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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
"Uno strano imbroglio" 9°

30/8/2015 - 19:08

Riassunto delle puntate precedenti
 
In Bocca due pescatori abusivi trovano nella propria rete il cadavere di un uomo di colore. I carabinieri, avvisati in forma anonima, fanno rimuovere il cadavere e fanno i primi rilievi del caso da cui non emergono dati sospetti. Il cadavere sembra solo un annegato trasportato dalla corrente  ma l'autopsia rivela che l'uomo non è morto annegato come si pensava ma a causa di traumi multipli fra cui la frattura del cranio con lesione cerebrale. Delle indagini sul caso viene incaricato il maresciallo Silvestri, reintegrato per l'occasione in quanto sospeso da tempo dall'Arma per un oscuro motivo disciplinare.
Il maresciallo è rientrato da poco in paese accompagnato da una giovane ragazza, di nome Chiara, conosciuta in occasione di una dolorosa vicenda accaduta in una città del Nord dove il Silvestri si arrabattava, per sopravvivere, con piccoli lavori di sorveglianza e sicurezza dato il suo temporaneo allontanamento dal servizio.
Il maresciallo comincia le difficili indagini iniziando facendo qualche domanda in giro e poi si reca in caserma dove trova una vecchia conoscenza, il travestito Solange, al corrente di tutte le vicende notturne che accadono sulla Traversagna.  Solange, pur essendo il riferimento  di tutte le ragazze che frequentavano quella strada non sa dare indicazioni sul morto in Bocca.
A Silvano non resta che provare a rintracciare i pescatori per sapere qualcosa di più sul ritrovamento del cadavere. Si reca allora dal suo amico Nanni, un appassionato pescatore di Bocca, recente pensionato, e poi al ristorante sul ponte, a cui i pescatori portavano spesso il pescato.
Sempre  per cercare di rintracciarli, anche se in forma riservata, per avere un minimo di traccia su cui lavorare in assenza, al momento,  di qualunque indizio utile alle indagini. I pescatori , informati, fanno saper, sempre in forma sempre anonima, di  non avere trovato niente addosso al cadavere. Ma un altro nero viene trovato morto sulla via del mare, investito da un camion, e Silvano si pone la domanda  di una possibile  relazione fra le due morti, al momento unite solo dal colore della pelle e dalla zona del ritrovamento dei cadaveri. Ma ecco finalmente un primo indizio, un biglietto anonimo posto sotto la porta con uno strano disegno. Il biglietto confermava l’ipotesi che le morti non fossero solo accidentali  e dopo un po’  si riuscì a capire cosa voleva dire: era la pianta stilizzata della strada del mare con una strana riga oltre la curva che portava alla marina. Ora si trattava solo di andare a vedere. 

 

 

Osservò nuovamente il disegno. Era indubbiamente uno schizzo della via della Marina, con la piccola rotonda da un lato con in fondo la curva decisa verso il mare rappresentato dalla linea ondulata. L’indizio era quindi la linea continua, ma staccata, che proseguiva la parte rettilinea della strada. Era su quella linea che bisognava indagare.

Tutta la via della Marina era recintata da una rete metallica. Oltre era proprietà privata e la strada era una concessione dei proprietari all'uso pubblico per accordi avvenuti molti anni prima. Trattandosi di proprietà privata quindi Silvano avrebbe dovuto chiedere il permesso per entrare nel bosco per dare un’occhiata. Non poteva farlo a termini di legge perché per quello ci voleva una fondata ipotesi di reato che al momento era completamente assente.

Non perse tempo e la mattina seguente, di buon ora e senza nemmeno fermarsi alla caserma per avvertire il Maggioni (tanta era l’ansia di procedere in fretta) si recò direttamente alla fattoria e chiese di parlare col fattore del Conte…. che però era in giro, sarebbe dovuto rientrare, ma non si sapeva quando.

Arrivò dopo un paio di sigarette fumate con rimorso, su una vecchia Panda 4x4 quasi irriconoscibile dal fango che la incrostava, dalle ruote fino quasi al tettuccio. Anche il fattore non era da meno riguardo al fango e i suoi stivali, quando scese e si avvicinò a Silvano, lasciavano monticelli di fango ad ogni passo. Era un bell'uomo, robusto, sulla cinquantina, con un cappello dalle larghe tese che gli conferiva un’aria burbera e di rispetto. Si tolse il cappello e si ravviò i capelli ancora folti e lunghi, striati abbondantemente di bianco.

