Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
"Babbo, come mai mi chiamano Migna? A scuola tutti mi dicono: - Migna, Migna, il cane abbaia e il lupo rigna!-, alla bottega mi domandano di chi sono e quando dico il tuo nome fanno: — Ah, siei del Migna? -.
Te lo sai perché?"
"Domandalo al tu' nonno!"
"Te lo sai nonno?"
"É 'na storia vecchia, di tant'anni fa, quand'un c'erino e motorini, e ginse e si girava scarzi, senza scarpe a tennisse marca Apice, casomai colli zoccoli a scarpa marca Sgroi e se ora quando torni tardi la sera 'un ti sente nessuni, a mi tempi 'un succedeva perché si faceva 'na 'onfusione boia colle sola di legno che ti sentivino trecento metri prima, a parte 'r fatto che la sera 'un si sortiva mai.
Io avevo appena 'na diecina d'anni, ma le spalle già belle sode dai bigongini di 'arcina portati al Pardini che faceva la villa del Beccagli.
Mi pagavino poo, guasi nulla, e i tre bicci li prendeva mi' pa' e allora mi dovevo arrangià per avè un duino mio.
C'erino tanti barocciai che portavino la rena e mattoni e le pietre per le ‘ase in costruzione e 'avalli avevin fame perché la vena finiva subito e la biada portava via posto nel caro e nella musarola ce ne stava poa.
Allora io 'ndavo su' bordi de 'ampi, sulle prode e macigliavo tutta 'na striscia d‘una fossa, facevo 'na arrettata di ceppe di barbe di gremigna .... A proposito, lo sai val'é quella pianta che dice - ogni no do un sì?"
"Come si fa nonno? E un acchiapparello?"
"No nini, è la gremigna, perché ogni no do un sì vuol dire - ogni nodo un sì-, nel senso di siurezza di fa' radici, per attaccà, ma continuamo. Ti dicevo delle barbe.
Andavo al Serchio colla 'arretta, sciacquavo bene bene la gremigna, la facevo asciugà un po' alla meglio e facevo de' mazzettini che vendevo a' barocciai. I cavalli erano ghiotti di quel mangià che durava tanto e prendeva poo posto, così, scava in ogni buo, lava e lega, sciacqua e vendi, tutti presero a chiamammi Gremigna e poi, pe’ fa' prima, solo Migna.
E come succede pell'omini, capita anco per e paesi. Te lo sai perché Pisa si chiama Pisa?"
"Si nonno, perché si dice fondata da Piso, re dei Pisei, un popolo greco vissuto centinaia di anni prima di Cristo. Ricordava loro la città natale che era posta, al pari della nuova, su un fiume chiamato Alfeo, nome che è rimasto nel ricordo, tanto da fare chiamare Pisa —la città alfea—."
"Boia dé, come siei 'struito! Ma voi scommette che 'un sai perché Vecchiano, Nodia e Avane si chiamino 'osi?"
"Hai ragione nonno, non ce lo hanno mai detto perché non sono mai stati fatti studi sui nostri paesi."
"Allora miettiti a sedé e ascorta. Tanti anni prima che Romolo e Remolo letiassero per un rigo fatto 'n terra cor ditone e dassero così 'r via alla moda che se uno fa un segno 'n terra e dice a quell'artro di 'un attrabaccallo sennò chiappa du' muglioni e allora va attraversato per forza perché si fa la parte de' coomeri se ni si da retta e per una ripicca si va a finì che ci si briscola bene bene, allora fu peggio, perché Romolo ni diede 'na zappata ar su' fratello come fece il tu' zi Tigna quando rincarzava le bietole e vide un gonfio 'n terra e disse a quello che credeva 'na bodda che era l'utima vorta che ni faceva venì l'aonco perché lui le bodde 'un le poteva vedè e prese 'n pieno 'r dito grosso der piede ma 'r sangue che schizzava 'un fece effetto a nissuno di velli che erano corsi a' moccoli perché da rosso doventava subito nero mescolandosi alla terra e se ‘un si vede rosso 'un fa nulla e la terra colla pezzola tutta sudata che era ar collo e un po‘ di sputo co’ una foglia di gialo fenno meglio der dottore.
