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La sinistra senza identità già rimpiange Berlusconi
Da De Benedetti alla minoranza del Pd, adesso il nemico storico viene rivalutato. "Con lui meno presente non sappiamo più chi siamo". Autocritica di Letta e Civati
Paolo Bracalini - Sab, 19/09/2015 – 08:22
Ma se l'avesse fatto Berlusconi? A sinistra ci si guarda indietro e si scopre, con uno stupore che quasi imbarazza, una specie di rimpianto.
Quando c'era lui, Berlusconi, in fondo era tutto più semplice: il bene di qua, il male di là. L'abolizione dell'articolo 18, la riforma del Senato e la nuova Camera unica, la legge elettorale cucita su misura, le nomine dei fidati nelle società pubbliche, il mercato di voti tra i senatori (lo chiamano scouting , molto più elegante), la guerra al sindacato. Se l'avesse fatto Berlusconi sarebbe stato semplice trovare l'etichetta: attentati alla Costituzione, prove di regime, monarchia di fatto, disprezzo delle istituzioni. Come semplice era per la sinistra trovare lì, per pura contrapposizione, la propria identità. Ma se le stesse cose le fa il segretario del Pd? Che gli dici? È finita che la sinistra, fatto (quasi) fuori Berlusconi, l'arcinemico ventennale, invece di consumare la propria vittoria storica si ritrova con un paradosso micidiale: la fine degli ideali.
A spiegarlo è un osservatore come Carlo De Benedetti, patron di Repubblica e anche lui storico avversario (anche in tribunale) di Berlusconi: «Non bisogna essere degli scienziati della politica per capire che da quando Berlusconi non è più presente come lo era un tempo la sinistra è rimasta letteralmente senza ideali - spiega De Benedetti intervistato dal Foglio - Per molti è stata una disfatta: che cosa siamo noi senza Berlusconi? E soprattutto: cosa interpretiamo? Come facciamo a stare insieme senza il grande aggregatore?». Quasi per telepatia nello stesso giorno esce un quotidiano nato nell'età dell'oro dell'antiberlusconismo, il Fatto , con questo titolo d'apertura: «Minacce, ricatti, compravendite. Ma se lo facesse Berlusconi?». Quel che era inaccettabile prima, insomma, diventa digeribile con Renzi, al massimo qualche bruciore di stomaco ma di più non si può fare una volta persi gli ideali (la guerra al nemico Berlusconi). Nessuna rivolta di piazza, spariti i girotondi, finito l'inchiostro per i raccoglitori di firme e appelli indignati. Al premier del Pd si condona quel che non sarebbe mai passato con il Cavaliere. Per il solo fatto di essere lui, e non il leader del Pd.
E così nella sinistra orfana del «grande aggregatore», sbocciano imprevedibili rivalutazioni, soprendenti riscoperte. «C'è un aspetto un po' padronale e autoritario del ragazzo (Renzi, ndr ) - dice uno come Landini, segretario della Fiom - Berlusconi di fronte a manifestazioni e scioperi si confrontò e discusse con i sindacati, invece Renzi usa la crisi del sistema politico italiano per far passare le proposte della Confindustria». Per non parlare della sinistra Pd, già nostalgica. Il senatore Corradino Mineo, minoranza Pd, nota che già Berlusconi aveva cercato di modificare l'articolo 18, ma «con più garbo» di Renzi. Chapeau .
Anche Pippo Civati, ex renziano della prima ora, quindi Pd prima di uscirne per portarsi più a sinistra, vede lo stesso paradosso: «Un uomo solo al comando, decido tutto io: se una cosa così l'avesse fatta Berlusconi, io sarei in girotondo permanente». Prove inconfutabili di ribalderia e mancanza di senso civico, come candidare un condannato, diventano in fondo questioni secondarie, e a notarlo è stato Enrico Letta, ex premier del Pd: «Se Berlusconi avesse candidato a governatore una persona nelle condizioni di De Luca, il Pd sarebbe sceso in piazza - ha detto in tv, prendendosi una piccola vendetta - La doppia morale è una cosa che non posso accettare e la denuncio quando accade». Stai a vedere che a sinistra stavano meglio quando c'era lui, il «grande aggregatore».
IL GIORNALE.it del 19.9.15