Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Riassunto delle puntate precedenti
Due pescatori abusivi trovano in Bocca il cadavere di un nero. Sembra solo un affogato ma a fare le indagini del caso viene richiamato il maresciallo Silvestri, in congedo temporaneo. La morte di un altro nero, investito da un mezzo pesante sulla strada del mare appare come una strana coindìcidenza. Silvano brancola nel buio fino a che compare un biglietto anonimo con uno strano disegno che indica qualcosda oltre la curva della strada del mare. Si tratta ora di avere il permesso per andare a controllare di persona. Un primo contatto con il fattore del conte rivela che la zona è di proprietà della contessa che vive a Londra. E' necessario quindi il permesso di un altro fattore, che Silvano tenta di rintracciare. Il fattore, una volta rintracciato, sembra disponibile a rilasciare il permesso ma ben presto scompare e a Silvano non resta che andare a parlare col Direttore della Villa per poter finalmente andare a vedere cosa si cela dietro alla strano disegno oltre la curva della via del Mare. Il direttore non può fare nulla e Silvano, alla fine decide di violare egli stesso la proprietà per andare a vedere cosa si cela dietro lo strano disegno.
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Prese la Punto (che non si aspettava di vederlo così presto) e imboccò la via del Mare. La sua macchina in paese era conosciuta ma erano appena le cinque del mattino ed era ancora buio, nessun pericolo di essere visti e riconosciuti. La strada era comunque deserta e Silvano incontrò solamente un furgoncino che veniva in senso opposto. Superò la rotondina, percorse il lungo rettilineo, oltrepassò la curva del mare e cercò un posto dovere potere lasciare l'auto. Aveva visto, quando aveva fatto il sopralluogo dalla strada qualche settimana prima, che poco più avanti c'era una stradina che s’inoltrava nel bosco il cui cancello, un po' sbilenco e arrugginito, sembrava aperto. Il sospetto era fortunatamente fondato e Silvano poté entrare con l'auto nel vialetto. S’inoltrò nel viottolo per alcune decine di metri e nascose l’auto dietro la vegetazione.
Spense, scese e calcolò di essere a non più di un centinaio di metri dalla curva. Lasciò la stradina e s’inoltrò nel bosco in direzione della curva rendendosi subito conto del forte rumore che stava facendo camminando sugli aghi di pino e i rami spezzati al suolo ed il fruscìo della vegetazione. E’ vero che non sembrava ci fosse nessuno: il silenzio, quando lui si arrestava, era totale. Nessun rumore se non quello del bosco, nessuna luce intorno che facesse pensare a qualche presenza umana ma siccome, pensò Silvano, si trovava in un luogo che poteva nascondere qualcosa di losco, la prudenza non sarebbe stata mai troppa. Cercò allora di trovare un passettino più battuto per fare meno rumore ma al buio era piuttosto difficile per cui tornò indietro, ritrovò la stradina battuta e si avvicinò alla curva passando dall'esterno della rete, dalla strada asfaltata. Nessuna macchina fortunatamente passò durante l'avvicinamento alla curva, una gran fortuna perché la strada asfaltata era priva di nascondigli, delimitata com'era dalla rete da entrambi i lati. Certo a quell’ora non erano molte le macchine che passavano per andare alla marina ma qualche pescatore poteva avere scelto quel giorno per una battuta di pesca, e l’orario sarebbe stato quello giusto. Quando era andato qualche volta con Nanni si era sempre lamentato dell’orario antelucano in cui i disgraziati pescatori devono alzarsi dal letto per arrivare in tempo a “prendere il posto”.
Rete che ora alla curva doveva essere superata per poter entrare nel bosco. Silvano guardò con attenzione cercando uno di quei varchi visti in precedenza che potesse permettergli il passaggio, ma intorno non ne vide. Probabilmente la curva non era luogo di accesso preferito per tutti quelli che abusivamente si recavano nel bosco per fare funghi o bracconaggio. Sospirando Silvano cercò di trovare un appiglio per scavalcare, ma la rete sembrava invalicabile salvo che uno avesse con se qualche arnese da taglio o fosse una persona atletica capace di scavalcare. Silvano si rese conto di non rientrare in nessuna delle due categorie e si concentrò allora sul cancello. Questo era un normale cancello di ferro a robuste barre verticali tinte di verde con solo qualche accenno di ruggine. Terminava in alto con una barra orizzontale che le univa e che non presentava nessuno strumento di protezione, tipo filo spinato o punte acuminate per evitare o rendere difficoltoso uno scavalcamento.