Silvano si staccò dalla Punto, gettò la sigaretta e fece due passi avvicinandosi all’uomo che lo guardava con fare interrogativo.

"Buongiorno signor fattore, mi chiamo Silvestri e sono maresciallo dei Carabinieri ......qui alla caserma. Vorrei parlare con lei ma….. niente di particolare, stia tranquillo. Solo per chiederle un permesso......un semplice permesso di accesso alla proprietà"

“Buongiorno maresciallo, piacere di conoscerla, prego, prego venga nel mio ufficio”

Si dettero la mano, morbida e un po' flaccida quella di Silvano, forte e callosa quella del fattore che a Silvano fece capire che non erano solo faccende amministrative quelle che competevano al fattore.

L’ufficio in cui entrarono era una stanzina sul cui pavimento dominava il solito fango della macchina che senza soluzione di continuità si convertiva impercettibilmente in uno spesso strato di polvere che andava a coprire indistintamente tutto quello che  di cartaceo l’ufficio potesse contenere. Mucchi di fogli dall’aspetto antico che coprivano quasi completamente la scrivania e alcune sedie appoggiate al muro a mo’ di scaffali, libri sbrindellati e ingialliti dal tempo, qualche giornale sportivo che faceva riferimento a campionati di qualche anno prima.

“Mi scusi, maresciallo, ma non passo molto tempo in ufficio. Il mio lavoro è nei campi e nel bosco ed uso poco questo stanzino che ho battezzato ufficio con molta generosità, e che risente, come vede, delle mie assenze. Si accomodi comunque, credo che l’unica sedia rimasta libera sia ancora in grado di reggere il suo peso…… sia pure, devo dire, non indifferente”

A Silvano piacque l’arguzia del fattore e si sentì a proprio agio. E’ più facile parlare e discutere con chi ha il senso dell’humor, con chi riesce a prendere la vita e le sue incombenze, anche importanti, con leggerezza.

“Signor Fattore il motivo che mi ha portato qui da lei è la necessità, per delle indagini su cui naturalmente, come lei capirà, non posso riferire niente, di un permesso per poter accedere al bosco. Non per funghi, naturalmente, anche se ne sono particolarmente ghiotto, ma per necessità…. diciamo d’ufficio”

"Maresciallo non credo ci siano problemi. Lei mi fa una richiesta scritta come pubblico ufficiale, anche senza specificare il motivo ma usando un termine generico di indagine, ed io le rilascio tranquillamente il permesso…….magari gratuito visto che è per un’indagine”

“La richiesta è già pronta-e Silvano trasse di tasca un foglio dattiloscritto che aveva già preparato a casa la sera prima, sia pure senza l’intestazione dell’Arma cui però il fattore non fece eccessivamente caso- e se potessi avere subito il permesso eviterei di doverla venire a disturbare di nuovo”

Il fattore lesse la richiesta in silenzio, aprì un cassetto della scrivania, poi ne aprì un altro, poi si alzò e andò a cercare nell’unico piccolo scaffale in fondo all’ufficio, poi tornò alla scrivania e ruffolò fra i mucchi carte, inutilmente. Tornò ad aprire il primo cassetto e con alcune imprecazioni sussurrate fra i denti alla fine con un gran sorriso fece capire che il problema era risolto. Trovato il modulo, e dopo una ricerca meno laboriosa anche la penna, riempì un piccolo stampato, domandò il nome al maresciallo, scrisse “indagini di pubblica sicurezza” alla voce motivazione, strappò la matrice, fece un timbro alitandoci sopra per il mancato reperimento del tampone e la consegnò a Silvano.

Una semplice stretta di mano servì a congedare i due con auguri reciproci.

Silvano si ritrovò con il foglietto in mano e si domandò come fosse stato possibile avere il permesso con tale facilità. Se c’era qualcosa di losco possibile che il fattore che girava campi e bosco non ne fosse al corrente? La conseguenza di questo semplice ragionamento poteva essere disastrosa e cioè che l’unica pista che aveva, e su cui aveva fatto totale affidamento, fosse una falsa pista e che la lettera fosse proprio una presa in giro, come suggerito anche da Laura e Nanni.

“Mi scusi fattore, ma allora con questo permesso io posso andare tranquillamente nel bosco, posso andare oltre la via del Mare….”