Remolo, invece che ner dito, lo prese 'n capo, e poi successe che doventonno sette, e cominconno a dì' le messe cor un fottio di ddii che doveva esse' un piacè morì per indà con loro.
Marte stava sempre a letià, ma 'n fondo 'n fondo era bono; Venere era bona 'n cima e 'n fondo; Giove rincoreva tutte le donne, delle sue e delle nostre, pur di sfranellà; Bacco era sempre briao; Mercurio, 'olla scusa di guarì, gioava a' dottori colle ninfe, infatti quelle di lago, quelle belle bianche che stanno a galla ne' calatini, si chiamonno da allora parapotte; Nettuno andò 'n mare pe' stà colle bimbe tutte gnude e tutti bevevino, gioavino, ruzzavino e ni toccò anche a Rea Sirvia d'esse zifonata da un dio, ma tutti stiettero zitti perché c'erin di mezzo e capoccioni e siccome tutti velli che stavino in alto, a Montolimpio, potevin fa' come ni pareva, lo vedi ora alla `ambera che son tornati di 'asa a Monte Citorio?
I romani erino gente ganza, che vedeva più 'n là de' su' tempi e ‘nfatti loro si presero tutti gli dei toghi, goderecci e belli e ne fecin du 'gnoranti e brutti che missero allo stretto di Messina.
Dissero: — Se 'un si ferma 'olle bone e siciliani, provamo 'olle 'attive, sennò venghin più 'nsù loro, e 'un ci si sarva più. Artro che le Sabrine ci freghino, ci portin via anco le rote alle bighe! E` cosi la Scilla e Turiddo ebbero 'r compito di tiené di là dar mare un popolo arquanto birbante, ma poi vennero e preti a rompe' e 'oglioni dicendo che semo tutti fratelli, che 'un era vero gnente de' mostri, c'era un solo ddio, e allora: TUTTI VI'!
I romani 'ndavino venivino ’ompravino rubbavino e lasciavino figlioli in dugni logo. Arrivonno a Pisa, dissero che era sua; andonno verso Firenze (perinquà 'un ci potevino 'ndà perché c'era 'r mare e 'r padule) e uno che si chiamava Ascus mise su un podere, che i latini chiamavano ianusse, e nacque Asc-iano.
Un artro che si chiamava Putius, era su' 'ugino, misse su casa a Puti-gnano, Ortius a Orzi-gnano, Visus a Visi-gnano: erin tutti parenti e arrivonno a' monti di San Giuliano.
C'era uno che si chiamava Bermius, e quando tento di piantà le vitia in un pezzetto di terra sotto monte e penso di chiamà casa sua Bermi—ano, tutti credettero che si riferisse a quello della su' moglie, che era un po' culacchiona, e allora letiò con tutti e traversò sopra 'r foro scollettando verso Lucca.
Arivato di là, c'era già gente che veniva da Genova, dovevino esse' parenti di velli che la domenia venghin da tu' ma' a danni e giornalini, dissero che erino arrivati prima loro e letionno di brutto e si dissero che 'un s'eran mai potuti vedé e anco Dante lo scrisse e ci credettero tutti.
Quelli che erano di qua dar monte comincionno a stacci stretti, perché e figlioli volevino anco loro fondà quarcosa, fondavin tutti e, lungo ripa come ' barbi a' Panconi o le cee a Bocca di Serchio, andonno verso Tramontana.
"Nonno, mi avevi promesso di parlarmi di Nodica e di Vecchiano!"
"Aspetta! 'r mondo è grosso. Io in ottant'anni 'un sono mai ito neanco a Metato di là dal Serchio e avevo la biciretta, e voi te che e romani a piedi ’un ci mettessero un ber po' per arriva da San Giuliano a qui?