Il cancello sembrava a prima vista non permettere nessun tipo di appiglio, tranne forse un piccolo appoggio del piede a livello della serratura appena sporgente. Non era un granché ma si poteva provare. Silvano si aggrappò con entrambe le mani in alto, poggiò il piede destro sulla serratura e con un certo sforzo si tirò su. Ora era ritto al cancello su cui sporgeva con tutta la testa e una parte del tronco. Rimase lì per un po' a riflettere, immobile ritto sul piede destro che piano piano cominciò a tremare segnalando in tal modo la sua condizione di difficoltà, per cui costretto a darsi una spinta decisa tirandosi su con le braccia e appoggiandosi di pancia sul bordo superiore del cancello.
Basculò per un po' in quella scomoda posizione avanti e indietro riflettendo sul da farsi (e pensò a quanto fosse ridicolo in quella posizione, se lo vedeva qualcuno, un uomo grande e grosso disteso di pancia su un cancello, mezzo di qua e mezzo di la). Tentò alla fine di appoggiare prima una coscia e poi un piede sul bordo superiore del cancello per scavalcare ma nel momento precisò in cui pensò, con dolore, che si sarebbe sicuramente ucciso o troncato qualcosa........... precipitò.
Il fianco e la spalla sinistra gli dolevano molto ma dopo qualche minuto di attesa decise che l'anca e la spalla avevano fortunatamente resistito all'urto sul terreno visto che ancora erano in grado, sia pure con dolore, di rispondere ai suoi comandi.
Rimase sdraiato in terra ancora per qualche minuto per riaversi dall’urto e dal dolore. Poi decise di provare a mettersi seduto, cosa che gli riuscì con grande affanno e lo fece pensare, come tante altre volte, che le sigarette alla fine lo avrebbero ucciso.
Anche un ginocchio e la spalla destra gli dolevano, ma in maniera sopportabile, segno che in fin dei conti non si era fatto troppo male. Sicuramente il terreno morbido e ricoperto di foglie e residui vegetali aveva contribuito a rendere meno traumatico il contatto col suolo.
Ora si era fatto più chiaro e nonostante fosse ancora buio i contorni dei fitti alberi del bosco e della vegetazione bassa si erano fatti meno indistinti. O forse semplicemente i suoi occhi si stavano progressivamente abituando al buio.
Si rialzò, alla fine, e s’incamminò zoppicando e lentamente verso l'interno del bosco cercando di rimanere nella direzione della strada come indicato dal disegno. Dopo qualche decina di metri si accorse che nella zona che ora stava percorrendo, pur non essendo una vera e propria stradina, la vegetazione appariva meno fitta, più rada, come se fosse un luogo più frequentato. Sempre zoppicando si spinse ancora avanti nella vegetazione con la speranza di trovare qualcosa.
Per tutta la sua vita Silvano non ricordò mai quanto tempo fosse passato da quando si era inoltrato nella macchia e nemmeno quanta distanza avesse percorso all'interno del bosco. Ricordò sempre invece molto bene di avere sentito prima l’urto, che lo gettò a terra, e solo un secondo dopo il rumore dello sparo che gli era rimbombato nelle orecchie.
Non era armato, non ci aveva pensato e non credeva che in quella spedizione avesse avuto bisogno di armi, ma in quel momento, in quell’istante che durò un’eternità, ebbe forte la sensazione di essere una vittima indifesa..........ed ebbe paura. Rimase a terra più che stordito impaurito, in silenzio, in attesa, con il cuore che gli batteva a mille. Il dolore e il bruciore al braccio vennero dopo, quando provò a muoversi e si rese conto che quello che stava vivendo non era un sogno ma realtà .........gli avevano sparato!!
Continuò a rimanere a terra immobile, in attesa e in ascolto tenendosi il braccio che comunque e per fortuna si muoveva e rispondeva ai comandi. Era oramai tutto un dolore, ma non era quello che lo disturbava. Lo disturbava non avere la possibilità di difendersi in caso di necessità, nel caso l’aggressore si fosse fatto avanti. Non solo non aveva la pistola ma era conciato così male che non avrebbe potuto fare nessuna resistenza nel caso lo sparatore avesse voluto, per così dire, finire il lavoro. Ma perché poi…….ma la risposta non lo consolava affatto e aveva paura.
Passarono alcuni lunghi minuti e non successe niente. Il bosco parlava la sua voce di sempre con i suoi rumori, scricchiolii, versi di strani animali e niente sembrava disturbare quel silenzio sonoro. Il dolore aumentò e costrinse Silvano a muoversi. Con cautela, lentamente, tenendosi il braccio ferito si alzò da terra e tenendo la testa bassa in una puerile e inutile tecnica di difesa, piano piano si diresse verso la macchina passando dalla parte interna del bosco. La paura che lo attanagliava lo costrinse ai primi passi lenti ma poi i passi si fecero più veloci, sempre più veloci fino quasi ad una corsa, una fuga dal pericolo fino alla salvezza della propria auto.