“La via del Mare? No maresciallo…. guardi che la zona della via del Mare non è di proprietà del Conte ma di suo cugina, che abita qui ma spesso è a Londra. Non sono io che posso autorizzarla ad andare in quella zona. Mi dispiace ma il permesso che le ho rilasciato vale fino alla Bocca, fino alla proprietà del Conte. Purtroppo non mi aveva detto la zona, credevo che l’indagine riguardasse la proprietà di cui sono io il responsabile. Mi dispiace di averle fatto perdere tempo………per andare oltre, per la strada della Marina, deve chiedere al fattore della cugina, che ha l’ufficio oltre la villa. Si chiama Lupetti, chieda di lui appena passata la villa….. sulla strada dei pini.”

“Ho capito fattore, la ringrazio molto per la sua disponibilità e gentilezza… arrivederci. Comunque non è stato un viaggio a vuoto, con questo permesso posso sempre andare a funghi.......che fra poco è stagione! Non saprei forse come giustificare il motivo di pubblica sicurezza....... potrei provare forse con pubblica sicurezza alimentare, ma non so se reggerebbe!"

Il cosiddetto viale dei pini era contornato da ambo i lati da alti e maestosi cipressi, ma poco male. Dopo la villa del Conte c’era, in effetti, un agglomerato di grossi edifici che parevano abbandonati da tempo e in non buone condizioni, alcuni sembrava addirittura stessero per crollare da un momento all’altro. In alcuni di questi, quelli più stabili e forse più recenti, erano stati ricavati alcuni alloggi per il personale, depositi di merci e alcuni uffici.

Silvano chiese informazioni e fu dirottato verso un edificio rettangolare imponente ma in stato di completo abbandono. Il non uso era evidente dalle molte grandi finestre chiuse di cui molte con vetri rotti. Alla base tuttavia si scorgeva una piccola porta di legno, bisognosa a dire il vero di una passatina di vernice, che indicava comunque la presenza di un ufficio.

Ufficio irrimediabilmente chiuso e che non dava nemmeno grandi segnali d’incoraggiamento: nessun cartello, nessun orario, nessuna indicazione su cosa fosse e a cosa servisse. Silvano non provò nemmeno a bussare, prese un biglietto da visita, vi scrisse il proprio numero di cellulare e chiese gentilmente di essere chiamato. Dopo un attimo di esitazione cancellò con un frego il titolo di maresciallo prima del nome, per cercare di dimostrare, anche se con qualche dubbio, che il contatto non facesse parte di un suo dovere d’ufficio.  

Aspettò anche un po’ guardandosi attorno e sperando che il fattore Lupetti si facesse vivo ma poi, annoiato, decise di tornare in caserma.

Il maresciallo Maggioni non c’era e Luvisotti stava scrivendo una relazione. Silvano aprì la cartellina e si mise a riguardare il disegno. Il messaggio era chiaro e il luogo era indubbiamente quello: la rotondina, la strada diritta nel bosco fino alla curva a 90° che la indirizzava verso il mare, la linea ondulata. Mancava la rotonda prima del mare ma era un particolare che sembrava poco importante. Rimaneva quella riga diritta, oltre la curva, staccata dalla strada. Era quello l’indizio, al di fuori di ogni dubbio. Che cosa poteva essere, cosa poteva indicare? La cosa più logica era una strada, una strada però non collegata alla via del mare come sembrava indicare il disegno. Se non una strada almeno un sentiero, un qualcosa che comunque fosse in rapporto con la via. Altrimenti non sarebbe stata disegnata proprio come la continuazione perfetta della strada diritta prima della curva. Poteva però essere solo un particolare involontario dell’autore del disegno. Per comodità, per errore o per superficialità l’aveva fatta in esatta corrispondenza ma magari non era così, magari non voleva dire nulla e l’indizio era da un’altra parte. Magari invece di una strada poteva trattarsi di un canale, di un fosso, un pezzo di pineta abbattuta. Difficile dirlo ma sicuramente l’indizio era in quella zona ed era proprio lì che bisognava andare a dare un’occhiata. Ma per questo serviva naturalmente il permesso del fattore Lupetti.

Silvano guardò il cellulare nella speranza fosse arrivato un segnale dal fattore ma non c’erano segni né di chiamate né di sms. Aspettò ancora un po', si domandò se fosse il caso di tornare all'ufficio del fattore ma poi decise di occuparsi di alcune pratiche che giacevano da qualche tempo sulla sua scrivania. Le sfogliò con nessun interesse e si accorse che la sua mente vagava altrove per cui decise di tornare in paese e di passare da Chiara. Disse al Luvisotti che c’erano delle novità importanti e che al rientro del Maggioni ne avrebbero parlato, ma non rispose alla bocca aperta e in attesa dell’appuntato.