Infatti, cammina cammina, aspettando che nascesse 'r grano, che si chiamava faro e 'un costava tanto come ora e lo facevin tutti, dinnine a' lucchesi, aspettando le pannocchie der grano turco che chiamavin così come noi ora si dice ameriano quando la robba vien di fori, pescando du' pesci dove ora fanno la sagra della fragola, arrivonno qui, a' bordi del padule e chi ci trovonno?"
"Nessuno nonno, ora capisco. Qualcuno che si chiamava Vetus, Veius, Venus o simili, avrà fondato Vecchiano. Ora e tutto chiaro, già ma Nodica?"
"No chiorbone! 'Un è cosi! Loro ci trovonno Vecchiano e anche Nodia! Quand'ero bimbetto la sera s'andava dar prete, ora 'un cianderei nemmeno morto, ma prima era festa andà a sentì le storie, le novelle, la Bibbia, la Divina 'ommedia, e come si stava attenti e si tornava zitti zitti a casa senza chiede neanco un rosicchio di pane a mi' pa' ripensando ar conte 'golino che rosiava la ceppa a' su' bimbetti. E così ci raccontavino anco di un popolo più vecchio di Roma che aveva 'mpestato tutta la Toscana, che moriva volentieri e che dava spago anco alle donne e è per questo che fininno male. Era gente strana: scrivevino alla viceriscontraria e poo, avevano inventato una mota nera che facevin delle 'onche dure come ’r muro, attrabaccavano 'r mare per andà a fa' legna e fero come e cenciai, fondevin tutto e vendevin la robba all'estero passando didivà, ma dalle parti di Firenze 'ndove l'Arno è mezzo secco come 'r Serchio a’ Panconi.
Avevin fatto 'na via per andà da casa sua fino 'n Germania, che ancora 'un era Germania, per vende rote e spade di fero, ora che ci ripenso, 'un mi garbin più le Truschi perché devon esse stati loro a abituà all`armi que' mangiapatate. Poi riportavino in Italia, che ancora Italia non era, argento rame e oro e tutte velle nove 'onoscenze che ni poteva entrà' nella ciottolina der ceppione, che di vello ce n'avevin tanto. Ti siei mai 'hiesto come mai quando si parla di morte o di disgrazie, che è quasi listesso, si fa le 'orna? Tutto per la loro mania d'esse contenti di morì'!
Tutti volevin fassi le 'asse da morto di mattone cor coperchio tutto riamato e stavin tutti 'n posa pe' vienì bellini e contenti e stravorti e tenevin le gomita appoggiate 'n tera co' la manina scoperta dalla tonaa colle dita di mezzo ripiegate 'ndietro, io dio pe' l'artrite. Fatto sta che quando cambiò di moda di morì, guarda caso con una nova religione, a tutti ni rivenne 'n mente vella strana gente e quel modo di tiené le dita venne preso come scongiuro pe' reagì allo stato di velle statue. Taglia e brucia, fondi e vendi, leva e 'un metti 'un c’è mucchio ch'un cali, e fenno tumia de' boschi di Populonia e dell'Isola d'Elba e siccome facevin come Braalone che quando lavora le patate fa le 'assette piene di velle piccine 'n fondo e velle grosse ’n cima, così lorolà, colla 'ngordigia di vende più fero di vello che fondevino, facevin le spedizioni con certi popò di malloppi di 'arbone che sembrava di fa' e regali di Befana a' bimbi 'attivi.
I crucchi s'inbervirono e i tedeschi si mettenno a cercà fero pe' conto loro e, ruffula ruffula, trovonno robba 'n dugni logo e comincionno a lavorà pe' conto loro, fregandoci anco vel mestiere, come e francesi cor vino e li spagnoli 'oll'olio. Noi si 'omincia sempre bene, l'idee en' tante e poi come la gallina 'ngorda ci si fa scoppia 'r gozzo, o come 'r cane che pe' chiappà' più di du' ossi li perse tutti. 'nsomma, ti dicevo che le 'ose un andavino più tanto bene verso Piombino e allora pensonno d'anticipà e napoletani, cambia casa, e di vienì a norde.
Ora pero fattela di' da tu' ma', che la sa meglio di me!"
(Segue)