questo era un sistema di doppia cateratta da usare quando l’Arno fosse stato torbo o in piena per non frenare la navigazione, troppo importante, e impedire al limo di entrare nel canale. La tortuosità del tracciato e i ponti, che costringevano i navicelli ad abbassare continuamente la vela rallentando il viaggio, spinsero la Magistratura delle Acque a correggerne l’andamento. I poderosi lavori terminarono il 14 ottobre 1903 con il risultato di un transito merci di 200.000 tonnellate annue su navicelli che ne caricavano 50!

Ora la lunghezza è ridotta a soli 18 chilometri, un solo ponte, ma quanti decreti discorsi darsena pisana traffico su gomma rifiuti tossici politica e Livorno merda politicanti Scolmatore insabbiato Pisorno ecc.ecc.

Poveri Cosimo e figli!

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