Chiara al bar non c’era, era di turno il pomeriggio per cui Silvano salutò Marco che era indaffarato negli aperitivi ora tanto di moda in cui invece di bere in pratica si pasteggia e si diresse verso casa.

La casa era in fondo al paese, una casetta bassa, pressapoco rettangolare, a un piano, tinta di un giallino sporco, circondata da una siepe di alloro odoroso che racchiudeva un piccolo giardino le cui erbacce, con la loro testina sempre più in alto, chiedevano invano ogni volta a Silvano di essere tagliate. In un angolo un tentativo di piccolo orto familiare in cui le piante di pomodoro rimpiangevano la scarsa cura del coltivatore e mostravano il massimo del loro impegno, un paio di piccoli frutti rotondi di colore rosso giallastro destinati, come i pochi altri, all’inedia.Durante il viaggio per arrivare a casa una vibrazione prima e un piccolo beep del cellulare poi segnalarono l’arrivo di un messaggio. Accostò la macchina (era pur sempre un carabiniere) e notando un leggero aumento del battito cardiaco lesse il messaggio sperando fosse il fattore che lo contattava. Il numero però era di quelli conosciuti e il testo diceva semplicemente: “Ti aspetto, stasera. T”Silvano sorrise e digitò in risposta “OK Striscia” poi, sempre sorridendo, si mise in attesa fino al rapido beep successivo “NO striscia, Tricia, str....zo”.   

Tricia era americana, una quarantina come avrebbe detto Camilleri, che viveva in paese oramai da molti anni e con cui saltuariamente Silvano si vedeva. Erano amici, no forse qualcosa di più dato che condividevano spesso lo stesso letto, ma si godevano piacevolmente la loro relazione senza programmi futuri e senza l’esasperazione della passione che talvolta può anche stravolgere le relazioni. Stavano bene insieme, si piacevano, si erano simpatici, discutevano volentieri, facevano l’amore con soddisfazione ma senza la necessità o l’obbligo di pensare al futuro. Una situazione straordinariamente serena dopo le burrasche delle loro precedenti relazioni.

Tricia si era presentata in caserma quando ancora Silvano era il Comandante. Il piantone aveva bussato alla porta del suo ufficio dicendo che una signora straniera, “un’americana”, voleva fare una denuncia e lui l’aveva fatta accomodare. L’ufficio del comandante era sufficientemente grande e ben arredato, con mobili un po’ datati ma dignitosi e una robusta scrivania in mogano che Silvano teneva completamente sgombra di carte. Quelle erano stivate in maniera disordinata all’interno degli scaffali ma sul piano della scrivania di Silvano solo il telefono (nero, a rotella come usava) un passamano di cuoio (consunto ma di vero cuoio) una lampada verde tipo ministero di ottone lucido e un portacarte munito di porta-penna.

Silvano riteneva che nel momento in cui un cittadino si presentava al comandante dei carabinieri, all’Autorità Costituita, dovesse avere la sensazione che stava veramente rivolgendosi a un’Autorità e anche l’ufficio doveva concorrere a dare quella sensazione. E’ vero che se si fosse indagato guardando nei numerosi cassetti della scrivania questa sensazione si sarebbe subito smarrita ma l’apparenza in questo caso era mantenuta. Anche il suo abbigliamento era conforme. A quel tempo Silvano lavorava in divisa, un bel completo scuro con la camicia bianca immacolata, cravatta ugualmente scura e quella bella striscia rossa, caratteristica, che rendeva ancora più imponente la sua figura slanciata di un tempo.

E certamente l’impressione che fece all’americana non fu malvagia. Se ne accorse, Silvano, dall’incertezza della ragazza, scarmigliata, quando si affacciò alla porta dell’ufficio, ma poi entrò risoluta. Poco più di trent’anni, capelli rosso chiaro indefinito, pelle bianchissima con qualche lentiggine a intramezzare il colore quasi accecante del viso, occhi celesti, molto belli anche se in quel primo incontro contornati, specie quello di destra, da una specie di velatura azzurrognola che sembrava proprio, e in effetti lo era, come si chiarì dopo, l’imbarazzante esito di una piccola ma intensa discussione coniugale (con un marito mancino, pensò Silvano memore del corso investigativo intensivo cui aveva partecipato, ma non lo disse alla signora).

