Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
FIDO
Lett: nc.
In italiano ha diversi significati ma nessuno corrisponde a quello dialettale di tregua, sospensione, interruzione del gioco.
Era un termine prettamente infantile, si usava in tutti i giochi e serviva come parola chiave di interruzione, una specie di “stop” con cui si fermava immediatamente il gioco.
Naturalmente chi lo pronunciava ammetteva la propria sconfitta o la propria rinuncia.
Era un po’ come il battere il palmo della mano sul tappeto del lottatore o il gettare la spugna del pugile.
Aneddoto
Quando la bambina arrivò al Pronto Soccorso, estratta dalle lamiere della Ritmo Diesel amaranto, incidentata alla curva dello Scarpellini, il medico costatò che aveva una brutta ferita alla fronte.
Preparò il tutto per la sutura ed inizio a cucire nonostante la bimba, aveva quattro anni, era il 1984, continuasse a gridare “Fido! Fido! Fido!”
FILATA
Lett: FILATA. [Filare. Lunga fila].
In dialetto la filata era il filare delle viti.
E il filo della filata era il massimo pericolo per noi ragazzi che di notte andavamo per i campi a rubare frutta. Era un passatempo piuttosto comune durante la stagione estiva e quasi tutti i ragazzi partecipavano alle ruberie che tuttavia non erano percepite come veramente tali. Erano come un gioco ed in effetti, la maggior parte delle volte, i prelievi si limitavano a poche unità prelevate per uso personale, con pochi danni per il contadino. Le ciliegie erano una preda ambita ma spesso gli alberi, carichi di frutta, erano ben sorvegliati dai proprietari e il prelievo veniva effettuato con qualche rischio, anche fisico. Su qualche albero si poteva trovare anche un cartello di avvertimento: “avvelenato”, un inutile tentativo di sfuggire alla caccia. Molte spedizioni per la ricerca di ciliegie avvenivano nel territorio di Avane, nella cui piana i ciliegi erano molto numerosi. L’uva, quella da tavola, la Salamanna, la Regina, lo Zibibbo, le palle di gatto era un’altra frutta molto ricercata. L’aveva Amerigo dell’Antonelli, nella Chiusa, ed in questo caso il rischio era la scialappa [Gialappa: pianta originaria del Messico dai cui rizomi essiccati si estrae una sostanza dotata di forte attività purgante]. Il contadino quando si ammoscava che i ragazzi erano in procinto di avvicinarsi all’uva cospargeva di questa polvere purgante i grappoli e chi li mangiava nel breve periodo (l’effetto scompariva in pochi giorni) aveva una forte diarrea come punizione per il ladrocinio.
La caccia però più partecipata ed ambita era però quella che si effettuava ai cocomeri.
I contadini conoscevano bene questo rischio e cercavano in tutti i modi di evitarlo coltivando i cocomeri in zone appartate, impervie, sorvegliate, talvolta addirittura nascoste come in mezzo a campi seminati a granturco affinché le alte messi facessero da nascondiglio.
Il filo di ferro della filata, se non vi sono tralci di vite ad indicarlo, di notte è praticamente invisibile e diventa pericolosissimo in caso di fuga precipitosa, quando la fretta fa venir meno l’attenzione necessaria per evitarlo. Non era infrequente d’estate vedere in faccia ai ragazzi righe rosso sangue, segno evidente di impatto con qualche filo teso.
Se pur raramente queste scorribande notturne, di solito innocui prelevamenti di poche unità per uso personale, diventavano veri e propri atti di vandalismo con distruzione eccessiva di frutta che veniva sciupata inutilmente ed anche qualche isolato episodio di spregio (azione tendente a fare dispetto). L’episodio più famoso di spregio è quello del tassellamento di tutti i cocomeri che Cunde aveva nell’orto sul Serchio: dopo il passaggio dei ragazzi-vandali tutti i cocomeri, anche i più piccoli, avevano il loro bel tassellino!
(Tassello si chiama quell’apertura quadrangolare praticata sulla buccia del cocomero per vedere la polpa sottostante e giudicare il suo grado di maturazione).
FIO
Lett: FICO. [Pianta delle moracee anche identificato col suo frutto].
