Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Anche io ho partecipato, sia pure marginalmente, a quel grande contenitore di speranze, quel periodo straordinario di passione politica e di etica sociale che era il ’68, dove i grandi ideali si facevano strada nella mente delle persone e cercavano una via per concretizzarsi nella struttura della società civile, anche se destinati purtroppo ad un penoso fallimento.
I risultati negativi di questo ambizioso progetto nel nostro paese sono oggi sotto gli occhi di tutti, aggravati colpevolmente da una classe politica che in molti casi recenti non fa che accentuare la decadenza di quei nobili ideali per cui noi ci siamo battuti ed esposti in tutte le piazze d'Italia, in quei tempi che ora ci appaiono addirittura eroici.
Ma al di fuori della politica, pane quotidiano di quei tempi ora sostituita (malamente?) dai social network, c’è una cosa che ricordo con piacere e rimpiango di quei tempi, la moda della minigonna.
Oltre che un tipo di abbigliamento la minigonna ha rappresentato in quegli anni un modo tangibile ed evidente di mostrare al mondo la voglia di cambiamento, di modernità, di novità, forse anche un po’ di innocua trasgressione.
Era l’intera categoria dei giovani che voleva in ogni modo dichiarare la voglia di mutamento, la necessità di una rivoluzione prima di tutto culturale, che si doveva esprimere non solo nel modo di vestire e di comportarsi ma anche in quello di pensare e in quello di agire in una società che stava cambiando. L’utopia e la speranza di una società nuova e moderna in cui i lavoratori smettevano di essere schiavi al servizio del padrone e chiedevano di diventare finalmente cittadini, quella in cui le donne smettevano i fazzoletti neri in testa e finalmente uscivano di casa urlando i loro diritti non certo negati ma sicuramente soffocati dalla famiglia patriarcale, dallo stato ancora molto tiepido sulle norme che le riguardavano, dalla società civile che poneva ancora solo l’uomo al centro di tutto.
La minigonna rappresentava sicuramente tutto questo ma per noi ragazzi che avevamo ancora tutti i nostri ormoni a pronta presa, mascherati ma non completamente sconfitti dal nostro quotidiano impegno politico, rappresentava un abbigliamento straordinariamente sensuale che sublimava le nostre pulsioni erotiche che però in quegli anni la morale comune imponeva ancora di tenete a freno.
Sognavamo paradisi nascosti, scenari straordinari, piaceri paradisiaci che quella porzione di carne scoperta in più faceva solo immaginare.
Perché è l’immaginazione il vero senso dell’eros.
Non la vista, né l’odore e nemmeno il tatto, ma la nostra immaginazione, la nostra fantasia.
Oggi la nostra fantasia erotica di maschi normal-ormonali è messa a dura prova. C’è poco da immaginare del corpo delle nostre soubrette, delle nostre veline, delle nostre star, delle nostre vamp.
Pare ci sia una gara fra di loro a chi ha meno centimetri coperti, una gara che induce anche qualcuna di queste, magari in deficit di visione e/o gradimento, a non portare nemmeno le regolari sia pur ridotte mutandine. E va in trasmissione con la minigonna ridottissima e la cosina al vento, facendo finta di coprirsi stirandosi la tela ma con il pensiero e la speranza che qualcosa succeda, un gioco, uno scherzo col conduttore, un accavallamento maldestro, qualcosa insomma che dimostri l’audacia e compaia la sera dopo su Striscia la notizia e venga cliccato su Youtube.
Oltre che diminuire il nostro eros ci fanno anche molta pena, si rendono ridicole e stimolano la fantasia magari solo di qualche deficiente maniaco (quelli si trovano sempre).
Queste dovrebbero sapere che a noi maschi stimola di più la visione intrigante di due belle gambe che spuntano da una bella gonna portata con stile e signorilità che le loro cosine sbandierate al vento e al pubblico dominio. Perché fondamentalmente l’eros è immaginazione
dove non ci sono punti neri, brufoli, inestetismi, brutture, cicatrici, sfregi depilatori, cattivi odori.
Anche l’immagine della donna è molto cambiata. Le donne corpulente di una volta tradivano forse il senso di maternità che ha sempre coinvolto il popolo italico, quei seni grandi segno di protezione e benessere, le forme accentuate che identificavano una donna forte, lavoratrice, la massaia su cui si fondava la famiglia perché il padre era spesso assente per lavoro, per guerra, per malattia.
Ora la figura femminile è molto cambiata ma non possiamo certo considerare come archetipo della donna quella schiera di scheletri scomposti e automatici che percorrono inespressive le passerelle degli stilisti, quella specie di manichini, che una volta definivamo “manici di scopa” a rappresentare il segno tangibile della mancanza di quell’attributo fondamentale della donna che è la femminilità.
Che differenza c’è fra un giovane e atletico maschio e una di quelle piatte e amorfe figure che scorrazzano fra due ali di ricche signore che sono lì soprattutto per farsi vedere da altri loro simili nella loro stessa identica situazione e che come minimo hanno 4 o 5 taglie di troppo?
Alla lunga si corre veramente il rischio di preferire il maschio, almeno con quello si può giocare a tennis o parlare di sport o di donne e di motori!
E tutto questo sarebbe poco male, i tempi che cambiano, la morale che muta, se non ci fosse il forte rischio di imitazione e la TV ha purtroppo questo straordinario potere di imporre modelli, come sanno bene i nostri politici.
La magrezza come obbiettivo assoluto spinta talvolta fino all’anoressia, il sesso scaduto a semplice divertimento usa e getta, la trasgressione come regola di vita, l’apparire e il possedere come aspirazione principale, la superficialità e la maleducazione portare con noncuranza, l’ignoranza diffusa, l’infrazione delle regole per divertimento, noia o rifiuto ne sono il frutto finale che scavano profondi solchi nelle menti dei nostri giovani.
Solo la conoscenza e la cultura può salvarci da tutto questo ed è giusto e rassicurante sperare in una nuova generazione di giovani preparati e intelligenti che sappiano riprendere gli antichi e nobili ideali e finalmente realizzarli in una nuova e migliore società, visto che noi del ’68 purtroppo non ci siamo riusciti.