Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA sono la figlia della "Cocca".
Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.
Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è ancora comunità.
Avete mai pensato alla sensazione di stupore, di meraviglia, di leggero imbarazzo che proviamo dinanzi alla bellezza fisica dei nostri genitori da giovani? C’ è una fascinazione segreta che te li fa osservare pensando alla loro evidente seduttività.
Anche mio padre era bellissimo, con lo sguardo ceruleo che ti trapassa dalle vecchie foto e purtroppo con la sigaretta sempre tra le mani. Ed è probabilmente lo stesso sguardo e la stessa nostalgia che ha convinto alcuni scrittori a mettere sulle copertine dei loro libri le foto e a raccontare le storie dei loro bellissimi genitori. Da Gad Lerner ad Ozpetek fino ad arrivare a Dacia Maraini. “La nave per Kobe“ parte dai diari giapponesi di sua madre, donna affascinante così come il padre, forse troppo distratto dalla sua vita di antropologo e dai suoi entusiasmi giovanili. Ondivago nell‘attenzione familiare e per questo rifiutato in età adulta dalla scrittrice, la quale non potrà però che subirne il fascino. Il libro è certo un commosso omaggio alla madre, al suo esserlo totalmente ma anche un “viaggio“ nella sua infanzia giapponese, nella multiculturità che è stata la sua vita, quella di molte famiglie dell‘inizio del secolo scorso, dove il colonialismo portava, oltre ai terribili danni che si vedono nel presente, al confronto con altri popoli. Come è stato per la Maraini. La sua infanzia in Giappone, al seguito dei bellissimi ed utopistici genitori, le porterà il senso della diversità nell‘inclusione. Le porterà anche l‘orrore del campo di concentramento, dove sarà rinchiusa con la sua famiglia, perché il padre e la madre si rifiutarono di giurare fedeltà al regime fascista italiano, a cui non avevano aderito neppure in patria. Questo libro è anche il fascinoso ricordo di un mondo che si mescolava “male“, con un senso di supponente curiosità, di altezzosa “grandeur“.
A tale proposito non posso che ricordare l‘Indocina dei libri della Duras, la Ceylon del film “Un anno vissuto pericolosamente“(con un Mel Gibson in “grazia“ di attore), “Passaggio in India“ di Ivory. Tutto un mondo che si “spingeva“ verso un altro, non riuscendo a unirvisi. Cercando di dominarlo e respingendone la “Bellezza“. Consegnandolo, molte volte, all’ “oscurità“.