Dire frutto è improprio perché i veri frutti del fico sono i piccoli semi contenuti nel ricettacolo carnoso e saporito che noi mangiamo e che prende il nome di siconio.
Esistono diverse voci dialettali derivanti da fico.
Fio pallone era un frutto non ancora maturo, grosso ma non ancora dolce e per estensione così era indicata la persona grande e grossa e cogliona.
Fiazzola era invece chiamato il fico ancora acerbo.
[In italiano “ficazzola” significa cosa sgualcita, schiacciata, pesta].
Fio Longarello era la varietà che aveva in corte Secondo quando era alla guerra in Africa.
Fiolesso indicava un incapace, lento, antipatico.
Fiolungo un ragazzo gracile, alto e lungo per la sua età.
Fioso è termine ancora molto utilizzato per indicare chi mal sopporta dolore, o sofferenza di lieve entità, ed anche chi si lamenta in continuazione dei propri malanni, seppur di poco conto.
“Come se’ fioso!”, “’Un fa’ tanto ‘r fioso!” dicevano le mamme ai bambini che piagnucolavano e strillavano già molto prima di entrare dal dottore per una visita.
Anche “fare i fii” ha un identico significato.
Fia invece aveva ed ha un significato completamente diverso e stava ad indicare l’organo genitale femminile e, per estensione, le ragazze in genere. Ragazze comunque piacenti, poichè per quelle non piacenti veniva usato l’epiteto meno lusinghiero di scarbatre (un tipo di pesce liscoso e poco apprezzato).
Alcuni azzardano l’ipotesi che il termine sia derivato per analogia dalle fessure che si aprono nel ventre del fico maturo, da cui cola l’umidiccio del succo zuccherino, la dolcissima gocciolina.
FOONE
Lett: nc.
Nella lingua italiana esiste la parola FOCONE che indica un [grande fuoco]. Stesso nome prende quel [forellino presente nella culatta delle vecchie armi da fuoco, da dove si incendiava la polvere da sparo]. Fuoco è anche il [punto dove si concentrano i raggi luminosi riflessi da uno specchio curvo o da una lente]. Il foone aveva caratteristiche assimilabili ad entrambi. Faceva un grande fuoco, una grande luce, e per far questo utilizzava proprio una parabola in grado di concentrare i raggi luminosi.
Era uno dei tanti apparecchi che utilizzavano a quei tempi le proprietà illuminanti dell’acetilene, un gas combustibile prodotto dalla unione del carburo di calcio con l’acqua.
L’energia era ancora un grande lusso per le famiglie. L’illuminazione notturna si otteneva per mezzo di candele di cera o di sego e di lumi a olio o a petrolio, per cui l’avvento del gas acetilene rappresentò un notevole progresso per la qualità della vita degli abitanti delle campagne.
Le candele facevano una luce modesta, i lumi a combustibile liquido puzzavano e lasciavano residui nerastri nell’aria, nelle narici e nelle abitazioni, il gas era invece di facile produzione e facilmente reperibile, sotto forma del precursore chimico, presso le botteghe del paese.
Le lampade ad acetilene furono utilizzate in tutti i settori dove era necessario avere luce: per la cucina e le abitazioni in generale, per le gallerie delle miniere, per i fanali delle biciclette e per la caccia e la pesca con il foone.
L’attrezzo era formato da una camera superiore contenente acqua, ed una inferiore dove era posto il carburo di calcio che si presentava in blocchetti grigiastri, farinosi. Tramite una piccola rotella posta sopra l’apparecchio si faceva gocciolare l’acqua sopra il carburo, nel recipiente sottostante, con immediato sviluppo di acetilene che fuoriusciva da due beccucci posti al centro di una grande parabola di ferro lucido, riflettente. Una volta acceso il gas sviluppava una vivida luce, resa ancora più intensa dalla concentrazione dei raggi operata dalla parabola riflettente. Era un attrezzo di uso domestico quando era necessaria una buona illuminazione, ma il suo uso prevalente fu quello della caccia e della pesca. Usato di notte, molto spesso di frodo, la forte luce abbagliava gli animali che venivano facilmente catturati.