“Si accomodi pure” disse Silvano

“I want denuncia-attaccò subito l’americana- vole fare denuncia….mio husband, marito, picchiato…..shit!” Con voce molto concitata e agitando nervosamente le mani……….”Shit….shit……merdoso”

“Prego si calmi signora…… si sieda per favore. Sono il comandante Silvestri….. di solito non sono io quello che raccoglie le denunce, ma visto che comunque lei è qui …dica pure, cosa le è successo? Perché vuole sporgere denuncia…….anche se forse potrei immaginare?”

“My name is Tricia, sono qui in paese per holiday, con my husband…marito. Nostro matrimonio is quasi kaput and this holiday is for…. per …..recupero….save…rescue. Ma…but it is not possible…..no possible.

Birra, birra….punches……it is no possible. Io vole denuncia mio husband…..denuncia….he is bad, too!”

Silvano conosceva solo poche frasi in inglese nonostante avesse fatto un piccolo corso con l’Arma, ma il motivo della denuncia era piuttosto chiaro e la giovane signora americana gli piacque fin da subito. Gli piacque il suo parlare quell’italiano inglesizzato che fa tanto simpatia tipico di  quei cantanti stranieri che pur stazionando da decenni nel nostro paese continuano a mantenere, la sua pelle bianchissima con le efelidi sbarazzine, i suoi occhi limpidi e soprattutto le sue mani. Si è vero che anche il suo seno più che generoso entrò negli apprezzamenti del Comandante, ma furono soprattutto le mani che lo colpirono. Mani bianche, belle, delicate, sinuose, armoniche, leggere, Silvano se le immaginò anche profumate.

La denuncia fu fatta e firmata e Silvano s’informò in seguito su cosa fosse avvenuto. Il marito se n’era tornato in America e quindi la denuncia sarebbe rimasta senza esito mentre la moglie era rimasta in paese.

Si era innamorata della campagna, della vita che scorreva più lentamente rispetto alla grande città da cui proveniva, dei rapporti personali più stretti, della bellezza dei luoghi e forse anche, si augurava Silvano, della simpatia del Comandante e della gente del posto.

Si era sistemata in una casetta modesta sulle colline vicine dove viveva dipingendo e allevando galline. Figlia di un diplomatico benestante riceveva una piccola rendita che le aveva permesso di comprarsi la casetta e di non avere problemi economici per la sua modesta esistenza. Dipingeva nature e paesaggi (anche qualche gallina che aveva a portata di mano) e ogni tanto le succedeva anche di vender qualche quadro a gente che veniva a trovarla. Si era sparsa la voce di una brava pittrice che viveva sulla collina e qualche appassionato ogni tanto si spingeva su quella stradina accidentata che portava alla sua casetta dove veniva sempre accolto amichevolmente, dove beveva un caffè, faceva due chiacchiere con la pittrice e non di rado portava via anche un quadro autografo.

Queste notizie Silvano le aveva avute di persona perché più di una volta si era recato al domicilio della denunciante. All’inizio per servizio, allo scopo di tenerla informata sulle indagini, ma poi si accorsero entrambi che le viste continuavano ma le notizie restavano sempre le stesse. Anche gli argomenti di conversazione passarono ben presto dal progredire delle indagini a ragionamenti più intimi, con la precoce scomparsa del formale lei per un più confidenziale ed intimo tu. Anche l’abbigliamento di Silvano tenne testa al cambiamento e la divisa ordinaria da carabiniere, che su Silvano faceva un bell’effetto e su cui egli basava parte del suo fascino, ben presto sembrò inutile lasciando il posto a un vestiario meno appropriato fino a diventare il solito e inconsapevole trasando.

Nel tempo, e con il proseguire degli incontri, il loro rapporto si era lentamente trasformato in qualcosa di più di una semplice conoscenza fino a diventare quello attuale, di una tenera e sincera amicizia associata a un sempre piacevole stare insieme. Silvano si era separato da tempo e il marito della signora più semplicemente era scomparso, rapidamente anche dalle loro conversazioni.

Anche durante l’allontanamento di Silvano dal paese per motivi disciplinari si erano scambiati lettere e telefonate e Tricia era stata, per molto tempo e prima dell’incontro con Chiara, il motivo principale per cui Silvano non era passato dallo sconforto più nero alla disperazione assoluta. Quello stato mentale di profonda depressione in cui cominciano a farsi strada nella mente pensieri di rimedi estremi a situazioni che possono apparire, almeno in quel momento, senza via uscita. Tricia le era stata vicina e il suo conforto, unito all’amore e al pensiero della figlia Valentina, lo avevano fatto andare avanti senza cadere nella trappola oscura della disperazione, quella condizione di disagio profondo in cui insieme al sonno si rischia di perdere anche la speranza.

(continua)

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