Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
La filastrocca bugiarda
Sogna e su’ prati uggiosi dalla guazza,
‘velle serate lunghe e appicciose
‘vando ‘r calore ar sòlo ti stramazza
e amore fa ‘ndorcì’ le più scontrose.
Cantò ‘r bimbo pe’ ffalla su’ regina,
promisse una vita degna di pascià,
ori, gioielli, come re di Cina,
ma ‘nvece ora ni tocca ‘ntegamà’.
Chiusa coll’amïe fa lippe lappe,
ora costretta tutta la nottata
a fa’ vienì’ e sòrdi dalle ‘hiappe.
Chi l’averà pe’ pprimo araccontata
che ‘velle beschie, messe sotto vetro,
cianno la ‘assaforte ner didietro?
La filastrocca
Lucciola, lucciola
vien da me,
ti darò pan di re;
pan di re e di regina
lucciola, lucciola
vien vicina!
I bambini correvano nell’erba umida del prato.
Erano felici di quella libertà concessa loro dalle mamme riunite a parlare sotto il portico dopo la fine delle faccende domestiche. Le donne sapevano che nulla sarebbe successo, non c’erano auto in giro, i cani erano legati e non c’erano nemmeno i famosi perïoli dei quali temevano le massaie anziane.
La luna illuminava dolcemente il frutteto alla fine del campo d’erba medica; si potevano intravedere i peschi che portavano già grossi frutti verdi, ancora troppo acerbi per essere addentati, anche se qualche tentativo era già stato fatto, con le solite sgridate del capoccia:
“Lassatele sta’, en dure come ‘r muro, vi fan male alla pancia e se ‘un vi fan male loro, ve lo faccio io con du’ nocchini ner ceppione, o duri ‘ome le pina verde!”
Mancava poco alla fine della scuola, i compiti erano diradati, c’era più tempo la sera per giocare e si stava bene al fresco della notte, i genitori erano raddolciti come il clima e poi erano arrivate le lucciole.
Dio come erano belle!
Il prato era un cielo rovesciato, un firmamento a portata di mano dove non c’era il turbamento della immensità della quantità che sconvolgeva le giovani menti dei ragazzi e quelle stelle, con gli amici, potevi anche azzardarti a contarle, se non si fossero spente lì e accese più in là riconfondendoti in continuazione e facendoti ridere.
Con i pipistrelli che si intravedevano alla lampadina della strada, (tutti gli altri uccelli erano a dormire), le lucciole erano i soli animali delle notti di maggio.
Il buio salvava le lucertole dalla caccia fatta loro con uno stelo di avena con la cima fatta ad anello tipo nodo scorsoio; così pure i passerotti, che l’amore rendeva più avvicinabili, si erano salvati dalle sassate con le fionde fatte con forcelle di olivo o di sanguinella, elastici di gomme di rote di camio, gialle, e stoppaccini di pezzetti di coio di tomaia di zoccoli.
Le mamme avevano promesso, ai maschi, una carabina ad aria compressa, la mitica “Diana 28”, se fossero passati a scuola e quell’idea non faceva dormire, non faceva mai scorrere il tempo.
Nella notte si sentivano le voci di altre bande di ragazzini del paese che abitavano in case coloniche sparse nella campagna. Le grida erano o sembravano vicine, ma non era permesso di andare a trovare i coetanei, solo l’indomani a scuola si sarebbe saputo il perché di tanto chiasso.
A rimpiattarello, alla cavallina, alla settimana, ma dopo un poco tutti a giocare a chiappare le lucciole!
Tutti, piccolini, più grandicelli e ragazzetti, a correre dietro quelle lucine.
Quante vittime si facevano, involontariamente, nello sbattere le mani per la cattura!
E quanta delusione nel vedere spengersi, con la vita, anche quel tremolio che ti aveva stregato.
Le lucciole erano insensibili al chiasso che i bambini facevano. La loro sola preoccupazione era quella, i ragazzi lo avrebbero capito tanti anni dopo, di cercare la compagna nascosta nell’erba, ma sembrava che i loro zig-zag si moltiplicassero e la velocità aumentasse e una cattura era allora motivo di urla di gioia, era un piccolo trionfo.
“ Ora basta , su bambini, a letto!”
Niente.
Al terzo, quarto chiamo, a qualcuno venne in mente un acchiapparello.
“Via, ora prendetene due o tre per uno, mettetele sotto un bicchiere rovesciato e andate svelti a letto che domattina, al posto delle lucciole, ci troverete un soldino.”
La cosa funzionò, anche se poi qualche genitore maledì chi l’aveva detto per primo, non per le monete spese per niente, ma per il sonno perso nell’attesa che i figli prendessero il loro, perché la promessa andava mantenuta.
Una parola è una parola!
Fra curiosità e natura
Lucciola è il nome comune di vari coleotteri della famiglia Lampyridae. Dalle loro uova nascono larve allungate che emettono anch’esse una luce diffusa. Sono solamente i maschi ad avere le ali che usano, nelle notti di inizio estate, per sfarfallare alla ricerca delle femmine che se stanno a terra ad emettere una luce continua. Essi accendono e spengono i due ultimi segmenti dell’addome e, quando avvistano una femmina, aumentano il ritmo delle segnalazioni per poi precipitarsi a terra per l’accoppiamento.
Se vogliamo essere pedanti naturalisti, possiamo dire che gli ultimi segmenti addominali dei maschi delle lucciole sono costituiti da uno strato adiposo nel quale un fermento ossidante, la luciferasi, agisce sulla luciferina, una sostanza lipidica ed origina una luce fredda, riflessa da uno strato di concrezioni uriche.
Come sarebbe bello pensare che le lucciole lampeggiano per un privilegio concesso loro dagli dei a perenne ricordo dell’amore che si cerca e si trova anche nelle tenebre!
La lucciola è considerata anche simbolo di Cristo perché la femmina della specie Lampyris splendidula, una delle nostre comuni lucciole, ha sulla testa il simbolo greco di Gesù, una iota sopra una chi ( I/X ).
In Sicilia le lucciole sono chiamate “le candeline dei pastori” perché illuminano le notti ai pascoli.
In Toscana si canta:
Lucciola lucciola, vien da me,
ti darò pan di re
con dell’ova affrittellate oppure pan di re e di regina
carne secca e bastonate. lucciola lucciola vien vicina.
Le bastonate sono quelle che verranno date al grano maturo per la battitura, dato che dopo l’arrivo delle lucciole il grano comincia a maturare e, nella seconda versione della filastrocca, l’esortazione ad avvicinarsi è per la nota storiella del soldino trovato, al mattino, sotto il bicchiere capovolto dove era stata imprigionata la luccioletta presa la sera prima.
Lucciola veniva chiamata la “maschera”, colui che guidava lo spettatore al posto a sedere nei vecchi cinema accendendo e spengendo ad intermittenza la lampadina tascabile.
Chi vuole ingannare si dice che “mostra lucciole per lanterne”.
Agli inizi del nostro secolo si è accesa un’altra lucciola che richiama le abitudini amorose dei coleotteri: colei che “adesca” il maschio sotto un lampione complice, come Cherubini e Bixio hanno fatto cantare in “Lucciole vagabonde”:
Quando più fitta l’oscurità
scende sulla città
lucciole ansiose di libertà
noi lasciamo i bassifondi.
Senza una meta c’incamminiam
e sotto a un lampion,
quando la ronda non incontriam,
cantiamo la canzon:
Noi siam come le lucciole
brilliamo nelle tenebre,
schiave di un mondo brutal
noi siamo i fior del mal….