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Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA  sono la figlia della "Cocca".

Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.

Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché  anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è  ancora comunità.  

Ricordate il tubo di refrigerazione della nuova pista .....
. . . come minimo si risponde due volte altrimenti .....
. . . siamo a M@ sterchief. Sono anni che giri/ ate .....
. . . Velardi arriva buon ultimo.
Il primo fu il .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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di Micol Fiammini, Il Foglio, 17 apr. 2025
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Cena per la Liberazione 24 aprile
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Assemblea soci Coop.
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Cascina, 27 aprile
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CNA AREA VALDERA
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Pisa, 18 aprile
San Giuliano Terme, 24 aprile
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Qualcuno mi sa dire perche' rincoglionire
viene considerato un inevitabile passaggio
alla fine del faticoso viaggio
vissuto da tutti con coraggio?
Il .....
ad oggi la situazione è peggiorata
ora anche tir, pulman turistici , trattori, camion con cassoni per massi,
etc. . E ad alta velocita,
inquinamento .....
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Qui Rana... passo e chiudo!

26/12/2015 - 18:29


Buon fine Anno a Tutti i Lettori.
Sono la bellezza di sei mesi che ogni settimana, più o meno, vi propino un sonetto sugli animali e una loro storia passando da volatili a   quadrupedi o, come direbbero i cacciatori, da “penna a pelo”.
Ora voglio chiudere con una novella, rigorosamente in vernacolo, ma non nella forma a sonetto rispettando però  le in quartine, e naturalmente sugli animali, anzi su un animale attore principale  e tante comparse.
La storia la conoscete da quando eravate bambini.
Di nuovo tanti auguri e un felice (meno strano e noioso) Buon Anno, da boiàme, buiàme, panzane, cazzame o votàme che sia!


La bella e ‘r cacciatore
 
Una mattina bona per la ‘accia
son ito ner padule cor barchetto,
prima levasse ’r tordo e lla beccaccia,
lassando moglie e sette figli a lletto.
 
Arivato ner mezzo der paléo
m’infilai ner fórto di ‘annella
cor sentì d’esse’ gnudo come ‘n beo,
d’artronde artr’un c’era se non ‘vella.
 
A ppelo d’acqua o ‘un deccoti apparì,
seguito da ’no strano risciacquetto,
(era un coso con le ‘orna a ffa pipì)
ma mmi sembrava folaga o tuffetto.
 
Era grande ‘ome ‘n cervo, e ddïo grande!
Tonfa! Ritonfa! Du’ ‘órpi e viense giù;
‘un mi missi cert’a ffa domande:
“ ‘vesto ‘vi mi sfama tutta la tribù”.
 
Su ‘n cielo svolazzava un ber farchetto
‘vand’eccoti du’ grassi becchi lunghi;
ricarïo la molla pé ll’aspetto
pensando ch’ enno boni con du’ funghi.
 
Tonfa! Tonfa! Ni gonfio ‘na ‘oppiòla
che li manda coll’artri ner sïuro,
(‘nparato da bimbetto ar doposcòla
‘velle ‘ose che servin ner futuro).
 
D’ecco uno pare ‘n elïottero,
ritonfa, giù ner bótro der calato
‘vello che pareva ‘n fenïottero
ma bbono era l’istesso anco smotato.
 
Toccò ora a du’ ‘osini tutti bianchi
c’andavin pari passo sur falasco.
Er córpo ni spaccò tutt’e du’ fianchi
da com’erin siuri der mi’ fiasco.
 
Da dietro Carci er sole era già sorto,
(‘un avevo anco fatto ‘na cilecca)
finché apparve su’ monti L’Omo morto
e mi viense la bocca tutta secca.
 
A forza di sparà tiro su tiro
mi s’era marsagrato le mascelle
perché pe’ fa un centro io sempre miro
colla testa piegata ‘nsulle spalle.
 
Poi viensin du’ bérve con du’ ali
e giù ar volo ‘vello ‘or collo giallo,
un tiro che sembrava da reali,
ma ‘r rosso ‘un ce la feci a ‘mpallinallo.
 
Poi dissi tra ddi me “Or l’ho ner fiocco”,
‘vando viddi di fond’ar calatino,
cor cardo m’era preso dell’abbiòcco,
la guardia e ll’airone cenerino.
 
Avvicinà’ l’uccello è stravietato
da ‘na serie di ‘ose sur probito,
ma ‘r perïolo ‘un era anco schivato,
mi viense dappertutto er sobbollito
 
‘vando dar bordo ‘n fondo delle fosse
t’arrivò uno strano ‘ntremolio
che mi fece tremà’ le pover’osse
e la pellaccia ‘nfino sur bellio.
 
Ecco ‘na ragazzotta dar di dietro,
conosciuta da pesci e cacciatori,
arta più di me , armeno un metro,
una di ‘velle vienzute dar di fori.
 
Mi guarda…. mi scruta… e ppoi mi tocca;
dice d’esse’ la bella principessa,
e mi stiocca un succhione ‘nsulla bocca
e dice pure la strega farà ffessa.
 
Pe’ ritrovà’ er su’ ber principessino
n’han detto, penso la regina di su’ ma’,
di cercallo ‘n padule ‘nder setino,
e quindi allora… lei viensuta è qqua.
 
Ma io dïo! “Per fa’ della franella
la lingua tocca mette’ ‘ndella bocca
che mi si tòrcian tutte le budella
e vomittatti er pranzo ora mi tocca?”
 
Ciò detto si sentì un grande botto,
ner còre, nella pancia e ccotrióne,
dovenni un arto e bello ragazzotto
che aveva fatto un pò d’indigestione.
 
Di stianto si sfondò la parapòtta
ch’avevo sotto e piedi p’un bagnammi,
funì a ffondo cor una bella bòtta
e non ci fu ppiù verso di sarvammi.
 
Avanti a esse’ preso da sträollo
agguantai la testa ‘nsur ripiego,
volevo troncà’ ‘ver su’ ber collo,
ma le gambe mi fenno diego diego.
 
Sull’abitino della principessa
finì ‘na ‘avalletta e du’ baetti,
‘na ribellula già ‘n poino lessa,
tre zonzale e cinque farfalletti,
 
sette béci che davin sur mollùccio,
du’ farfalle francesi trè, trè belle,
l’ova di ‘arpa e po’ anco di luccio
e tutto ‘vello ‘ngozzato a ccrepapelle.
 
Vand’ebbi assaporato ‘vell’amore
un coccolone a mme mi portò male,
e lei, poverina, dar dolore,
la ritrovonno ar mare, là ar Cinquale.
 
E chiedeva cor battito dell’occhi,
alla su’ ricca e bbella crientelanza,
s’erano stati un giorno de’ ranocchi
e s’avevano nulla ‘ndella panza.

 

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