In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.
Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.
Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente.
Gli ANTICHI SPLENDORI
Attualmente la Amministrazione della tenuta è sotto il diretto controllo dell’Amministrazione ministeriale dei beni demaniali, che ha sede nella Capitale. A 110 milioni di lire ammonta la rendita netta della tenuta, rendita che potrebbe aumentare di molti altri milioni se lo Stato desse maggior impulso alla parte zootecnica, e curasse più da vicino gli interessi della tenuta, la quale potrebbe assumere col tempo la fisionomia di una fiorente azienda modello. Inutile specificare che tutto questo denaro affluisce nelle casse del demanio, e che soltanto da poco tempo si è iniziato quel processo di rinnovamento, che dovrebbe portare San Rossore agli splendori di una volta. I danni ai fabbricati, dovuti alle conseguenze belliche, si fanno ascendere ad oltre un miliardo di lire, mentre poco si è salvato dei ricchissimi allevamenti e della abbondante pregiata selvaggina, che un tempo riempiva i pascoli e i boschi della tenuta. Fino al ’44 si aggirava in essa una pittoresca mandria di 100 dromedari: una parte di questi quadrupedi morì di stenti, il resto fu trucidato dai soldati. Pure il bosco, che era ricco di piante secolari, fu seriamente danneggiato dai molti tagli arbitrari e irrazionali, compiuti da contadini poco scrupolosi. Tuttavia, anche con queste gravi limitazioni, San Rossore non ha perduto nulla del suo fascino, specie in quella parte della tenuta che si affaccia sulle acque tirreniche, dove cioè sorge lo chalet del Gombo. Al Gombo ci si arriva mediante un lungo rettilineo asfaltato di tre chilometri, interamente fiancheggiato da un filare di pini, che lo collega alla reggia delle Cascine Vecchie, più a levante, verso Pisa.
Ambedue queste costruzioni sono state rase al suolo al tempo della ritirata dei tedeschi, e di esse non resta altro che le macerie.
Il “Gombo”, comunque, era soprannominato, nell’ambiente di San Rossore, il “Quirinale in pantofole” appunto per la sua aria quieta, discreta, per l’intimità che lo circondava. La reggia delle Cascine Vecchie, invece, era più che altro adibita per i ricevimenti ufficiali. E’ sintomatico il fatto che in quest’ultimo tempo si è recato a San Rossore, per compiervi un sopraluogo, un funzionario della Presidenza della Repubblica. Ciò si concilia con quanto prima avevamo enunciato sulla nota questione della residenza estiva del Capo dello Stato; se San Rossore verrà incamerata dallo Stato, come ci si augura, toccherà appunto allo Stato ricostruire gli immobili, e dare incremento al progetto del Parco Nazionale e all’auspicato centro sperimentale agrario dell’Università. In questo modo si eviterà il frazionamento di una tenuta che solo nell’unità dei beni che la compongono ha il prestigio di essere entrata ormai a far parte del patrimonio storico e culturale della Nazione.