In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.
Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.
Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente.
Qui comincia l’avventura
del signor Bonaventura
che del fiume la corrente
sta a veder beatamente…
Questo l’inizio della prima striscia di Sergio Tofano, in arte STO, datata 1917, ben novantanove anni fa. Le storie del Signor Bonaventura apparivano settimanalmente sul Corriere dei piccoli e ben presto fu una striscia che divenne famosissima e riproposta dai cinegiornali con la mitica “Settimana Incom”, intrattenendo gli spettatori prima delle proiezioni nelle sale cinematografiche.
Un leggero cambio per fare un poco di “gossip” (che non si sognava nessuno di usare tale parola) era: “qui comincia l’avventura di color che per diporto stanno sempre all’aeroporto” e giù una serie di attori, politici e vip (che non si sognava nessuno di usare tale parola) che partivano od arrivavano agli scali di Fiumicino e Malpensa.
Tutto questo girigogolo per dire che anche qui, su questa sezione della Voce e cambiando maliziosamente qualche parola, siamo al:
Qui finisce l’avventura,
che da qualche tempo dura
chi del fiume la corrente
sta a veder pensosamente…
e siamo ora alla fine della storia (quella fantasiosa) del nostro fiume e della sua corrente:
Anno 1870, agosto
Studi approfonditi di dottori dell'università di Pisa (Facoltà di Archeologia) sulla statua trovata a Pontasserchio nello scavo per la ristrutturazione della nuova chiesa vicina al fiume, danno l'età dell'opera intorno al 5° secolo D.C..
La presenza in quel punto di pali sommersi nel letto del fiume, che questo mostrava nei momenti di secca, faceva pensare ad un primitivo ed antico ponte romano che la Via Emilia, dopo Pisa, aveva dovuto traversare trovandosi di fronte ad un fiume che prima non c'era.
La sua costruzione era stata fatta a valle di una grande curva del fiume dove la violenza delle acque si era spenta. Intorno al cantiere erano stati costruiti un tempio e case per gli operai ed i tecnici e, piano piano, mercanti si erano uniti alla manovalanza per approfittare di quel passo e fare i loro affari.
La statua era di un bel marmo lunense e raffigurava un uomo con tunica nella classica posizione del braccio alzato nel saluto romano.
Il mistero del nome non fu svelato neanche quando venne trovato poco più in là il piedestallo dove erano scolpite le parole CAESAR EDIFICAVIT. I resti della ceramica rinvenuta nei dintorni davano per certa la data presunta, ma a quel tempo non vi erano Cesari. Bisognava così supporre che il nome Cesare fosse rimasto ad uso di re, dittatore o grande uomo. La statua fu ricollocata preso la spalletta di muro proprio di fronte alla fine della strada che, proveniente da Pisa, traversava il paese per finire senza scopo di fronte a quel monumento.
Anno 1870, ottobre
Una notte un rombo svegliò tutta la popolazione. I più svelti ad alzarsi uscirono di casa e fecero in tempo a vedere un muro d'acqua di circa tre metri che scendeva dal fiume e spazzava ogni cosa. Il nuovo ponte, poco più a valle del punto dove era stata sistemata la statua, fu travolto come fosse di paglia, le case più vicine alle rive ebbero la facciata schiaffeggiata da onde melmose e così durò tutta la notte.
Morirono sette uomini e due donne, centoventicinque pecore, quarantotto maiali, sedici mucche e centinaia di polli e conigli.
Alle acque che rovinavano rombando, fece eco un tuono spaventevole che seguì un lampo che illuminò a giorno la valle. Un tuono e un lampo solo. La mattina i sopravvissuti cercarono invano i parenti portati via dalle acque. I contadini contarono le mucche e i vitelli, i pastori andarono fine sulla cima del monte con la speranza di ritrovare gli agnelli mancanti e chi non aveva avuto danni piangeva lo stesso la malasorte degli amici. Nessuno faceva caso alla statua.
Quando qualcuno si accorse del piedistallo nudo, si cominciò a far caso al fatto che non vi era stato temporale e non era giustificato il lampo che aveva mostrato loro nitidamente le acque in quella notte buia. Si pensò allora dove potesse aver scaricato energia la saetta e fu per primo il prete che notò la mancanza di alcune lettere nel basamento della statua.
Ora si leggeva: -AESAR ----CAVIT.
Solo il parroco sapeva il latino, la sua religione gli impediva di essere superstizioso, ma un brivido lo scosse. Aveva letto al posto della primitiva scritta "lo edificò Cesare" la nuova realtà: "lo distrusse il Serchio".
Era troppo strana la coincidenza, troppa forza avevano avuto le acque quella notte e troppo per lui mantenere quello che considerava il suo segreto. Piano piano dimenticò l'accaduto fino all'anno in cui si ripeté, in modo molto meno violento e senza vittime, una nuova piena. Solo allora, vedendo la gente che correva sull'argine, non impaurita ma curiosa di quello spettacolo della natura, narrò quello che sapeva o credeva sapere di quella "notte del lampo" come veniva chiamata da chi vi era stato presente.
Anno 19..
È ancora notte, piove ancora, il Serchio è di nuovo in piena, c'è di nuovo folla sugli argini, verso Vecchiano si sente urlare. Tutti corrono credendo che ci sia un affogato. Tutti giurano di aver visto una sagoma bianca che è apparsa dalle acque con un braccio alzato quasi a chiedere aiuto.
"Io l'ho visto bene, era vestito di cenci ed aveva anche una mano bianca marmata".
AESAR-AUSER-AUSERCOLO-SERCHIO