La Punto era ancora li. Silvano aprì la portiera con difficoltà perché la mano gli tremava ed entrò. Una volta dentro non si sentì ancora completamente al sicuro. La Punto dimostrò di avere capito la drammaticità della situazione e si avviò al primo colpo. Silvano ingranò la retromarcia e ringraziò mentalmente il cielo di non aver chiuso il cancello da cui era entrato. Entrò in velocità a retromarcia sulla strada asfaltata ringraziando mentalmente il cielo che non arrivasse nessuno e poi con una grande sgassata, con allegata emissione di nuvola di fumo nero (tanta a era la sofferenza della Punto) prese la via di casa. Solo dopo alcune centinaia di metri cominciò a sentirsi meglio e riuscì finalmente a tirare un grosso respiro di sollievo.
"Mi hanno sparato! MI HANNO SPARATO!!!!!!"
Si fermò alla piccola rotonda alla fine della strada e aspettò qualche minuto per smettere di tremare. Ci volle più di qualche minuto mentre nella sua mente continuavano a vorticare sempre le solite parole 'mi hanno sparato!' e poi si guardò il braccio sinistro ferito. Faceva male, il giaccone presentava solo due piccoli fori mentre il maglione grigio era zuppo di sangue, ma il braccio si muoveva bene per cui sembrava solo una ferita superficiale e l'osso non sembrava rotto. Poteva andare al Pronto Soccorso ma come poteva giustificare una ferita del genere. Una ferita da arma da fuoco comporta sempre una denuncia, relazioni, domande. E poi bisognava vedere la gravità prima di decidere.
Guardò l'orologio, erano oramai le 7,30. Il dottor Tabucchi fra poco sarebbe stato in ambulatorio. Mise in moto e tornò in paese fino all'ambulatorio che il medico aveva in comune con altri colleghi..La sua auto non c'era ma l’ambulatorio era aperto. Entrò e disse all'infermiere che era una cosa urgente, che si era ferito in casa e che aveva bisogno urgente di una medicazione. L'infermiere, che Silvano non conosceva non essendo un frequentatore abituale di ambulatori, aveva indosso una gabbanella bianca d’ordinanza con appeso un cartellino con scritto “I.P. Giulio” e non fece domande. Lo accompagnò direttamente in medicheria, una stanzetta odorosa di medicamenti con un lettino di ferro da un lato, un armadietto bianco a vari scomparti dal lato opposto ed un tavolinetto con alcuni contenitori chiusi che Silvano si immaginò contenenti vari ferri chirurgici e disinfettanti. Lo fece sedere e lo invitò intanto a spogliarsi per vedere la ferita.
"Forse è meglio che aspetti Paolo" si difese Silvano cercando di nascondere il braccio ferito che teneva con la mano destra.
"Mah..........intanto togliamo i vestiti così vediamo la ferita, la medichiamo e poi sentiamo Paolo cosa vuol fare…… se servono dei punti……. l'antitetanica, un antibiotico"
" Senta, scusi……..Giulio…… non se ne abbia a male ma.......preferisco aspettare Paolo sa.......sono un po' impressionabile, magari non guardo......!"
"Come crede, però ..........lei é il maresciallo Silvestri, io la conosco........mia figlia fece la comunione con la sua..........Valentina mi pare, qualche anno fa.........non credo sia così facilmente impressionabile.........comunque se vuole aspettiamo pure Paolo"
".............Va bene.......vediamo intanto"
Tolto il giaccone, la manica del maglione apparve intrisa di sangue. Con molta attenzione e qualche lamento fra i denti il maglione fu tolto, poi la camicia e il braccio fu scoperto. C'erano due buchini, rotondi e un po' sfrangiati, che gemevano ancora un po' di sangue.
"E' …grave?" chiese subito Silvano.
"Non mi sembra -rispose l'infermiere- sono solo due piccole ferite rotonde piuttosto superficiali……a me non sembra niente di importante. Aspettiamo Paolo, tanto fra poco dovrebbe essere qui……certo, però sono strani ............ma come se li è fatti maresciallo?"
"Stamani.....in garage...senta ma di solito Paolo quando arriva?"
"Dovrebbe arrivare alle otto, c'è già un po' di gente in attesa li fuori……. ma di solito lui se la prende comoda…….prima delle otto e mezzo è difficile……va in bagno con calma….poi fa colazione…."
"Senta.......mi potrebbe fare il piacere di avvertirlo, appena arriva, che io sono qui che l'aspetto?"
La porta della medicheria si aprì appena qualche minuto prima delle nove e apparve Paolo, faccia sconvolta e scarmigliato con la solita ritrosa ribelle, evidenti residui di una buona notte di sonno.
"Oh Silvano ma cosa cazzo ci fai qui a quest'ora? Cosa ti sei fatto..... oh rincoglionito?" Silvano pensò che il parlare forbito e la gentilezza non erano pari alla professionalità di Paolo come medico.
(continua)